Al centro del Golfo del Bengala in pieno Oceano Indiano, a circa metà strada tra India e penisola indocinese non lontano dalle coste birmane, si trova la piccola e remota isola di North Sentinel, appartenente all’arcipelago delle Andamane.
La particolarità di questo isolotto, esteso grosso modo quanto San Marino, sono i suoi abitanti, i sentinelesi, tribù indigena qui insediata da parecchi secoli. Si tratta probabilmente del popolo più isolato del pianeta, che nel corso degli anni ha strenuamente rifiutato qualsiasi contatto con l’esterno, difendendo a ogni costo e con tutti i mezzi – violenza compresa – la propria terra, attaccando quasi tutti gli individui che hanno provato a sbarcare sull’isola e costringendoli alla fuga. I sentinelesi non hanno quindi subìto né le ingerenze né l’influenza del mondo cosiddetto “civilizzato”, né tanto meno usufruito delle sue innovazioni tecnologiche, restando apparentemente fermi all’età della pietra.
Malgrado queste premesse, malgrado l’alone di mistero che circonda questo gruppo etnico contribuendo ad alimentarne il fascino, e le poche informazioni di cui disponiamo sulla sua storia e tradizione, sappiamo con certezza che non si sono estinti, ma continuano a vivere staccati da tutto e da tutti nella loro isola.
La loro situazione è assolutamente eccezionale. È sbalorditivo che oggigiorno, nell’èra della globalizzazione, esista una realtà che non solo non ne conosce i princìpi, ma rifiuta anche il benché minimo rapporto con il prossimo vivendo nel più completo isolamento. Un corpo estraneo rispetto alla rete globale, una sorta di enclave spaziale, atemporale, nella fitta ragnatela di relazioni che connette attualmente popoli, paesi e nazioni. I sentinelesi sembrano appartenere a un’altra èra geologica, fuori dal nostro tempo, pur riuscendo a sopravvivere senza alcun aiuto. Insomma, un caso antropologico straordinariamente intrigante da approfondire.

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North Sentinel e l’arcipelago delle Andamane

L’isola di North Sentinel (Uttar Senteenel dvepp in hindi) fa parte del più ampio arcipelago delle isole Andamane nel golfo del Bengala. Le Andamane, il cui nome sembrerebbe derivare dal termine sanscrito nagnamanaba (uomo nudo), appartengono da un punto di vista amministrativo all’India formando, insieme alle isole Nicobare, il territorio delle Andamane e Nicobare. 1)
Geograficamente risultano tuttavia assai più vicine alla costa birmana che a quella indiana, essendo situate nella sezione meridionale del golfo (la città di Calcutta, l’avamposto di territorio indiano più “vicino”, dista 1300 km da Port Blair, il capoluogo delle isole).
L’arcipelago – in pratica la zona più remota dell’intero subcontinente indiano – è formato da 576 piccole isole e isolotti disposti in forma allungata in direzione nord-sud per circa 500 km. L’estensione territoriale complessiva è pari a 6408 kmq, ma le isole realmente abitate sono solamente 26, tra cui le 5 maggiori racchiuse in un raggio di 250 km: Andaman Settentrionale, Andaman Centrale, Andaman Meridionale, Baratang e Rutland; più a sud è localizzata l’isola di Piccola Andaman, quarta per superficie dell’intero arcipelago e suo estremo limite meridionale. North Sentinel si trova 30 km a ovest di Andaman Meridionale, mentre altre isole importanti sono quella vulcanica di Barren, 130 km a nord-est di Port Blair, sulla quale si trova l’unico vulcano attivo di tutta l’India che raggiunge l’altezza di 354 m; la piccola isola di Narcondam nell’estremo nord-est; quella di Landfall nell’estremo nord; e infine l’arcipelago di Tirchie, al largo di Andaman Meridionale e Baratang, la cui isola più grande è Havelock.
Nel dettaglio, il complesso delle isole Andamane risulta diviso in due differenti distretti all’interno dello Stato indiano: il distretto di Andaman Meridionale e il distretto di Andaman Settentrionale e Centrale, i quali, insieme al distretto delle Nicobare, compongono il Territorio dell’Unione dell’India delle Andamane e Nicobare, con una superficie di circa 8500 kmq. Il capoluogo Port Blair è situato sull’isola di Andaman Meridionale di cui rappresenta il principale porto ed è affacciato verso oriente sul mare delle Andamane.
North Sentinel Island è una delle due isole Sentinel dell’arcipelago: posizionata circa 35 km a ovest di Wandor, piccolo villaggio nella punta più a sud dell’isola di Andaman Meridionale, dista 50 km da Port Blair e addirittura quasi 60 da South Sentinel. Il suo territorio ha un’estensione di circa 60 kmq e un profilo geometrico che ricorda vagamente un quadrilatero. L’isola dal punto di vista naturalistico rappresenta un vero e proprio paradiso terreste: circondata da acque cristalline e trasparenti sotto le quali si erge sommersa la barriera corallina, intrecciata nella forma di anello e dominata da colori vivaci e stupefacenti, appare interamente ricoperta da una fitta e densa foresta – o meglio giungla tropicale – di mangrovie, che si affaccia su diverse spiagge di sabbia bianca. La folta presenza della vegetazione che arriva quasi fino al mare, oltre alla presenza di maestose scogliere, non garantisce molti e facili luoghi di approdo, tanto che l’isola è sprovvista di porti naturali.
Il patrimonio di biodiversità animale e soprattutto vegetale è ricchissimo, ulteriore testimonianza della magnificenza dell’isola, e conferisce una spinta in più per studiare il territorio anche da una prospettiva biologica e ambientale. North Sentinel è attorniata da una spiaggia decisamente stretta, alle spalle della quale il terreno comincia gradualmente ad elevarsi di 20 m per poi stabilizzarsi tra i 46 e 122 metri circa sul livello del mare nel cuore dell’isola.
Nelle acque prospicienti, le barriere si allungano nell’oceano tra gli 800 e i 1290 metri dalla riva, rendendo spesso difficoltosa la navigazione e soprattutto lo sbarco. Ai margini della barriera corallina, circa 600 metri al largo dalla costa sud-orientale, si scorge un isolotto boscoso, denominato Costance Island (o Costance Islet). Il terremoto del 2004 che sconvolse l’intero Oceano Indiano e provocò il devastante tsunami, riuscì addirittura a inclinare la placca tettonica situata sotto l’isola, sollevandola di 1 o 2 metri: i corrugamenti fecero sì che ampi tratti della barriera corallina circostante si innalzassero e rimanessero esposti per diverso tempo, mutando in lagune superficiali o trasformandosi completamente in terre asciutte, ampliando il territorio dell’isola in mare fino a 1 km sui versanti occidentale e meridionale e unendo sostanzialmente Costance Island al nucleo principale.

