Nonostante le sfacciate smentite di Ankara e Baku sulla presenza di mercenari impiegati dall’esercito dell’Azerbaijan in Nagorno-Karabkh, ora disponiamo di ulteriori conferme. Alcune desunte dai necrologi dei caduti in combattimento, altre direttamente dalle testimonianze raccolte dagli inviati, in particolare da “Le Monde”.
Al momento è ancora impossibile calcolare con precisione quanti siano. Per qualche osservatore qualificato si tratterebbe di parecchie centinaia, con qualche decina di caduti tra i loro ranghi. Combattenti generalmente esperti in quanto affiliati e operativi con l’Esercito Libero Siriano (ormai ridotto al rango di milizia sul libro paga di Erdogan).
Stando alle dichiarazioni di un membro di Failak Al-Cham (gruppo ora integrato nell’Esercito Libero Siriano) sarebbero partiti in circa duecento da Iblid, dove anche per l’epidemia di coronavirus il lavoro scarseggia, con la promessa di una paga base tra i 1300 e i 1800 dollari. Parafrasando un’antica pubblicità della marina nostrana, si potrebbe dire “Arruòlati con Erdogan, girerai il mondo”. In molti casi si tratterebbe dei medesimi lanzichenecchi che dall’anno scorso spargono il terrore in Rojava e che più recentemente, quest’anno, hanno combattuto in Libia contro le truppe di Haftar che assediavano Tripoli.
I necrologi dicevamo. Ai primi di ottobre era apparso sul sito siriano Jesr Press quello di Qassem Mustafa Al-Jazmur, membro deceduto di una milizia turcomanna, l’Aultam Murad. Anche tale banda aveva combattuto contro il regime siriano per passare poi – sotto le incongrue bandiere dell’Esercito Libero Siriano – al servizio di Ankara direttamente contro i curdi del Rojava. 1) Significativo che il caduto provenisse da Deir ez-Zor dove recentemente era scoppiata una rivolta – difficile stabilire quanto spontanea – contro l’amministrazione autonoma curda accusata, a torto, di reprimere la popolazione in maggioranza araba.
E ancora: la morte in combattimento, stando a quanto riferito dalla stampa siriana, di un altro combattente dell’Esercito Libero Siriano, Mohamed Shaalan di Aleppo.
Un’ulteriore testimonianza – questa raccolta dalla BBC – arrivava per posta elettronica da un generico “Abdallah”. L’uomo spiegava candidamente di essere arrivato nel Nagorno-Karabakh almeno venti giorni prima dell’inizio dei combattimenti. Aggiungendo che lo stipendio promessogli era di circa 1700 euro mensili. Magari non tantissimi (un po’ meno che in altri contesti similari, mi risulta), ma pur sempre parecchi se rapportati alla disastrosa situazione in cui versa oggi gran parte della Siria. Rivestito con la divisa dell’esercito azero, il mercenario a basso costo era rimasto in attesa nei pressi della frontiera fino all’inizio dei combattimenti alla fine di settembre. In una successiva conversazione telefonica, sempre con la BBC, riferiva di almeno una decina di caduti tra i suoi commilitoni di origine siriana. Da notare che nel frattempo gli era stato restituito il cellulare sequestratogli all’arrivo (evidentemente per non lasciar trapelare in anticipo qualche notizia sui preparativi bellici di Baku).
Parecchi di questi combattenti mercenari, si era detto, provengono da Iblid. E proprio da Iblid, curiosamente, è partita un’infuocata fatwa, emessa da uno sceicco di origine egiziana. Per questo esponente della galassia islamista radicale, originariamente legato al gruppo Hayat Tahrir Al-Cham, lasciare la Siria – e la jihad – per partecipare alla guerra in Nagorno-Karabakh sarebbe un grave atto peccaminoso in quanto su quelle montagne si scontrerebbero “due eserciti laici” mentre la vita “è sacrificabile soltanto per Dio”.
N O T E
1) A metà settembre, la Commissione internazionale indipendente delle Nazioni unite sulla Siria ha pubblicato un rapporto sul regime di terrore imposto dall’Esercito Libero Siriano nelle zone curde sotto il suo controllo. Un lunga lista di quotidiane violazioni dei diritti umani: saccheggi, omicidi, stupri, sequestri di persona, esecuzioni extragiudiziali e torture (sotto lo sguardo comprensivo e complice della Turchia).