Imperdibile intervista de “La Verità” a Michelangelo Severgnini, il regista che ha denunciato la reale situazione libica e le manovre criminali per far arrivare a ogni costo i clandestini in Italia.
Michelangelo Severgnini riesce a sentirmi? Dove si trova?
Sono appena arrivato a Pisa. Teoricamente ci sarebbe una proiezione del mio film anche se queste non sono più autorizzate dal produttore. Vediamo come va a finire.
Che cosa fa Michelangelo Severgnini nella vita? Il reporter? Il regista? Il free lance?
Ho fatto documentari per la tv dal 2004 al 2008. Ho vinto un premio Ilaria Alpi nel 2007. Poi sono andato all’estero per dieci anni. Questo normalmente sarebbe il mio mestiere. Così doveva essere anche in questo caso. Solo che il trattamento che ho ricevuto per questo film è andato al di là di ogni aspettativa.
Quale film?
L’urlo, tratto da un mio libro edito da L’Antidiplomatico.
Parliamone…
Nel 2018 sono tornato in Italia dopo dieci anni all’estero. Ho trovato un paese completamente cambiato che non riconoscevo più. Uno dei primi argomenti su cui non capivo più niente era l’immigrazione. Argomento che pensavo di conoscere bene. Ma ho subito scoperto che il fenomeno era completamente sfuggito di mano. Mi sono fatto quattro domande sulle cause e su quello che stava succedendo in Libia. Nessuno era in grado di rispondere. Dovevo trovare fonti dirette là per capire cosa stesse succedendo, e quattro anni fa ho messo a punto un metodo di lavoro.
Ovvero?
Si basa sulla geolocalizzazione. Entro in contatto con tutti quelli che usano internet dalla Libia. Sui social ho parlato con un migliaio di persone nel giro di quattro anni. Libici, migranti-schiavi, soprattutto. Tanti messaggi vocali da parte loro. Tutto nel film.
Che realtà ha trovato?
La Libia è completamente un’altra cosa rispetto a quella che raccontiamo da dieci anni in qua. Peraltro, sei di questi dieci anni all’estero li ho vissuti a Istanbul. Parlo corrntemente il turco e mi sono reso conto che le informazioni in arrivo dalla Libia passano tutte da lì. La Turchia ha tutto l’interesse a farci capire l’esatto contrario di ciò che sta succedendo in Libia.
Ci spieghi, siamo curiosi.
Ci sono due Libie diverse. Un 20% – sostanzialmente Tripoli e dintorni – è fuori controllo. Cè un governo illegittimo che l’Italia riconosce e le cui milizie noi finanziam. Il resto del Paese è invece pacificato sotto il controllo delle legittime autorità. L’esercito sta chiuso nelle caserme perché non c’é bisogno di soldati nelle strade.
Quella che lei chiama “vera Libia” sarebbe sotto il controllo del generale Haftar?
No. Haftar è il comandante legittimo dell’esercito nazionale libico nominato con un voto di fiducia del Parlamento. Non comanda un bel niente. Non ha fatto nessun golpe. Se ce la raccontiamo cosi è perché i turchi hanno l’interesse che la capiamo in quel modo. La verità è che il leader turco Erdogan è impantanato a Tripoli con i suoi tagliagole mentre le autorità di Bengasi ci stanno aspettando a braccia aperte. Il petrolio lo hanno loro. Ma noi continuiamo a fermarci a Tripoli perchè “impariamo” la Libia dai turchi.
E la Russia che cosa controlla in Libia?
Un bel niente. La Turchia controlla militarmente il 20% del territorio libico. Tripoli e dintorni.
La polveriera?
Esatto. I centri di detenzione stanno tutti li. Sono loro che controllano e moltiplicano il traffico degli esseri umani. Non è affatto vero che lo hanno interrotto, tutt’altro. I turchi hanno occupato la base militare di Al Watiya. Nel restante 80% del territorio non ci stanno i turchi. C’è una presenza capillare ma limitata della Wagner. Tante delle armi acquistate da Gheddafl in passato provenivano
dall’Unione Sovietica e servono tecnici russi per farle funzionare. Servono pure a controllare i confini dello stato libico per conto delle legittime autorità. Ma sono in difficoltà perché l’Europa sta finanziando Tripoli e non Bengasi.
Come finisce uno sventurato nei campi di detenzione?
Viene adescato dalle mafie africane che promettono un rapido passaggio verso l’Europa. Ma una volta arrivati in Tripolitania vengono ridotti in schiavitù e normalmente rimangono anni in quello stato. Aquel punto chiedono di tornare a casa.
Sono costretti a pagare un riscatto per tornarsene a casa?
No, no, no. Vengono proprio sottoposti a tortura a scopo di estorsione. Mentre urlano dal dolore le milizie chiamano le famigIie: “Questo è vostro figlio. Mandate i soldi o lo finiamo sotto i ferri”.
Una volta riscattati, i ragazzi vengono abbandonati in mezzo alla strada e dopo un po’ di tempo vengono verosimilmente catturati di nuovo. E ricomincia tutta la trafila.
Un inferno senza fine…
Senza la possibilità di andare avanti e senza la possibilità di tornare indietro.
Perché le ONG si sono arrabbiate così tanto di fronte al racconto che lei fa nel film?