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Contatti sporadici, isolazionismo secolare

Nonostante il paesaggio incantevole dominato dalla rigogliosa foresta e dalle acque limpide e incontaminate, il vero protagonista di questa storia non è l’isola di North Sentinel, ma piuttosto la tribù che da centinaia di secoli la abita, i sentinelesi. Nel corso della storia hanno vissuto in un rigido isolamento che non li ha mai condotti al di fuori del proprio territorio, se non nel mare circostante per l’attività di pesca.
La loro volontà di separazione è sempre stata messa subito in chiaro a qualsiasi visitatore si sia avvicinato all’isola, aggredendolo e costringendolo alla fuga. Motivo per cui il popolo sentinelese è stato definito dagli studiosi come il più incontattato e isolato del pianeta. Le informazioni e il materiale per analizzare i caratteri, la cultura, le usanze e i riti di questo gruppo etnico sono esigue, frammentarie, incomplete. Viene ritenuta una delle ultime tribù rimaste sulla terra a non essere stata “contaminata” dalla civiltà moderna e dalle sue innovazioni e conseguenze positive e negative. Come prevedibile non c’è alcuna certezza sulla data del primo contatto con i sentinelesi: sappiamo però che in epoca classica le isole Andamane erano già conosciute, in quanto se ne trova traccia in alcuni resoconti di viaggio stilati dai cartografi di Alessandro Magno, dove venivano chiamate Agathou daimonos nesos (isole del dio buono), perifrasi molto probabilmente derivante dal nome locale Angdaman, dal quale avrebbe poi avuto origine lo stesso termine arabo Andaman. Non ci sono certezze nemmeno sulla reale etimologia del nome delle isole: accanto all’ipotesi sanscrita “uomo nudo” già menzionata, esiste questa arabo-ellenistica e un’altra ancora che vedrebbe la parola derivare dal malese antico, trovando riscontro nel termine Handuman, a sua volta derivante dal nome di Hanuman, il Dio-Scimmia del culto induista.
Oltre alla menzione nei testi ellenistici, le isole vengono citate successivamente anche da Marco Polo, il quale nel 1296 le descrisse come Angamanain, storpiatura dell’arabo traducibile con l’espressione “i due angamani”, significato dovuto a un’oscura leggenda secondo la quale proprio gli abitanti di North Sentinel sarebbero stati dei cannibali bifronti e dal viso canino. Il celeberrimo viaggiatore veneziano sembrerebbe parlare veramente dei sentinelesi, dipinti come una delle tribù più selvagge, violente e aggressive di tutto il continente asiatico; capaci di attaccare, uccidere e addirittura mangiare qualsiasi intruso che solamente provasse a mettere piede sulla loro terra.
Se a testimonianza dell’indole violenta esistono numerosi episodi successivi, niente sembra invece confermare una propensione al cannibalismo da parte del popolo sentinelese.
Nel corso dell’epoca medievale, l’arcipelago delle Andamane rientrava per l’appunto all’interno dell’antica rotta commerciale dei monsoni dell’Oceano Indiano da e verso la Cina, secondo quanto emerge chiaramente dal trattato arabo Akhbar Al-Sin wa’l-Hind (relazione sulla Cina e sull’India), redatto a metà del IX secolo da alcuni mercanti islamici: le Andamane rappresentavano dunque una tappa importante per i rifornimenti delle navi e dei convogli diretti verso oriente. Tuttavia, all’infuori di piccoli avamposti necessari esclusivamente a garantire cibo e riparo ai viaggiatori, non vennero realizzate esplorazioni nell’entroterra, né tanto meno create piazzeforti commerciali o stazioni coloniali sulle isole.
Le prime imprese militari nell’area sono da attribuire a Rajendra Chola I, uno dei sovrani della dinastia tamil Chola, nella prima metà del XI secolo. Il re tamil marciò alla conquista delle isole Andamane e Nicobare con l’intento di utilizzarle come base strategica per procedere a una spedizione navale contro Srivijaya, l’impero buddista il cui fulcro era localizzato nell’isola indonesiana di Sumatra. Le genti tamil apostrofarono le isole dell’arcipelago come Tinmaittivu, cioè “isole della forza, del valore e della verità”, nella loro lingua.
Va registrato un successivo impiego delle isole, nel XVII secolo, sempre come punto di appoggio per la flotta, quando le Andamane e le Nicobare divennero base marittima temporanea per le navi dell’impero Maratha: Kanhoji Angre, ammiraglio della marina maratha, riuscì ad imporre una netta supremazia militare nelle isole, annettendole formalmente all’India. 2)

