Il problema dell’insegnamento dell’arbëreshë, dopo aver angustiato per vario tempo le comunità italo-albanesi, sembra che cominci ad essere, se non risolto, almeno volto verso una qualche soluzione.
Il problema riguarda le scuole dell’obbligo, poiché, a livello universitario, sono state istituite dal 1900 in poi cattedre a Padova, a Roma, a Napoli, a Bari, a Cosenza, a Palermo. Evidente¬mente questa scelta politica è stata suggerita dal fatto che, riferendosi l’art. 6 della Costituzione italiana (“La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”) a minoranze “linguistiche”, si è voluto minimizzare il problema affidando il corso di studio ai linguisti appunto. Ora le iniziative (ad es. pubblicazione di riviste arbèresh, convegni, formazione di leghe, associazioni ecc.) degli Arberesh per sensibilizzare i politici e la politica italiana sono state e sono davvero numerose. A questi sforzi, come compenso, sono seguite esclusivamente proposte di legge e promesse da parte di politici (soprattutto in periodo preelettorale).
A proposito di queste proposte di legge (che tali sono rimaste) abbiamo avuto, tanto per segnalarne qualcuna, la legge 28 luglio 1971 n. 519, che impegna la Regione Calabria a valorizzare il patrimonio storico, culturale ed artistico e l’insegnamento dell’albanese nelle scuole; lo statuto del Comitato federale per le comunità etnico-lingui stiche e per la cultura regionale in Italia, del 1978; il progetto di legge unificato elaborato dalla IV Commissione regionale di politica sociale della Regione Calabria nella seduta del 3 ago-sto 1978; e così via di seguito.
Queste inadempienze politiche si spiegano sia perché la questione delle minoranze linguistiche non ha costituito per lo stato italiano un problema dal punto di vista giuridico; sia per la presenza al potere di ideologie colonialistiche fortemente favorevoli alla concentrazione dei poteri al centro, senza alcuna concessione a forme di autonomia sia amministrativa che culturale. È chiaro allora che il tanto appellato articolo 6 non ha mai trovato alcuna attuazione. Quello che praticamente si è ottenuto è stato una serie di concessioni particolari, a favore di quelle minoranze che più energicamente hanno rivendicato i propri diritti, minacciando il separatismo.
Ultimamente il problema — che sarà risolto solo allorché il ministro della Pubblica Istruzione regolarizzerà la questione — sembra avviarsi ad una parziale soluzione (o meglio, sembra che si voglia solo ovviare al problema con delle fittizie soluzioni). Infatti si dà agli insegnanti di ruolo, che svolgano la loro attività nelle scuole a tempo pieno, la possibilità di richiedere nell’ambito degli insegnamenti speciali anche l’insegnamento dell’albanese. E sono i circoli didattici ad affidare l’incarico, richiesto per interesse e passione verso la materia, la quale si insegna con l’alternare lezioni di storia e lingua, vivacizzandola con poesie, canti popolari, recite, disegni, rappresentazioni varie.
Quanto alla organizzazione del corso ed alla scelta delle classi in cui insegnare, è demandato alla decisione dell’insegnante, il quale può riservarne l’insegnamento ad una, due o più classi. Non mancano, poi, comunità nelle quali è l’amministrazione comunale stessa che indice dei corsi popolari. Appare chiaro che non c’è una forma, una maniera unica di insegnamento, e c’è anche da dire della impreparazione didattica dipendente dalla politica scolastica “fascista” (che non molto tempo fa puniva con la famosa “bacchettata” chi si fosse azzardato a parlare in albanese a scuola). Considerare questi limiti soltanto non basta; bisogna infatti porre il problema nel quadro della tematica arberesh.
Indubbiamente l’insegnamento di una lingua che per 500 anni si è conservata tramandandosi di generazione in generazione, di una lingua che è una delle più rare soppravvivenze del gruppo linguistico traco-illiro, costituisce un valido antidoto nei confronti della deprivazione e dell’impoverimento linguistico operato dai mass media, dalla industria culturale in genere e dalla politica colonizzatrice volta sempre più a imporre il silenzio e a sostituirsi completamente a questa cultura e a questa società agonizzante che, con ritmo accelerato, sta perdendo progressivamente la propria identità culturale.
