Alla fine dell’anno scorso – il 14 dicembre – Sean Carlin, militante e portavoce dell’IRSP (Irish Republican Socialist Party) veniva processato a Belfast da un tribunale britannico in base alla legge antiterrorista, un sistema legislativo quanto mai estendibile. L’accusa nei suoi confronti: aver manifestato esponendo una bandiera dell’INLA (Irish National Liberation Army, l’organizzazione di cui facevano parte 3 dei 10 militanti repubblicani morti in sciopero della fame nel 1981) in occasione di una commemorazione pubblica dell’insurrezione irlandese di Pasqua 1916. Sean era stato condannato a scontare alcuni mesi di carcere, anche se la pena era stata momentaneamente sospesa in attesa dell’appello. Qualche giorno fa, alla prima udienza dell’appello, la sua difesa aveva ribadito la sostanziale inconsistenza delle accuse e, soprattutto, il loro carattere esclusivamente politico. Infatti appare evidente come Londra stia usando questi metodi intimidatori per colpire non soltanto i militanti, ma anche la loro storia e la memoria delle organizzazioni repubblicane che si opposero al colonialismo.
Ma l’intervento dei difensori di Sean Carlin deve essere stato alquanto convincente visto che alla fine il giudice ha di fatto annullato la condanna (ridotta a una lieve pena pecuniaria, sostanzialmente una multa). Il verdetto rappresenta un primo intoppo per il governo britannico (e soprattutto per i servizi come lo MI5) che da sempre studia e inventa nuovi sistemi per incarcerare i militanti repubblicani. Per esempio in occasione delle manifestazioni con cui onorano i loro compagni caduti per l’indipendenza.
L’INLA, ricordo, aveva combattuto contro l’occupazione britannica e – soprattutto – non si è mai pentita di averlo fatto anche se ha sospeso ogni tipo di azione armata già nel 2009.