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Sentinelesi sulla spiaggia.

Successivamente, con la colonizzazione dell’India a opera dell’Inghilterra, cominciarono le spedizioni britanniche nell’arcipelago: la prima in assoluto risulta essere un’ispezione, al largo delle coste proprio di North Sentinel, risalente al 1771 con protagonista l’agrimensore inglese John Ritchie il quale, passando di fronte all’isola, notò la presenza di indigeni dal ponte di una barca di proprietà della Compagnia britannica delle Indie orientali chiamata Diligent.
Altre isole dell’arcipelago furono esplorate da vari ufficiali della regia marina nel 1788, i quali avevano l’obiettivo, mai portato a termine, di costruirvi un penitenziario.
Quasi un secolo più tardi, nel 1857, gran parte dell’arcipelago venne occupato da militari britannici che stavolta portarono a termine il loro compito fondando una colonia penale; e nel 1858 le Andamane insieme alle isole Nicobare furono aggregate all’India britannica, seguendone da qui in poi il percorso storico.
Nel 1867, un funzionario di nome Homfray sembra essere stato il primo, secondo le fonti, a visitare l’isola di North Sentinel, scortato da membri del corpo di polizia e da un ristretto gruppo di indigeni andamanesi di altre isole. In quegli anni del XIX secolo iniziò infatti il primo progetto di contatto con il misterioso popolo abitante la magnifica isola: gli onge, tribù indigena di Piccola Andaman, furono costretti dai coloni britannici ad accompagnarli alla volta dell’esplorazione dell’isola. Gli onge, da secoli consapevoli dell’esistenza di North Sentinel e molto probabilmente anche del fatto che fosse abitata, la chiamavano ChiadaaKwokweyeh. Considerando le pochissime informazioni che è stato possibile reperire anche nel corso degli anni successivi, risulta che gli onge presentano discrete similitudini culturali con i sentinelesi, anche se i membri della tribù portati sull’isola dagli inglesi non furono in grado di comprendere minimamente l’idioma parlato dai loro vicini: prova di un periodo di separazione o addirittura di una mancanza di contatti tra i due gruppi, a infittire ulteriormente il mistero su genesi e sviluppo storico dei sentinelesi.
Sempre nel 1867 verso la fine del periodo dei monsoni, una nave mercantile indiana, la Ninive, naufragò e s’incagliò sulla barriera corallina frantumandosi sulla scogliera nei pressi dell’isola. I sopravvissuti all’incidente – 106 tra passeggeri ed equipaggio – riuscirono a scampare alla morte in un primo momento utilizzando le scialuppe di salvataggio della nave e raggiungendo le coste di North Sentinel. Ma una volta sbarcati furono ferocemente assaliti dai sentinelesi armati fino ai denti con archi e frecce. I marinai indiani riuscirono a organizzare una difesa con armi improvvisate e a respingere l’avanzata degli indigeni che si ritirarono nella foresta. Dopo diversi giorni furono raggiunti e tratti in salvo da una squadra di salvataggio della Royal Navy.
Qualche anno più tardi un fuggitivo, molto probabilmente evaso da un penitenziario di un’altra isola delle Andamane, riuscì a sbarcare a North Sentinel, ma fu ucciso dai sentinelesi: il suo corpo venne ritrovato pochi giorni dopo trafitto da numerose frecce e con la gola completamente tagliata.
L’operazione meglio organizzata si svolse nel gennaio del 1880 sotto il comando di Maurice Vidal Portman, funzionario governativo che sperava di incontrare gli indigeni per studiarne caratteristiche e usanze. Stavolta i sentinelesi, alla vista delle navi britanniche che si avvicinavano alla costa, non attesero in armi e pronti all’attacco, ma si rifugiarono nella foresta.
La squadra di esplorazione, composta da funzionari britannici e membri delle tribù andamanesi già sottomesse agli inglesi, iniziò la perlustrazione del territorio trovando una fitta rete di sentieri all’interno della giungla insieme a diversi piccoli villaggi abbandonati, ma nessuna traccia degli indigeni.
Dopo qualche giorno, quando le speranze di Portman e compagni di riuscire nella missione per la quale avevano lavorato da tempo, ovvero contattare finalmente i sentinelesi, stavano per venire meno, il gruppo s’imbatté nel cuore della foresta in una coppia di anziani e quattro bambini che furono prelevati, o meglio catturati, e condotti a Port Blair, dove vennero studiati “nell’interesse della scienza”. Questo contatto, forzato e prolungato, è stato l’unico avvenuto negli anni con un nucleo seppur ridotto (sei individui) di sentinelesi, e di conseguenza la maggior parte delle esigue informazioni di cui tuttora disponiamo risalgono a quell’episodio.