La soluzione ottimale sarebbe quella di utilizzare positivamente l’insegnamento dell’arbèresh come supporto, come punto di riferimento per il “confronto riflessivo” nell’apprendimento della lingua italiana, la quale viene denominata proprio come “educazione linguistica”. È necessario allora creare un rapporto interagente tra i due insegnamenti, “sviluppare una migliore capacità linguistica ed una creatività linguistica di qualità superiore”. Solo così si arricchirebbero le capacità intellettive, di acquisizione, del bambino arberesh, il quale inizia la vita scolastica a volte sprovvisto di una conoscenza, a tutti i livelli, dell’italiano.
Per concludere, l’ideale per dare ossigeno a questa creatura in coma sarebbe quello di adoperare altri strumenti ausiliari, fondati su di una maggiore capacità di comunicazione, come la creazione radio-televisiva di programmi arbSresh, la promozione di ricerche in tutti i settori, una diversa educazione e partecipazione popolare nella riscoperta e valorizzazione attiva di ciò che merita di essere risuscitato.
A corollario di quanto sopra, segnalo che a Vaccarizzo Albanese abbiamo formato un comitato e abbiamo organizzato un notevole convegno: “La sagra nazionale del costume arberesh”. Attorno a questa ruota una serie di altre iniziative: tavole rotonde, esibizioni folkloristiche, teatrali, gare di cucito (si intende di costumi albanesi), mostre di gigantografie e di costumi originali arbèresh, una giornata nelle scuole dell’obbligo di comuni albanesi d’Italia ecc., ed il tutto in vista dell’inaugurazione, che avverrà l’8 aprile, di un Centro demologico arberesh con sede sempre a Vaccarizzo. Nell’ambito di queste iniziative il Comune, su richiesta di una mia collega e mia, ci ha incaricato di tenere un corso popolare di lingua, storia, letteratura e folklore arberesh con la collaborazione del papas Giuseppe Faraco. Ci auguriamo che il nuovo Centro possa coinvolgere tutti i comuni albanesi d’Italia e costituisca un fattore determinante per la promozione ed il coordinamento di concrete iniziative in favore della lingua e della cultura degli Arberesh.
Dove e come
Per quanto riguarda i comuni nei quali si insegna l’albanese posso citare, per le elementari, Vaccarizzo, San Cosmo Albanese, San Giorgio Albanese, San Demetrio Corone, San Giacomo di Cerzeto, Acquaformosa, Contessa Entellina, Castroregio, Frascineto. A Civita ed a Lungro si insegna nelle scuole medie.
Per l’uso dei testi ognuno si regola a seconda delle proprie conoscenze e dei propri studi; ad esempio, il prof. Giuseppe Cacozza di San Demetrio Corone, laureato in lingue, di anni 26, il quale tiene un corso popolare dallo scorso aprile, adopera vari testi: Gju- ha shqipe, voi. I, Tirana, 1978; Manuale di lingua albanese, di F.Solano, Corigliano Calabro, 1972; Teksti i gjuhes shqipe per sludentet e huaj (Testo di lingua albanese per studenti stranieri), di Lumni Radovicka Donika Bo?i, dispenca I-II, Tirana, 1976; Gjuha letrare Shqipe per tè gjithé, Eie- mente tè normés sé sotme letrare kom- bétare (Lingua letteraria*albanese per tutti, elementi delle odierne norme letterarie nazionali); Guida alla conversazione albanese, di F. Solano, Quaderni di Zjarri, 1974; Antologjia e le- térsisé Shqiptare (Antologia della letteratura albanese), Tirana, 1976; Poe- te arbereshé, Tirana, 1974. Questo corso è frequentato da 30 persone di ogni età e di lingua anche diversa dalla locale; i corsi vengono retribuiti dal Comune.
Nelle scuole elementari dello stesso San Demetrio Corone il corso per quasi tutte le classi è tenuto da Alfredo Braile, il quale da anni, assieme al normale svolgimento delle discipline scolastiche, insegna la lingua albanese adoperando dispense e testi in suo possesso, come Libri imi i pare, di Vincenzo Goletti Baffa.
