Prigionieri politici in Turchia e Iran: un aggiornamento

Come i grani di un rosario, continua incessante il calvario dei prigionieri politici curdi, turchi, iraniani…
Cominciamo dalla morte della prigioniera politica curda Somayeh Rashidi. Arrestata nella capitale iraniana, nel quartiere di Javadiyeh, il 24 aprile per aver scritto slogan anti regime sui muri della città. Colpita con calci e pugni al capo, al volto, alle gambe e all’addome. Inoltre la sua testa veniva violentemente sbattuta contro un muro e un agente l’aveva premuto a lungo e con forza sul petto con un ginocchio impedendole quasi di respirare.
Accusata di “propaganda contro lo Stato”, veniva inizialmente rinchiusa per alcuni giorni nel centro Agahi 15 Khordad di Teheran, subendo ulteriori violenze e torture. Poi trasferita nell’ormai internazionalmente noto carcere di Evin e infine, dopo i bombardamenti israeliani, in quello di Qarchak (a Veramin). Nonostante da mesi soffrisse di ripetuti attacchi epilettici – probabile conseguenza delle percosse subite al momento dell’arresto – è stata mantenuta in prigione fin quasi alla fine dei suoi giorni. Addirittura i medici del carcere l’accusavano di “simulare una malattia” prescrivendole soltanto sedativi, e sarebbe stata nuovamente picchiata durante una crisi.
Soltanto quando le sue condizioni di salute apparivano irreparabilmente compromesse, la militante curda veniva sottoposta a esami medici (stando a quanto riporta l’agenzia curda Mezopotamya) “non approfonditi”. Per il comunicato emesso dalle autorità penitenziarie sarebbe stata diagnosticata una presunta quanto improbabile “tossicodipendenza”. Favorendo così un ulteriore deterioramento delle sue condizioni e portandola – dopo undici giorni di una tardiva e ormai inutile terapia intensiva all’ospedale Mefteh – al coma e infine alla morte.
L’ennesimo decesso di un prigioniero politico malato per la negligenza istituzionale e per mancanza di cure adeguate. L’ultimo risaliva a qualche giorno prima quando (come denunciato dall’Organizzazione iraniana per i diritti umani) Jamila Azizi aveva perso la vita nelle stessa prigione in circostanze analoghe.

Somayeh Rashidi aveva 42 anni.

Scioperi della fame

Contemporaneamente in Turchia prosegue lo sciopero della fame di decine di prigionieri politici della sinistra rivoluzionaria che richiedono la chiusura delle prigioni di tipo S, R e Y (quelle denominate “pozzi”).
Uno di loro, Serkan Onur Yılmaz (rinchiuso nella prigione di tipo F di Bolu e giunto al 318esimo giorno di “digiuno fino alla morte”) è stato trasferito e ospedalizzato per decisione dell’amministrazione penitenziaria. Forse per essere sottoposto all’alimentazione forzata (definita da Amnesty International una forma di tortura).
Ancora pienamente cosciente e consapevole, Serkan Onur Yilmaz si è opposto a tale decisione. Presìdi di solidarietà si stanno ora svolgendo davanti alle ambasciate turche in varie città europee, in particolare a Parigi.
Invece un altro prigioniero politico, il curdo Ali Haydar Elyakut (condannato all’ergastolo nel 1993, all’età di 17 anni e ultimamente detenuto nel carcere di tipo T di Karabük) è tornato in libertà dopo 32 anni trascorsi nelle prigioni di Diyarbakır, İzmir Şakran, Semsûr, Amasya, Kırıkkale, Ankara e Karabük.