Tutti gli indigeni, privi delle sufficienti difese immunitarie a causa del secolare isolamento, si ammalarono subito: i due anziani morirono, mentre i bambini vennero riportati a North Sentinel e lasciati sulla spiaggia con moltissimi doni. Non ci è dato conoscere il destino dei piccoli sentinelesi, che si volatilizzarono imboccando un sentiero nella foresta, né se siano stati veicoli di trasmissione di malattie che abbiano ridotto o decimato la popolazione indigena dell’isola, alimentando ulteriormente l’inimicizia e la ferocia dei nativi nei confronti degli stranieri. Di sicuro lo stesso Portman non apparve troppo dispiaciuto per la morte della coppia di anziani, in quanto si limitò a registrarne sintomi e rapido decesso, limitandosi tristemente a sottolinearne la particolare e curiosa espressione del viso e l’insolito comportamento, definito banalmente “idiota”.
Il 17 agosto 1883, in seguito all’esplosione del Krakatoa, Portman raggiunse nuovamente North Sentinel: l’attività del vulcano era stata malamente scambiata per colpi di cannone, interpretati come urgente richiesta di aiuto da parte di una nave. Un’altra squadra sbarcò dunque sull’isola, lasciando regali per gli indigeni prima di fare ritorno alla volta di Port Blair. Tra il gennaio 1885 e il gennaio 1887, il funzionario britannico tornò varie volte sull’isola senza ottenere risultati significativi.
Non abbiamo informazioni di successivi contatti, fino agli anni ‘60 del secolo scorso quando il governo indiano manifestò nuovamente la volontà di ricontattare i sentinelesi seguendo un preciso progetto organizzato con la collaborazione del National Geographic. Nel 1967 il governo promosse una spedizione diretta dall’antropologo Triloknath Pandit, ma al momento dello sbarco i sentinelesi scomparvero di nuovo nella giungla senza dar modo di intercettarli.
Pandit ritentò nel 1970: le cose andarono un pochino meglio, tanto che ci è giunta una precisa descrizione dell’accaduto, una delle poche testimonianze realmente indicative su alcune caratteristiche rituali dei sentinelesi. Quando Pandit e la sua squadra raggiunsero la spiaggia di North Sentinel, alcuni indigeni per la prima volta deposero le armi, accettando il pesce loro offerto a distanza; e mentre le donne uscivano dalle tenebre della foresta per osservare incuriosite i nuovi venuti, gli uomini raccolsero il pesce per portarlo all’interno dell’isola. Sui loro volti sembrava aleggiare una parvenza di gratitudine, anche se il tradizionale atteggiamento ostile non veniva meno. Si misero a gridare nella loro lingua e i visitatori si ritirarono verso le barche con gesti amichevoli. A quel punto si verificò una situazione decisamente curiosa: una donna abbracciò un guerriero ed entrambi si sdraiarono sulla sabbia in un caloroso abbraccio, lo stesso venne replicato dalle altre donne presenti, ognuna delle quali scelse un guerriero. Il rito durò parecchio tempo fino a quando questa “danza amorosa” ebbe termine e le coppie sparirono tra gli alberi della foresta, mentre a guardia della spiaggia e del territorio restarono solamente due guerrieri che accettarono altro pesce. Si trattava della prima di rare testimonianze dirette su un rito della tribù sentinelese.
In quegli anni il governo indiano effettuò altri sbarchi a cadenza abbastanza regolare. Nel 1974 l’isola fu oggetto di una nuova visita da parte di una troupe cinematografica del National Geographic che voleva girare un documentario intitolato Man in search of man. I membri del National Geographic erano accompagnati, o meglio scortati, da agenti di polizia armati e corazzati, insieme con antropologi e fotografi.
Al loro arrivo nei pressi della riva, appena oltrepassate le barriere coralline, gli antropologi si cimentarono in gesti amichevoli nei confronti dei sentinelesi, che però reagirono attaccando gli stranieri con una raffica di frecce. Protetti da apposite armature imbottite, i poliziotti riuscirono a sbarcare in un altro punto dell’isola dove le frecce indigene non riuscivano ad arrivare e lasciarono sulla spiaggia numerosi doni: noci di cocco, giocattoli (tra cui una bambola), un maiale vivo e alcune pentole. Furono in grado di risalire sulle barche appena in tempo prima che un nuovo e più fitto lancio di frecce partisse nella loro direzione: una di queste colpì alla coscia sinistra proprio il regista del documentario, mentre il guerriero che l’aveva scoccata fu visto esultare e ridere gioioso prima di sedersi tranquillamente sulla sabbia. Gli altri indigeni invece si diressero verso i doni lasciati dai visitatori stranieri, infilzarono il maiale e la bambola e li seppellirono nella spiaggia, appropriandosi soddisfatti delle noci di cocco, assenti sull’isola, e delle pentole di alluminio.

