Attribuire ai guerriglieri la responsabilità dei massacri di civili operati dall’esercito, dalla polizia o dai paramilitari è un trucco assai diffuso. Non solo in India. Basti pensare alla Colombia dove i gruppi paramilitari della destra filogovernativa (squadroni della morte legati al narcotraffico) spesso incolpavano le FARC o l’ELN dell’uccisione di contadini e indios quando in realtà i massacri erano opera loro.
Dopo quasi otto anni, una commissione guidata dal giudice V.K. Agrawal ha finalmente stabilito la verità in merito agli eventi di Sarkeguda dove, nel giugno 2012, vennero assassinati 17 adivasi (cioè gli aborigeni dell’India), di cui sette bambini. Un tragico evento ufficialmente presentato come uno scontro con la guerriglia maoista. Quel mattino i paramilitari (le CRPF) avevano circondato gli abitanti del villaggio riuniti per la festa tradizionale di Beej Pondum aprendo quindi il fuoco. Successivamente si erano scatenati infierendo ulteriormente sulle persone ferite rimaste a terra.
Sarkeguda si trova nel distretto di Bijapur (Stato di Chhattisgarh), un’area ricca di risorse naturali che attirano sfruttatori nazionali ed esteri. In particolare da parecchi anni vi sono state aperte molte miniere costringendo migliaia di persone a trasformarsi in profughi interni. Non a caso la regione è diventata uno dei principali bastioni della resistenza naxalita (maoista) e il governo vi ha insediato polizia e soldati in grande quantità. Il prezzo, come era evidente, lo stanno pagando soprattutto le popolazioni indigene. Almeno un migliaio gli adivasi uccisi in quanto presunti maoisti. In realtà nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di esecuzioni extragiudiziali nei confronti di civili inermi e disarmati.
Anche diversi esponenti di organizzazioni che difendono i diritti umani, così come alcuni giornalisti che avevano denunciato gli abusi delle forze di sicurezza, sono stati duramente colpiti dalla repressione.
La commissione del giudice Agrawal ha finalmente stabilito che gli abitanti di Sarkeguda si erano riuniti in un prato aperto vicino al loro villaggio e non – come invece sostenevano polizia e paramilitari – nel folto della foresta. Ha inoltre stabilito che i colpi di armi da fuoco provenivano tutti dalle forze della polizia paramilitare della Riserva Centrale (CRPF) e dalla polizia locale. Quanto ai sei poliziotti colpiti, erano rimasti vittime di “fuoco amico”, ossia dei tiri dissennati dei loro esaltati colleghi. E nessuno degli adivasi rimasti uccisi avrebbe avuto, secondo la commissione, rapporti con i naxaliti.