Il mistero dell’antica civiltà biellese di Vittimula e della Bessa resta ancora irrisolto, poiché la storia dei primi popoli biellesi è stata scritta solo dallo storico Plinio e dal geografo Strabone: il primo era un intellettuale, ma anche un comandante militare dell’esercito che cancellò l’identità di quelle genti; l’altro, un greco che riportava da lontano quanto gli riferivano i figli della lupa capitolina che avevano occupato le nostre terre con le armi.
Scritta dai vincitori e dai trombettieri poco obiettivi delle invitte legioni littorie, la storia di Vittimula è stata ridotta al suo momento peggiore, quello delle aurofodine e del furto romano delle ricchezze auree quando la Bessa era un vero e proprio “campo di concentramento”, dove migliaia di schiavi erano costretti a estrarre dalle sabbie aurifere notevoli quantità del prezioso metallo in una vasta miniera a cielo aperto.
Prima della violenta conquista romana e della riduzione in schiavitù delle popolazioni locali, la Bessa era invece una regione ricca e florida abitata da gente in buona salute, godendo anche dei benefici della “fontana solforosa” posta nella vallata dell’Olobbia.
Di questa antica civiltà preistorica distrutta dalla violenza dell’invasore resta soltanto un vago ricordo nella tradizione locale di “Bessinia”, la mitica città perduta. Purtroppo, la storia della più antica, autoctona e libera società della Bessa è stata misconosciuta. Tuttavia è esistita, e le tracce della sua peculiarità sono evidenti almeno nella tradizione orale e nella presenza di inamovibili reperti.
Poiché la civiltà vittimulense si basava su uno straordinario culto delle pietre; un megalitismo di cui resta traccia nei nomi attribuiti ai possenti massi erratici diffusi in tutta la Bessa. Proprio quelli che erano considerati “divinità di pietra” e si credeva fossero dotati di proprietà terapeutiche e di forza salvifica.
Il culto della fertilità
Non per caso, nei boschi fra Zimon e Magnan si è praticato fino a una cinquantina di anni fa un vero e proprio culto litico pagano, che vedeva le donne malate o in pericolo di vita cercare la via della guarigione battendo fortemente il ventre contro uno spuntone roccioso appuntito, ripetendo il rito del ròch dla vita praticato a Urupa.
Ma nella Bessa più segreta il megalitismo pre-romano ha lasciato altre indelebili tracce.
Il ròch dël sol
Questo masso erratico nascosto nei prati di Briengo é il più misterioso e intrigante dono della natura diventato oggetto di una venerazione oggi perduta. Il nome lascia ipotizzare che fosse utilizzato per arcani culti solari, e questa possibilità trova una qualche conferma poiché – come ha ricordato Giacomo Calieri nel suo approfondito studio sulla Bessa – “ha sulla sommità un foro quadrato nel quale forse una volta era infissa una croce”.
Cristianizzando la pietra, la nuova religione si sarebbe simbolicamente appropriata dei poteri che venivano attribuiti nel paganesimo a un masso speciale, forse un altare litico utilizzato per devozioni astrali.
L’immenso ròch patasser
Un altro imponente pietrone si trova a poca distanza da una vecchia strada sterrata da Mongrand a Bomasch. È stato “battezzato” con un nome appropriato, ròch patasser, termine che nella parlata stretta della vecchia Mongrand indica qualcosa di grande ed imponente. Proprio questo masso fa onore al suo nome, essendo un enorme castello pietroso naturale alto come un moderno condominio e con un volume di oltre 150 metri cubi di roccia compatta.
Non ci sarebbe da stupirsi se avesse davvero ispirato agli antichi quelle che Calleri chiamava “interpretazioni leggendarie sulla sua origine”, facendone oggetto di deferenza o addirittura di devozione. Naturale omaggio a un gigante di pietra.
Lo scivoloso ròch dla sguja
Il cosidetto ròch dla sguja (pietra dello scivolo) è alto più di due metri. Dalla tradizione popolare è sempre stato considerato dotato di misteriosi poteri salvifici, sopra il quale si praticava il rito della discesa scivolosa, propiziatore d’una gravidanza desiderata. Fino a una trentina d’anni fa i ragazzi della Rivera si divertivano a scivolare su questa pietra liscia con una parete inclinata, senza sospettare di ripetere un rito che in passato propiziava la natalità. Come gli analoghi massi di Machaby e Bard della Val d’Aosta.