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Nel 1975, re Leopoldo III del Belgio, durante un viaggio esotico nell’arcipelago delle Andamane, partecipò insieme a nobili locali a una crociera notturna nelle acque presso North Sentinel. La nave si avvicinò forse un po’ troppo alla costa, tanto che un guerriero sentinelese riuscì a scoccare un dardo in direzione del re, mancandolo di poco: il sovrano si dichiarò per nulla spaventato, semmai eccitato per la straordinaria e insolita avventura.
A metà del 1977 un nuovo episodio interessò North Sentinel, allorché la nave da carico MV Rusley si incagliò sulle barriere coralline che circondano l’isola. La stessa sorte toccò al mercantile panamense MV Primrose il 2 agosto 1981: i superstiti non riuscirono ad abbandonare la nave, ancora arenata, e rimasero a bordo. Infatti avevano scorto numerosi uomini di bassa statura e dalla pelle scura intenti a trasportare di continuo lance e frecce, e soprattutto a costruire sul momento piccole barche sulla spiaggia. Presagendo un attacco a breve, il capitano mandò un messaggio di emergenza via radio, richiedendo la consegna di armi da fuoco per potersi difendere da un imminente assalto dei sentinelesi. Incredibilmente, però, il mare grosso e una violentissima tempesta impedirono ogni aiuto e le navi non riuscirono a raggiungere la Primrose. Per fortuna le stesse condizioni atmosferiche, oltre al fatto che il mercantile era circondato dalla barriera corallina che fungeva da riparo naturale, impedirono il peggio. Gli indigeni provarono lo stesso ad assaltare la nave, ma alla fine dovettero desistere e ritirarsi. Tutti i membri dell’equipaggio furono salvati, una settimana dopo il naufragio, dalla marina militare indiana che dovette inviare un rimorchiatore e un elicottero sotto contratto con la società petrolifera Oil and Natural Gas Corporation (ONGC).
Negli anni a venire alcuni coloni provenienti da Port Blair raggiunsero la barriera corallina per recuperare il carico delle imbarcazioni, e i relitti furono definitivamente smantellati dalle squadre di salvataggio nel 1991. In seguito ai successivi sporadici incontri, si è potuto constatare che i sentinelesi hanno utilizzato parte dei relitti naufragati nei pressi della costa per ricavarne materiale ferroso, sapientemente usato per punte di freccia e lance, dimostrando di saper sfruttare una contingenza storica per migliorarsi tecnologicamente.
Negli anni Ottanta, in particolare nella prima metà, le visite s’intensificarono facendosi più regolari: i gruppi di visitatori avevano ormai individuato alcuni approdi in cui era più facile sbarcare restando relativamente al di là della gittata delle frecce indigene, e depositavano sulla spiaggia noci di cocco, banane e punte di ferro in dono. I sentinelesi svilupparono comportamenti decisamente ambigui: in alcuno casi parvero fare gesti quasi amichevoli; la maggior parte delle volte, invece, si affrettavano a raccogliere i regali per portarli nella foresta e contemporaneamente lanciavano nugoli di frecce contro gli stranieri.
La situazione sembrò mutare di netto il 4 gennaio 1991, allorché si verificò quello che può essere definito il primo contatto interamente “pacifico” con la tribù sentinelese. Quando la squadra di Triloknath Pandit, direttore dell’Anthropological Survey of India, si fermò in prossimità della riva, i nativi di North Sentinel con gesti eloquenti mostrarono di volere i doni e, per la prima volta, si avvicinarono alle imbarcazioni senza armi, entrando addirittura in mare, come testimoniato da un video girato dall’equipe, per raccogliere le diverse noci di cocco adagiate sull’acqua poco lontano dalle barche.
In realtà questo primo contatto amichevole non durò a lungo in quanto, all’arrivo di visite successive, l’atteggiamento dei sentinelesi si rivelò ancora equivoco e mutevole: talvolta permettevano alle imbarcazioni di avvicinarsi alla costa salutando i visitatori senza armi e accettando i regali; altre volte attaccavano dopo qualche minuto gli stranieri con frecce senza punta, oppure immediatamente non più per intimidire ma per uccidere. Durante un incontro attaccarono una barca di legno circondandola e colpendola con le loro tipiche adzes, caratteristiche asce di pietra per tagliare gli alberi.
Nessuno è mai riuscito a capire perché gli abitanti di North Sentinel si siano mostrati dapprima ospitali e felici di ricevere doni, e poi siano tornati all’antica abitudine di assalire i membri delle squadre di contatto. Dopo gli ultimi sfortunati incontri, molti funzionari del governo indiano maturarono la convinzione che i sentinelesi non volevano proprio avere rapporti con altri uomini, né riteneveno necessario il confronto con altri popoli e civiltà, ma bastando a se stessi ed essendo autosufficienti, non desideravano altro che vivere in pace secondo i loro usi e costumi nel loro piccolo mondo isolano. Il governo decise quindi di non procedere a ulteriori contatti con un popolo che da circa 60.000 anni non ne sentiva alcun bisogno… Verso la fine del 1996 le missioni cessarono e l’India chiuse ufficialmente l’accesso all’isola.
Questa decisione è stata sicuramente influenzata anche dalla terribile esperienza vissuta con le altre tribù indigene delle Andamane, dove i contatti con gli inglesi prima e gli indiani poi ebbero conseguenze nefaste, con decimazione se non addirittura estinzione di alcuni gruppi di nativi, flagellati da malattie comuni per noi ma per le quali non possedevano sufficienti anticorpi. Lo stesso Survival International ha esercitato fortissime pressioni sul governo inducendolo alla scelta definitiva: il popolo sentinelese, come ogni tribù sulla terra, deve avere il diritto di scegliere in modo autonomo e libero come vivere. L’India ha quindi dichiarato pubblicamente di non avere più alcuna intenzione di interferire con l’habitat di North Sentinel e lo stile di vita dei suoi abitanti, impegnandosi formalmente a far rispettare il divieto di avvicinamento e approdo all’isola, nella convinzione che il contatto prolungato avrebbe conseguenze tragiche per i sentinelesi.

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Dopo il 1996, durante visite occasionali di persone che decisero di violare apertamente i divieti governativi, le reazioni degli indigeni furono come al solito mutevoli.
Per quanto riguarda il nuovo millennio, le visite ripresero eccezionalmente nel 2004: il 26 dicembre infatti, come è noto, un terribile tsunami sconvolse l’intero Oceano Indiano, portando morte e distruzione dall’Indonesia al Madagascar, devastando le coste di mezza Asia, causando quasi 280.000 vittime e danni irreparabili. L’equilibrio di un intero continente venne fortemente minato, provocando innumerevoli problematiche sanitarie, ambientali e in seguito anche economiche nelle regioni colpite. Il governo di New Delhi, seriamente preoccupato per la sorte degli abitanti dell’isola di North Sentinel – posta nel cuore di una più vasta area devastata dal maremoto – inviò un elicottero per verificare le condizioni dei sentinelesi e accertarsi se avessero bisogno di aiuto (o addirittura se fossero sopravvissuti).
Quando il velivolo sorvolò l’isola a bassa quota non notò nulla di… insolito! Infatti dalla foresta balzò fuori un guerriero sentinelese munito di arco, che dalla spiaggia cominciò a bombardare l’elicottero di frecce, costringendolo alla fuga tra i gesti ostili di altri compagni sopraggiunti sul lido. Il guerriero e l’intera scena vennero immortalati in diverse istantanee fotografiche da un membro dell’equipaggio, fornendo così una preziosa testimonianza visiva dell’accaduto. I sentinelesi e la loro terra non erano stati spazzati via dalla furia dell’onda anomala, né sembravano in difficoltà, a differenza di altre popolazioni della zona. Avevano dimostrato una volta di più la ferrea volontà di essere lasciati in pace da tutti, sicché il governo indiano ribadì la validità del precedente provvedimento di interdizione totale, aggiungendovi un decreto che impone di tenersi a una distanza di sicurezza di 5 km dalla costa.
La sopravvivenza all’onda anomala e l’apparente mancanza di danni – diversamente da molte altre comunità costiere e isolane – rappresentò una vera sorpresa per l’opinione pubblica indiana, che nei giorni immediatamente successivi al disastro li aveva dati per spacciati.
Nel 2006 ancora una volta il limite di avvicinamento di 5 km non venne rispettato in un fatto diventato tristemente celebre: il 26 gennaio, due pescatori di frodo erano intenti a pescare illegalmente granchi del fango in prossimità della costa settentrionale sentinelese. Durante la notte non si erano accorti che l’àncora non teneva e la loro barca era stata trsportata presso la riva dalla corrente. Qui i due pescatori furono immediatamente uccisi dagli indigeni, che ne seppellirono i corpi in tombe poco profonde sulla spiaggia.
Qualche giorno più tardi un elicottero della guardia costiera indiana fu inviato a recuperare le salme, ma anche in questa circostanza gli isolani lanciarono la solita ondata di frecce contro il velivolo, costringendolo a rientrare alla base. I cadaveri non vennero mai recuperati e riportati in patria. L’avvenimento, risalente al 2006, rappresenta l’ultimo contatto ufficiale con la tribù sentinelese.

Chi sono davvero i sentinelesi?

Gli sporadici incontri nel corso dei secoli non hanno permesso di conoscere molti dettagli sulla tribù di North Sentinel. Non si quasi nulla della loro cultura né si riescono a elaborare teorie scientificamente valide sulla genesi di questo popolo: le informazioni di cui disponiamo derivano per la maggior parte da osservazioni e riprese effettuate da imbarcazioni ormeggiate a distanza di sicurezza dalle frecce indigene, oppure dai brevi confronti prima descritti. Questo vuoto di informazioni sui sentinelesi si somma all’estrema singolarità di quel poco che vediamo dei loro comportamenti, rendendoli un caso antropologico decisamente misterioso.
I sentinelesi vengono considerati un’etnia appartenente al gruppo andamanese e, secondo la teoria più accreditata, sarebbero i diretti discendenti della prima popolazione umana stanziata in Africa, migrata poi per colonizzare l’Eurasia in epoca paleolitica. Il gruppo sarebbe dunque arrivato nell’Asia insulare in un periodo stimato tra i 60.000 e 50.000 anni fa, e l’origine dei sentinelesi sarebbe proprio da ricercare tra gli antenati africani.
Uno studio pubblicato su “Human genetics” corrobora questa ipotesi, collocando precisamente 53.000 anni fa la separazione tra i futuri andamanesi e coloro che popoleranno l’Asia orientale.

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Distribuzione delle lingue andamanesi sul finire dell’800.

