Appuntamento quadriennale, il Matava’a, Festival delle arti delle isole Marchesi, quest’anno si è svolto dal 16 al 19 dicembre a Ua Pou, isola nella quale era nato nel 1987.
Ua Pou, insieme a Ua Huka e Fatu Hiva, è una delle piccole isole abitate dell’arcipelago più a nord della Polinesia francese, quello delle Marchesi. Mentre Fatu Hiva, dalla bellezza sconcertante, non possiede aeroporto, le altre due si possono raggiungere a bordo del twin otter da 20 posti, che dallo scorso maggio fino a ottobre aveva sospeso i voli creando notevoli disagi a isolani e turisti. Durante il Matava’a il piccolo aereo era in riparazione e ha ripreso a volare solo alla fine della manifestazione. Anche se si ha la fortuna di trovarvi posto, è poco consigliabile affidarcisi se si vuole essere sicuri di raggiungere Ua Pou e atterrare sulla sua pista in salita: lo spazio tra le montagne non basta per consentire la decelerazione, e si è rimediato realizzando la rampa con il tratto finale in forte pendenza.
Abbandonata l’idea dell’aereo, ci sono varie scelte: se non si vogliono affrontare le 53 ore sul cargo presidenziale Tahiti Nui, che durante il Matava’a fa servizio di trasporto per i vari gruppi da un’isola all’altra, con un volo di tre ore si può arrivare a Nuku Hiva, l’isola principale dell’arcipelago, atterrando in località Terre Deserte, dove i marchesiani in mezzo ai rovi, incuranti delle spine, colgono semi da infilare nelle loro colorate collane. Da qui, con circa due ore di fuoristrada, si arriva nel villaggio principale di Taiohae dove bisogna fermarsi a dormire (non conviene andar per mare durante la notte). Se si è fortunati l’indomani si ha la coincidenza con il cargo Tahiti Nui, che nel frattempo è arrivato, altrimenti si possono affrontare le onde di questa agitata zona del Pacifico a bordo della navetta o di veloci imbarcazioni private.
Per non smarrire la loro tradizione di grandi navigatori e protestare per i disservizi che causano isolamento, gli abitanti di Ua Huka hanno costruito una piccola piroga tradizionale con la quale sono arrivati nella baia di Ho’oavaka a Hakahau, accolti da una moltitudine festosa. La piroga è arrivata in ritardo rispetto alle previsioni, attesa trepidamente con canti e balli. Al suo arrivo per farla accostare senza pericolo, la battigia è stata percossa con lunghe pertiche per togliere il tapu, la proibizione, e i tre celebranti si sono inchinati all’oceano. Un tripudio di richiami e balli ha accolto i navigatori, che sono sbarcati con il loro dono: il tiki, l’idolo caratteristico della loro isola con la coda di balena al posto del volto.
Una volta arrivati tutti i partecipanti sull’isola, ha avuto luogo la cerimonia di inaugurazione: i gruppi hanno sfilato uno dopo l’altro nel grande campo sportivo, polveroso per la siccità. Gli ospiti di Ua Pou hanno aperto il corteo, poi Hiva Oa e Nuku Hiva che si sono esibiti in lunghe danze, i gruppi dalle piccole isole di Ua Huka e Tahuata carichi di energia, e per concludere Fatu Hiva con la danza dell’uccello raro.
I marchesiani che vivono a Tahiti, riunitisi per il Matava’a nel gruppo Toko Henua, hanno sapientemente tenuto testa ai gruppi locali. Per chi vive lontano dalla propria isola è essenziale ballare al Matava’a, una sorta di ritorno alle origini poiché altrove tenderebbe a discostarsi dalla tradizione per rendere gli spettacoli più turistici, dimenticando le antiche regole dei canti e delle danze.
Un tocco di diversità dai due gruppi ospiti: quello da Rapa Nui, l’isola di Pasqua, e Maohi Nui Ahima’a, protestanti diretti dal pastore Mitema, originario di una remota valle di Ua Pou, che si è esibito in un canto corale.
Al termine dell’inaugurazione, i gruppi riuniti ci hanno deliziato con la danza del maiale… facendo risuonare i grugniti in tutta la vallata.
La cerimonia della kava, bevanda cerimoniale, ha concluso la manifestazione, sapientemente condotta dal capogruppo ospite Pascal.
Per tre serate si è potuto assistere a due spettacoli di danza – uno per ciascuna isola delle Marchesi – nell’anfiteatro appositamente costruito per il Matava’a, purtroppo sottodimensionato, il che non ha permesso a tutti, danzatori e accompagnatori, di assistere allo spettacolo delle altre isole.
Quest’anno il tema da svolgere era “come può la cultura aiutare a preservare l’ambiente”, di grande attualità, ma difficile da svolgere in quanto astratto. Il tema del Matava’a 2015 link https://rivistaetnie.com/festival-delle-isole-marchesi-2015-unedizione-grandiosa-52856/ era Haahua i te tumu, “il ritorno alle radici”, e ogni isola si era data da fare per ricostruire un’antica celebrazione.
Ua Pou
Il gruppo ospite, la tribù dei pakohe, racconta parte della leggenda di Vakauhi, il ragazzo abbandonato e cresciuto dalle due nonne anziane, che ha dato nome alla grande piroga realizzata con il tronco dell’albero sacro. Per poter abbattere quest’albero erano necessarie preghiere speciali, altrimenti il lavoro di ascia di ogni giornata spariva durante la notte e la mattina seguente si ritrovava la corteccia intatta.
Solamente il gruppo di Ua Pou ha eseguito le 14 danze previste dalla tradizione, rispettandone l’ordine, senza seguire la cronologia della leggenda che passa in secondo piano.