Nelle scuole elementari di Vaccarizzo l’insegnante Giorgio Marano, che l’albanese lo insegna in tutte le cinque classi, adopera Abetare (“abeceda- rio”, shtépia botuese e libritshkollor), Tirana, 1978; Vaccarizzo Albanese, comunità albanofona della provincia di Cosenza, dello stesso Giorgio Marano, Vaccarizzo Albanese, 1980-81.
Naturalmente, questi testi non vengono trasmessi integralmente, .jna solo quelle parti che vengono ritenute più utili od interessanti. Alla fine si ottiene di avere appreso a scrivere, leggere in albanese, conoscere poesie, canti popolari, leggende e storielle albanesi. Per quanto riguarda il Collegio e Liceo di San Demetrio Corone ho trovato che, ad opera del “reai ministro della Istruzione Pubblica”, nell’anno 1849 fu istituita la cattedra di lingua e letteratura albanese. Essa venne affidata al grande Gerolamo De Rada, il quale dovette abbandonare nel 1852 perché accusato di cospirazione contro i Borboni; fu ripristinata nel 1889. Il poeta tenne la cattedra fino al 1903; l’insegnamento durò fino al 1949. Dal ’49 ad oggi non si è più insegnato, malgrado le non poche richieste di copertura rinnovate dagli Italo-albanesi.
Franca Faraco
Arbereshé a convegno
Minoranze linguistiche net Meridione: ancora un problema aperto e ancora un convegno per dibattere questo problema. Come gli altri problemi che affliggono il Sud, anche questo delle minoranze linguistiche sembra senza soluzione. Nessuno, però, sembra essersi rassegnato e continua a combattere, ad insistere, a tenere vivo l’interesse, prima che un generale assopimento possa sopraggiungere quale preludio di una sicura fine di una cultura, di una lingua, di una tradizione, di un popolo.
Tra i gruppi linguistici più vivi e numerosi deH’Italia meridionale, gli Albanesi o Arbereshé sotto consapevoli che, se non si interviene con una pronta legislazione, entro un decennio, potrebbero perdere l’aspetto caratteristico più importante; la lingua o quel che è più grave la struttura della lingua stessa.
Ed ecco che una delle associazioni, VAI ADÌ (Associazione insegnanti albanesi d’Italia) di Lungro, tra te tante che operano nel mondo arbéresh, ha deciso di uscire fuori da un certo torpore in atto, organizzando un convegno nazionale svoltosi a Cosenza il 2 e 3 giugno, che è servito a far giungere agli organismi isti-tuzionali e alle forze politiche ia necessità del varo di una legge-quadro di tutela, proprio in un particolare momento che vede la commissione ristretta, di cui è presidente l’on. Loris Fortuna, darsi da fare per proporre una bozza unificata che però ha lasciato l’amarezza in bocca a tutte le minoranze per il modo in cui essa è stata concepita. Dal mondo albanese è scaturito un documento di protesta e di proposte che pubblichiamo in questo numero di “Etnie”.
Le conclusioni di questo convegno nazionale, che riportiamo di seguito, dovrebbero far meditare quanti sono chiamati a svolgere una politica democratica in Italia, ma nello stesso tempo gli stessi interessati (Arbereshé, Grecanici, Occitani, Sloveni ecc.) sono chiamati ad una maggiore unità perché la loro “istanza” possa pesare sempre più non solo nelle singole realtà regionali, ma in Italia ed in Europa.
Il convegno è stato un campanello d’allarme sui perìcoli che corre allo stato la minoranza linguistica albanese, in assenza di uno strumento giuridico di difesa.
– La lingua, che si conserva da cinque secoli, come tratto dì distinzione di una cultura specifica, è da difendere nell’ambito di un intervento politico-legislativo che riaggreghi le comunità.
– Il superamento delle diffidenze e riserve statali e regionali rispetto alla minoranza arbereshé che è stata componente importante della formazione dello Stato unitario.
-L’attuale bozza di legge unificata non risponde alle esigenze attuali della minoranza arbèreshè.
– L’unità del mondo arbéresh come condizione essenziale del successo degli obiettivi di identificazione culturale.
– La necessità di un coordinamento con le altre minoranze de! Mezzogiorno.
Alfredo Frega
Pubblicato nel 1984 su: