L’Europa occidentale – al contrario di altre regioni del globo – può dirsi pressoché libera da dispute territoriali e irredentismi, accantonati dopo i tragici esiti di due guerre mondiali. All’interno del quadro delineato, la Spagna costituisce un’eccezione, in virtù del numero insolitamente alto di diatribe confinarie, la cui portata è tutt’altro che irrilevante: infatti, le autorità spagnole hanno un conto in sospeso con tre nazioni, ovvero Marocco, Gran Bretagna e Portogallo. Nel dettaglio, Madrid pretende da Londra la cessione di Gibilterra, Rabat brama l’annessione di Ceuta, Melilla e delle plazas de soberanía, mentre Lisbona rivendica i municipios di Olivenza e Táliga.
Tra le diverse questioni, quella oliventina rappresenta senz’altro la più innocua, nonostante l’antichità delle sue origini. Chiunque desideri comprendere le radici di tale diverbio, necessita di ripercorrere la storia delle due nazioni, con un occhio di riguardo per la frontiera che le separa.
La nascita del Portogallo
Agli inizi del XII secolo la penisola iberica era controllata dai mori, eccezion fatta per la contea di Barcellona e i regni di Castiglia, León-Galizia, Navarra e Aragona. In particolare, le terre portoghesi erano divise in due parti: le regioni a nord si trovavano sotto dominazione leonese, mentre i musulmani controllavano la porzione centromeridionale.
Il Portogallo settentrionale conseguì la propria indipendenza nel 1139, quando Alfonso VII, re di León, riconobbe la secessione delle aree lusofone. Nell’arco di un secolo, i portoghesi si espansero verso sud, cacciando i mori entro il 1249, anno della conquista dell’Algarve.
Olivença fu fondata proprio nei territori strappati ai saraceni, non lontano dalla frontiera che separava il Portogallo dalla Castiglia; tuttavia, all’epoca la demarcazione territoriale era piuttosto grossolana, generando frequenti diverbi tra i due Paesi.
Una città di confine
Il trattato di Alcañices, siglato nel 1297, permise di chiarire la situazione, fissando parte del confine sudorientale lungo il fiume Guadiana. Olivença, malgrado la sua collocazione a est del corso d’acqua, venne riconosciuta come portoghese. Questo confine venne poi ereditato dalla Spagna, formatasi nel 1469 attraverso il matrimonio tra Isabella I di Castiglia e Ferdinando II d’Aragona.
Il Regno del Portogallo, però, perse la propria indipendenza nel 1580, quando una crisi dinastica – innescata dal prematuro decesso del sovrano Sebastiano – consentì al re spagnolo Filippo II di acquisire la corona lusitana. Di conseguenza le terre portoghesi – compresa Olivença – passarono sotto Casa d’Asburgo, che dal XVI al XVII secolo controllò l’intera penisola iberica, a esclusione del minuscolo Principato di Andorra. La dominazione spagnola – osteggiata dai sudditi lusitani – cessò soltanto nel 1640, quando una rivolta ripristinò l’indipendenza del Portogallo.
Ciononostante, i rapporti tra Madrid e Lisbona rimasero tesi per diversi anni, segnati da periodici scontri armati. In tale contesto, nel 1657 la Spagna occupò Olivença, conservandone il possesso fino 1668, quando un accordo di pace riconsegnò la località al legittimo possessore.
Una seconda invasione – verificatasi nel 1707 durante la guerra di successione spagnola – strappò nuovamente la cittadina al Portogallo, prontamente restituita al termine del conflitto.
Periodo napoleonico e Congresso di Vienna
Nel 1793, Madrid e Lisbona – alleati di Londra – dichiararono guerra alla Francia, da poco divenuta repubblicana. Nondimeno, i risultati raggiunti dagli attaccanti furono deludenti, cosicché la Spagna – sconfitta militarmente dai francesi – decise di deporre le armi dopo due anni, firmando un trattato di amicizia con Parigi.
Il Portogallo, invece, rappresentava una preda ambita da tre contendenti: la Francia desiderava trasformarlo in alleato, la Gran Bretagna voleva mantenerlo nel blocco antifrancese, mentre gli spagnoli speravano di poter assoggettare i lusitani.
I francesi non riuscirono a concretizzare i loro auspici, motivo per il quale permisero alla Spagna di aggredire i portoghesi nel 1801. La breve conflagrazione – conosciuta come guerra delle arance – si concluse con la sconfitta di Lisbona, costretta ad accettare il trattato di Badajoz, che attribuiva a Madrid i paesi oltre il fiume Guadiana.
La pace, però, non durò molto, poiché sei anni più tardi le truppe franco-spagnole occuparono e spartirono il Portogallo, liberato soltanto nel 1811 grazie all’intervento di Londra. I lusitani riuscirono così a riconquistare Olivença, la quale, tuttavia, fu abbandonata su richiesta dei britannici, che intendevano presentarsi come mediatori tra le due nazioni rivali.
Nel 1813 la Spagna propose di scambiare Olivença per la Guinea Bissau, all’epoca colonia portoghese; tuttavia, l’offerta venne respinta da Lisbona. In seguito alla prima caduta di Napoleone – avvenuta nel 1814 – le potenze europee stipularono il trattato di Parigi, nel quale era prevista l’invalidazione del documento di Badajoz. Ciononostante, Madrid non riconobbe la clausola, mantenendo de facto il possesso della località contesa.
La questione venne riaperta l’anno successivo, una volta crollato definitivamente l’impero napoleonico. L’articolo 105 contenuto nell’atto finale del Congresso di Vienna, infatti, prevedeva la restituzione di Olivença al Portogallo, senza però fornire alcuna indicazione riguardo alle tempistiche per la sua attuazione. Eppure, Madrid respinse l’articolo 105 fino al 1817, quando i portoghesi occuparono Montevideo, all’epoca parte dei domini spagnoli del Sudamerica.
A quel punto, la Spagna chiese l’evacuazione dei soldati lusitani dall’Uruguay, in cambio della riconsegna di Olivença; tale accordo, però, non poté concretizzarsi poiché nel 1822 il Brasile proclamò l’indipendenza, ereditando de facto il possesso di Montevideo. Il Portogallo, privato della colonia americana, non disponeva più della sua merce di scambio, rendendo irrealizzabile l’offerta avanzata dall’avversario. Malgrado ciò, Lisbona continuò a presentare protesta formale – almeno fino al 1931 – senza riscuotere alcun successo
Da Olivença a Olivenza
Nel 1801 Olivença – annessa al Regno di Spagna – divenne Olivenza, una città spagnola abitata da cittadini di lingua portoghese. Per rompere definitivamente i legami tra la comunità e il Portogallo, nel corso dei decenni successivi le autorità madrilene imposero la castiglianizzazione coatta, con l’intento di eliminare il dialetto oliventino.
Questa politica – perpetuata fino al termine del regime franchista – ha cambiato radicalmente la composizione linguistica della zona, ormai prettamente ispanofona. Attualmente rimangono poche centinaia di parlanti lusofoni, sparsi tra Olivenza e l’ex frazione di Táliga (Talega in portoghese), divenuta comune indipendente nel 1850.
Il portoghese oliventino è considerato in pericolo d’estinzione, dato che la maggioranza dei locutori ha almeno 70 anni, mentre le generazioni più giovani parlano quasi esclusivamente castigliano. La situazione critica ha spinto le autorità locali ad avviare un processo di rivitalizzazione linguistica, attraverso lezioni scolastiche, corsi per adulti e cartelli bilingui, con esiti finora modesti.

Insomma, Olivenza e Táliga appaiono ormai ampiamente integrate nel Regno di Spagna, che considera la zona una parte inalienabile del territorio nazionale. D’altronde, gli stessi abitanti non sembrano contrari allo status quo, in mancanza di istanze separatiste o irredentiste o da loro espresse. Il Portogallo, dal canto suo, non ha mai rinunciato ai borghi perduti, considerandoli tuttora sotto occupazione illegale; tuttavia, la questione non impatta concretamente sulle relazioni bilaterali tra Madrid e Lisbona, che continuano a essere molto buone.
La controversia riaffiora saltuariamente – suscitando non pochi imbarazzi – soprattutto per iniziativa del Grupo dos Amigos de Olivença, un’associazione irredentista che propugna la restituzione dei paesi reclamati. Ad esempio, negli anni ’80 del Novecento fu ideata la costruzione di un ponte sul fiume Guadiana, con l’obiettivo di collegare le due nazioni; inizialmente, però, il governo lusitano si oppose al progetto, poiché rifiutava di coinvolgere la Spagna nella sua realizzazione. Infatti, secondo il Portogallo entrambe le sponde sarebbero portoghesi: di conseguenza, la collaborazione con Madrid non solo era giudicata insensata ma anche pericolosa, poiché avrebbe comportato l’implicito riconoscimento del possesso spagnolo di Olivenza. Alla fine, il ponte venne edificato, ma di spese e lavori si occupò solamente Lisbona.