Ecco la sequenza del loro ballo:
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- Vanana, preghiera. A luci spente chiedono la benedizione per lo spazio dove balleranno, con il canto che parla dell’oscurità.
- Putu, cerchio. Solo uomini, per galvanizzare le truppe: introduce la leggenda.
- Pipine, solo donne. Entrano in scena camminando di sbieco, è il momento di cantare quanto accaduto, in questo caso del ragazzo che viene raccolto dalle donne.
- Mahau, ballo del maiale. Quando uomini e donne ballano insieme. Fino a questo punto si è svolto il cerimoniale necessario per far ballare insieme uomini e donne.
- Tapeka, danza per salutare. Con riferimento alla leggenda: cantano di come la madre del bambino abbia la pelle liscia come una sirena e l’abbia trasmessa al figlio.
- Haka toua, danza di guerra. Devono abbattere l’albero sacro col quale realizzare la piroga, ma prima di tagliarlo il capogruppo Pascal chiede l’autorizzazione a tutti gli dèi, nominandoli uno per uno.
- Haka manu, danza dell’uccello. Gli uccelli impauriti volano via dagli alberi.
- Haka koke, per cacciare i cattivi spiriti. Ballata solo femminile con pezzi di bambù in mano. Anticamente le donne colpivano gli uomini con i bambù fino a farli sanguinare; grazie al mana, energia, già alla fine della danza le ferite si erano rimarginate. “Oggi sono danze di marionette”, commenta Pascal. Viene tagliato l’albero cantando “io io oe”.
- Hio o. È stato tagliato l’albero dal sacro legno.
- Haka uteiutei, danza della seduzione. Mau Mau pokoehu ite hope tau, acchiappa acchiappa il didietro della ragazza: come si può vedere nel video, le ballerine sono di schiena rispetto al loro cavaliere.
- Tuki kaku, il cibo. Si chiede alla nonna di preparare il cibo per gli dèi affinché aiutino a far cadere l’albero.
- Haka pahaka, danza maschile dell’uccello.
- Ruu, riepilogo. È una danza molto lunga, ricapitola la leggenda, narrandone la fine con il giovane che arriva alla sua isola in piroga.
- Rihuki, canto finale. Viene eseguito seduti, è gioioso e serve per salutare e sottolineare la giornata di festa.
Toccante l’esibizione dell’isola di Tahuata, che si trova a soli 4 km da Hiva Oa e si raggiunge attraversando il braccio di mare sempre agitato a causa delle correnti, passando per un gorgo soprannominato “la lavatrice”. Nel loro territorio l’uccello Pātiòtiò (Pomarea Iphis) dal piumaggio blu, colore divino secondo la mitologia polinesiana, si è estinto e viene celebrato con un canto struggente, otre a ballarne la fine: pare sia stato un incendio a sterminare questo uccellino.
Gli abitanti dell’isola dalla bellezza sconvolgente, Fatu Hiva, sono tra i pochi rimasti a lavorare la tapa, tessuto vegetale che si ottiene battendo la corteccia esterna di quattro tipi di albero, ottenendo da ciascuno un colore diverso. I costumi del gruppo erano molto raffinati, grande armonia nei loro canti, ma le loro danze erano più simili al ‘ori Tahiti che a quelle marchisiane. Un caso di globalizzazione arrivata sino a questo remoto angolo di mondo?
Fatu Hiva è famosa anche per la danza dell’uccello raro, che viene eseguita esclusivamente dal loro capogruppo, anche se quest’anno si è esibito in una versione ridotta.
L’isola di Nuku Hiva nella sua danza celebra il tiki, la divinità che rappresenta il primo uomo deificato, antenato dell’intera umanità. Il tiki è interpretato dal marchesiano tatuato interamente, dalla testa ai piedi, che entra in scena su una portantina, come facevano i capi anticamente quando si recavano in pubblico. Tra gli omaggi che vengono deposti ai suoi piedi, dei maialini vivi che divincolandosi e squittendo hanno divertito il pubblico. La loro Haka Manu, danza dell’uccello, è stata coinvolgente.
L’isola di Ua Huka è fiera di aver preservato l’uccello Pātiòtiò e di essere l’unica delle isole Marchesi dove il pennuto non si è estinto; anzi, a oggi se ne contano numerosi esemplari che vengono catturati per essere reinseriti nelle isole vicine. La loro Haka Manu, danza dell’uccello, è la celebrazione di questa vittoria, l’aver preservato con lo stile di vita in armonia con la natura questa specie animale.
Il gruppo di Hiva Oa entra in scena con il fuoco, fedele alla tradizione dell’isola. La loro danza dell’uccello vede contrapposti la bella ragazza tatuata e, sorpresa, il loro scenografo che, nonostante l’età e la mole, saltella come un vero passerotto.
La manifestazione è terminata con la corale del gruppo Ma’ohi Nui Aima’a, che ha cantato in lingua marchesiana.
L’ultima giornata ha visto tutti riuniti nel grande campo sportivo, con l’esibizione di un gruppo dopo l’altro nei balli dall’energia tipica di queste isole. Canti e haka si sono susseguiti per ore, culminando nel gran finale dove tutti i gruppi si sono uniti per ballare insieme.
Il gruppo ospite di Rapa Nui, l’isola di Pasqua, ha portato in scena il loro regalo: un grande moai di legno appena scolpito. Lo hanno offerto all’isola di Ua Pou con una piccola cerimonia insieme al curanto, cibo coltivato e cotto nella terra, nel tradizionale forno polinesiano, perché: “Fa bene alla vita!”
Fra due anni il mini Matava’a sarà a Fatu Hiva: imperdibile!