Conobbi i Qero alcuni anni fa a Qoylloriti, la festa del ghiaccio. Erano accampati sulle cime più alte e si tenevano a distanza dal resto della folla per sottolineare di essere una comunità a sé stante. Da allora provai a contattarli ma non fu semplice. La risposta arrivò solo dopo mesi di tentativi e mediazioni.
I Qero vivono nella regione di Cusco, tra le province di Paucartambo e Quispichanci, sulle montagne della Cordigliera Orientale del Peru e non sono raggiungibili con auto o fuoristrada ma soltanto a piedi, con lunghe ed estenuanti marce.
Ci sono 5 insediamenti qero, di cui 4 relativamente vicini tra loro: per arrivare ai primi villaggi sono necessarie varie ore di viaggio su strade sterrate e una marcia sui ripidi pendii delle Ande. Il quinto villaggio si chiama Qochamoco. È molto distante dagli altri quattro, sperduto nel cuore delle Ande. Quasi nessuno ne conosce l’esistenza. Per raggiungerlo bisogna marciare lungo un percorso che valica montagne di quasi 6000 metri di altezza. E una volta arrivati, farsi accettare dai Qero di Qochamoco è veramente difficile.
Qochamoco
L’abitato si trova a circa 4500 metri di altezza, mimetizzato nell’arido altipiano andino, nascosto nelle foschie e battuto dal vento. Quasi ogni giorno a metà mattina arriva la nebbia, a cui spesso si accompagnano gelo o neve. Questo clima singolare è dovuto all’incredibile vicinanza della giungla amazzonica che fa salire l’umidità verso le Ande.
Nel villaggio vivono circa 90 persone legate tra loro da una parentela molto stretta: per ripararsi dal freddo non è raro che due famiglie vivano insieme in una decina di metri quadrati.
Gli abitanti di Qochamoco parlano l’antico dialetto quechua, e non sospettano che il loro stile di vita abbia qualcosa di prezioso che un occidentale vorrebbe tanto ritrovare… Anche se ubriachi di coca e aguardiente, il cocktail micidiale che aiuta a sopravvivere al gelo e alle altitudini andine, i Qero ricordano bene le origini incaiche del loro popolo.
Si considerano i discendenti degli Inca
I Qero si considerano gli unici eredi della tradizione spirituale incaica, i pronipoti di quel popolo che si rifugiò sulle Ande per sfuggire all’implacabile inquisizione spagnola.
Secondo la storia, tramandata con una forma particolare di scrittura, espressa tramite nodi su trecce di lana d’alpaca, in Peru avvenne uno dei più spaventosi genocidi della storia dell’umanità.
I pochi che sfuggirono al massacro si rifugiarono sulle vette più alte delle Ande, inseguiti dagli spagnoli che, tuttavia, non riuscirono a raggiungerli con i loro cavalli e le pesanti armature.
Secondo la tradizione dei Qero, i loro antenati inca li difesero dai conquistadores quando tentarono di invaderli, aiutati dalle locali divinità delle montagne, gli Apu, che devastarono l’esercito spagnolo nei pressi di Wiraquchapampa.
Una vita dura tra le montagne
I Qero vivono una profonda spiritualità legata alla terra, alla montagna e ai più antichi simboli sacri della cultura incaica. Secondo loro il mondo è retto da un governatore, Pachaqamaq, e tutte le creature viventi, comprese le piante, costituiscono le sue cellule cerebrali; ogni pianeta ha il proprio Qamaq, inteso come mente, pensiero primordiale organizzatore.
Il mondo in senso materiale è invece costituito da Pachamama, la madre terra di tutte le culture amerindie: è raffigurata da una donna vestita con 7 sottane con i colori dell’arcobaleno. La Madre è amorevole e pronta a soddisfare le richieste dei suoi figli, che si rivolgono a lei per qualsiasi necessità.
Le condizioni di vita a Qochamoco sono estremamente difficili. L’alimentazione si basa quasi esclusivamente sulle patate, che vengono cotte con il fuoco di sterco di alpaca. Nei diversi mesi dell’anno e a varie altitudini i Qero coltivano 40 tipi di patate diverse, zappando la terra con la ciakitap, la stessa zappa usata dagli Inca.