Perché già nei primi 20 minuti saltano quelli che io chiamo “i due pilastri della loro narrazione fiabesca”. Il primo è che le ONG non vogliono sentirsi dire che questi sventurati vogliono tornare a casa. Non lo puoi proprio dire. Il secondo è quando un migrante dice: “Qui tanti vogliono tornarsene a casa, ma voi europei volete spingerli una volta di più a rischiare la vita, stavolta in mare”.
Questo messaggio cosa spiega? Non è che gli europei li spingono, ma li attraggono. Gli sventurati sono online. Io li ho conosciuti così. Seguono le pagine social delle ONG. Controllano meticolosamente La posizione delle loro navi. Quando sanno che sono lì vicine si rivolgono agli scaflsti e chiedono di farsi imbarcare perché sanno che troveranno la ONG.
Il dilemma per loro è tornare a casa o proseguire…
Dietro c’è il Sahara e sulle loro gambe non possono tornare. L’Organizzazione internazionale della migrazione ha già rimpatriato “volontariamente” 60.000 di loro. Ma le autorità di Tripoli non hanno interesse ad autorizzare questi voli. La loro economia si regge su questo racket.
Ci sono 44.000 migranti già censiti con un codice, con un tesserino in mano e riconosciuti dal diritto internazionale. Avrebbero facoltà di scegliere la loro destinazione in Europa bypassando l’accordo di Dublino. Potrebbero essere già tranquillamente redistribuiti. Ma preferiscono farli arrivare illegalmente via mare. Questa si chiama “selezione naturale”.
Da dove arrivano 1 disperati?
Eritrei, somali e sud sudanesi. Questi hanno diritto alla protezione internazionale. Poi ci sono tutti gli altri, che quando capiscono queta cosa chiedono di essere riportati i nelle loro case.
E quando vengano recuperati in mare dalle autorità libiche?
Autorità di Tripoli, non libiche. La guardia costiera libica è un’altra cosa. Tornano nell’inferno e di nuovo torturati. Raccolgono 4000 euro ciascuno. Noi non mandiamo i soldi alla Libia, ma a Tripoli. E questi non servono a gestire l’immigrazione ma vanno alla voce “spese militari”. Tutto riportato
nel mio libro con documenti esclusivi di cui sono entrato in possesso.
Il governo italiano sottobanco rifornisce militarmente il governo di Trìpoli attraverso l’ospedale da campo di Misurata. Stiamo finanziando una giunta coloniale che controlla il 20% del territorio. Tripoli e dintorni contro tutto il resto del popolo libico. Ho realizzato un documentario per Byoblu che andrà in onda queta sera alle 20.30: Il cielo sopra Bengasi. Da loro la benzina costa 3 centesimi al litro. Ripeto: 3 centesimi.
Come e possibile?
Tutti i pozzi di petrolio stanno in questo 80% di territorio. Ma la risoluzione ONU 2362 del 2017 impedisce che Bengasi possa venderlo all’estero. Possono farlo facendolo transitare da Tripoli, che finiva per requisirne il 40%. Tutto documentato dalle autorità libiche. Petrolio venduto illegalmente a Malta, Italia. Grecia e Turchia. C’è addirittura un’indagine della procura di Catania sul petrolio che arriva illegalmente dalla Tripolitania. L’ho detto di persona al presidente del Senato, Ignazio La Russa, la settimana scorsa. L’indagine è ferma. Ecco perché la benzina a Bengasi costa così poco.
Torniamo agli immigrati.
Gli immigrati in Tripolitania sono 700.000. Quest’anno 40.000 hanno raggiunto l’Italia e altrettanti sono stati riportati in Libia. Significa che 16 su 18 non hanno proprio visto il mare. Uno su 18 ha
raggiunto l’Italia. E 1 su 18 viene riportato in Libia. Ecco perché vogliono tornare a casa e non venire da noi.
A Napoli hanno proiettato il tuo film. Che è successo?
Dopo 20 minuti, si alza un “amico” delle ONG, prende il microfono e interrompe la proiezione. È tutto in rete. E gli organizzatori dell’evento si sono scusati con le ONG e non con me, cioè il loro ospite il cui film non è stato proiettato. Nemmeno ini hanno porto il microfono per farmi replicare agli insulti e alle accuse.
La proiezione del film diventa il loro comizio…
Da oggi il produttore non autorizza più proiezioni. Arrivano diffide dalle ONG. Uno dei tantissimi
migranti che mandano messaggi vocali riportati nel film, nel frattempo, è arrivato in Italia ed è stato
raggiunto e convinto a ritrattare. Aizzato dalle ONG. Sta dicendo che io gli avrei estorto l’audio.
A distanza di centinaia e centinaia di chilometri…
Peraltro, questi messaggi sono tutti ottenuti in base a un accordo: “No face no name”. Tutelo il loro
anonimato, così parlano liberi. Ma ho riconosciuto la persona che ha ritrattato. È lui che rivendica di
avermi mandato il messaggio. Sui suol 20 secondi di messaggio – in oltre 80 minuti di film – ci sarà un sonoro bip di censura a seguito di queste lettere di diffida e minacce. In rete non si farà fatica a trovare articoli diffamatori contro di me. Ecco perché il produttore è spaventato dalle ONG. Culturalmente è anzi vicino a quel mondo. Ma io vado avanti.
Quali sono le ONG più infuriate?
Non pubblicano sui loro canali apertamente in questo momento. Mandano avanti figure intermedie.
Un paio di giornalisti. E poi questo migrante che prova a ritrattare.
Fabio Dragoni, “La Verità”.