Purtroppo oggi non è semplice giungere al macigno, ma il sentiero nel bosco si rivela residuo di un vero e proprio percorso devozionale in quanto lambisce un altro masso detto ròch dla volp (pietra della volpe); dopo aver toccato quello scivoloso, passa accanto al cimitero e poi sale alla chiesa di san Cassiano, un edificio dell’antico stanziamento di Blatino, forse l’ultimo baluardo della scomparsa “Bessinia”.
Il demonizzato ròch malègn
Il cosidetto ròch malégn (pietra maligna) è avvolto in una fama sinistra e satanica, marchiato con un nome subdolamente nefando quanto immeritato. È largo diversi metri e diviso in tre parti, le più grandi separate da un passaggio stretto in parte inclinato. Benché ormai sia consolidata e diffusa la sua fama sinistra, pare credibile pensare che questa pietra magica sia stata demonizzata per cancellare un centro devozionale pagano.
La forma a teschio del ròch dël giudissi
Sul crinale che sovrasta la chiesa romanica di San Second della frazione Bose di Magnan, incombe una misteriosa pietra magica detta ròch dël giudissi (masso del giudizio) o ròch dla serca (masso della ricerca).
Si trova ai lati d’un antico percorso che da San Secondo di “Sanisòla” (l’attuale Salussola) saliva a Prelle, proseguiva per Zimon passava accanto all’antica “cella di San Michele di Bellino” e s’inoltrava tra i boschi giungendo dove poi doveva sorgere la chiesa di Magnan dedicata anch’essa al martire “tebeo” Secondo.
Ma l’edifìcio cristiano è sovrastato dal ròch dla serca, un masso immenso con una forma simile a quella d’un teschio umano. È alto una decina di metri e largo la metà. È noto con questo nome singolare poiché secondo la tradizione popolare sul suo culmine si sarebbe seduto un uomo di legge dell’antica civiltà locale per tentare di amministrare la giustizia.
Maestosamente piazzato, quasi insaccato o piantato nella pietra, l’anziano e saggio legislatore avrebbe ricevuto dal masso una sorta d’ispirazione pronunciando equilibrate sentenze. In effetti, sulla cima del ròch dël giudissi si osserva una sorta di sedile scavato nella pietra dove poteva davvero accomodarsi colui (o colei) che aveva il privilegio di salire sul masso e penetrarvi, diventandone parte integrante, assumendo con il misterioso influsso del roch il dono della saggezza e dell’equità.
Sempre secondo i racconti tramandati a Magnan da generazione in generazione, gli accusati d’aver violato le regole della comunità sarebbero stati condotti al suo cospetto, e, se riconosciuti colpevoli, trascinati a poca distanza nel pian dle forche (spianata delle forche) per essere impiccati. Queste pratiche comunitarie non sarebbero avvenute all’epoca della dominazione romana né tanto meno successivamente, ma in un’epoca anteriore, quando Magnan, la Serra e la Bessa erano terre abitate da libere e pacifiche stirpi contadine che amministravano in piena autonomia la propria legge.
Poiché le tradizioni popolari hanno sempre un fondo di verità, si può davvero pensare che una sorta di “druido” si sedesse chissà quando dentro al grande masso magico per giudicare con saggezza i suoi connazionali, colpendo senza pietà i devianti e i colpevoli? Tra la pietra a forma di teschio e il piano delle forche, la zona di Magnan conserva un alone misterioso unito a una fama sinistra, confermata dalla recente scoperta di un cranio e ossa sepolte nel terreno.
Il ròch dël basu e la fertilità
Nella Bessa più appartata, un inesplorato percorso devozionale litico, propiziatore di armonia sessuale e di fertilità, si snoda partendo da un complesso di grandi rocce dove convergono i sentieri che s’inerpicano dalla valle Elvo, scendono dal Mombarone e salgono dal Canavese per il “Passo dell’oca”. Esso conduce al tondeggiante ròch dël basu (pietra del bacio) detto anche basariond (per la sua forma rotonda) che ha accanto un lucidissimo masso altare.
Nessuno conosce i loro segreti.