Spesso devono eseguire la lavorazione della moraia, un’usanza millenaria che anticipa il moderno procedimento di liofilizzazione. Dopo aver lasciato congelare le patate all’aperto per alcune notti, le donne le raccolgono e le suddividono a seconda della grandezza. Poi le pigiano con i piedi fino a quando non hanno eliminato tutta l’acqua. Dopo la disidratazione, le patate vengono fatte essiccare al sole per due settimane. Un processo appreso e utilizzato anticamente dagli spagnoli per conservare i propri alimenti. Secondo alcuni, le patate trovate nelle tombe inca sarebbero ancora commestibili, sebbene siano passati più di 500 anni.
Alle 4 del mattino, all’interno di case di pietra e fango, gli abitanti consumano il pasto più importante della giornata. Qui nessuno conosce la propria età… e d’altronde i Qero di Qochamoco non ricordano con certezza quando sono nati.
La coca aiuta a sopravvivere
Per i Qero la foglia di coca è un bene prezioso. È la pianta sacra per eccellenza.
Si racconta che il dio della terra trasformò il corpo di una donna in una foglia di coca. Il termine coca, nell’antico dialetto andino, significa cibo per i viaggiatori, infuso per le medicine, strumento per la divinazione ma soprattutto energetico.
Attraverso la lettura delle foglie i Qero interrogano le divinità della montagna sulla sorte del villaggio. Un’usanza che scandisce e condiziona gli eventi più significativi di Qochamoco, cioè il destino di ognuno. Gli sciamani lanciano a terra le foglie, che possono cadere sulla faccia verde o grigia, possono sovrapporsi o volare lontano. Da ognuna di queste combinazioni, sono in grado di predire il clima o l’esito del raccolto, la fortuna, la salute, gli amori e la morte.
Spesso, sul far della sera, le famiglie allestiscono un piccolo altare e celebrano il rito della Pachamama, la Madre Terra, con la coca. Tutti pregano sottovoce e soffiano sopra ogni foglia per infondere la propria energia vitale prima di effettuare l’offerta vera e propria, che consiste nel deporre al suolo una carta chiamata despacho e adagiarvi sopra la coca con una conchiglia che rappresenta il potere femminile, sia terreno sia cosmico.
Di solito la cerimonia notturna si protrae per ore, una lentezza che è parte della solennità del rito, mentre le famiglie recitano invocazioni in onore degli Apu, gli dèi delle montagne. La separazione tra il mondo materiale e quello spirituale sembra svanire mentre la sacralità si fa sempre più tangibile.
Urina contro la polmonite
Di tanto in tanto il freddo fa le sue vittime, e i malati con la febbre sono costretti a rimanere all’interno delle loro abitazioni. Di solito si tratta di polmonite. A Qochamoco, però, c’è una potente curandera che affronta le malattie con una medicina chiamata paco e con l’urina. Dopo aver arroventato alcune pietre, le pone in una ciotola colma di urina ai piedi del malato: i Qero credono che il vapore sprigionato curi varie malattie polmonari.
I bambini sono molto attenti agli insegnamenti dei genitori e partecipano intensamente e con grande impegno alle attività degli adulti. Nel villaggio, le madri istruiscono le figlie a tessere i colorati vestiti dei Qero, una tradizione tramandata da secoli.
Pastori di alpaca fin da bambini
Manuel è governatore di Qochamoco, uno dei pochi che possono intrattenere relazioni politiche con il mondo esterno. È proprietario di un gregge di alpaca, animali che i Qero considerano come fratelli.
Anche Manuel insegna sempre qualcosa di nuovo ai propri figli adolescenti, in particolare come gestire gli alpaca e come tosarli. Questi sono i lavori da uomini. Dell’alpaca si utilizza tutto: il pelo con cui si tessono gli abiti, la carne, il grasso con sui si fanno le candele e lo sterco per accendere il fuoco.
I figli di Manuel sono ancora ragazzini, ma fanno tesori degli insegnamenti paterni e sono coscienti che ci sono molti pericoli in agguato, come il puma o il rischio che un alpaca si perda nella nebbia o precipiti in un burrone. Giocano come tutti gli altri coetanei, girando per il villaggio con il loro flauto, ma sanno che non possono sottrarsi al proprio dovere: un giorno uno di loro potrebbe diventare il nuovo governatore di Qochamoco.