Un’altra ricerca scientifica, pubblicata su “Nature”, si focalizza sul genoma degli andamanesi che sarebbe costituito per il 2-3% di DNA d’origine ancora sconosciuta, probabilmente frutto di uno scambio genetico con una possibile specie di ominide ancora ignota che avrebbe abitato l’Asia meridionale fino a circa 50.000 anni fa.
Qualunque sia l’esatto percorso evolutivo dei sentinelesi, una delle poche certezze è rappresentata dall’appartenenza alla famiglia dei popoli andamanesi. Gli abitanti di North Sentinel, per quel poco che sappiamo, presentano per certi versi elementi e caratteristiche culturali affini alle tribù dell’arcipelago, anche se per altri sembrano decisamente un mondo a parte. Potremmo spiegarlo con la loro condizione di completo e perenne isolamento: la mancanza di contatti, scambi reciproci, contaminazioni e fusioni, avrebbe creato un divario e una differenza di comportamenti e usanze culturali piuttosto marcata. Alcuni elementi del substrato comune originale sarebbero perdurati, mentre altri sarebbero venuti meno o si sarebbero evoluti in modo differente.
La sintesi di questo processo può essere ben testimoniata dall’incontro tra sentinelesi e onge, gli individui portati dagli inglesi sull’isola nel corso del XIX secolo come aiuto nelle missioni di contatto: emersero infatti somiglianze in alcuni riti e pratiche culturali tradizionali, ma per quanto riguarda il carattere linguistico, gli onge non furono minimamente in grado di comprendere l’idioma parlato dai sentinelesi. La lingua sentinelese a volte viene classificata, per comodità, all’interno della famiglia delle lingue andamanesi, nel ramo di quelle meridionali. Il gruppo è infatti a sua volta suddiviso tra lingue andamanesi maggiori (quasi del tutto estinte: 10 parlanti nel 2006) e quello meridionale (circa 500 parlanti suddivisi tra lingua jarawa, onge e sentinel). La lingua sentinel viene quindi inserita qui per convenzione e collocazione geografica, ma in realtà, nonostante le pochissime informazioni derivanti dall’isolamento estremo dei suoi parlanti, non sono state trovate significative corrispondenze con gli altri idiomi andamanesi meridionali, anzi sembrerebbe totalmente diversa: per questo sarebbe più opportuno considerarla una lingua isolata, senza legami di parentela accertati e comprovati con nessun’altra conosciuta.

Per quanto riguarda l’organizzazione socio-economica, i sentinelesi si caratterizzano semplicemente come cacciatori-raccoglitori, sostentandosi grazie alla caccia della fauna presente, alla pesca praticata nelle immediate vicinanze dell’isola e alla raccolta di frutti e piante selvatiche. Non abbiamo prove di una qualsiasi attività agricola. A differenza dei vicini jarawa, i sentinelesi sono in grado di costruire piccole imbarcazioni: si tratta di canoe a bilanciere estremamente strette (al loro interno non possono quasi contenere due piedi) che vengono utilizzate esclusivamente in acque poco profonde per l’attività della pesca, guidate e spinte grazie all’ausilio di un palo, come le zattere.
Vivono nella foresta in abitazioni senza pareti laterali e con il pavimento costruito con palme e foglie, in pratica semplici capanne che possono arrivare a ospitare una famiglia di non più di 3 o 4 persone con un’ampiezza di circa 12 metri quadrati. Secondo altre testimonianze, dimorerebbero in capanne comunitarie leggermente più grandi: in base a questa seconda versione, accanto alle suddette residenze comunitarie, contenenti diversi focolari per più famiglie, esisterebbero altri rifugi più piccoli e senza pareti, sulla spiaggia, con funzione di ripari temporanei o stagionali. Nei periodi di mare in tempesta e cattivo tempo, i rifugi sulla spiaggia verrebbero abbandonati per ripiegare nelle più sicure e protette capanne nel cuore della giungla.
Quanto all’abbigliamento, gli uomini usano collane e fasce che cingono il capo, in vita portano una cintura molto spessa, sono sempre armati con arco, frecce e lance, mentre le donne si ornano con una piccola corda di fibra intorno alla vita, al collo e alla testa.
Opinioni discordanti anche sulla capacità dei sentinelesi di utilizzare il fuoco: la maggioranza delle fonti suggeriscono che non lo conoscano e non siano in grado di accenderlo; altre testimonianze al contrario raccontano di diversi focolari proprio nella zona delle capanne.

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In una foto d’epoca, uomini e donne andamanesi cacciano tartarughe con archi e frecce.

È invece assodato che le materie prime presenti sull’isola sono piuttosto scarse, dunque la lavorazione dei metalli parrebbe non praticata. Gli utensili a noi noti sono le armi con cui cacciano la selvaggina, ossia giavellotti in pietra e archi dotati di grande precisione, gli stessi con cui hanno minacciato o attaccato i visitatori. Le frecce sembrerebbero di tre tipi: per la caccia (soprattutto di cinghiali), per la pesca e per intimidire gli estranei. Inoltre altri armi tipiche sono le azdes, asce in pietra anch’esse usate principalmente a scopo bellico, e martelli, con i quali vengono realizzati anche altri oggetti come cesti e contenitori in legno.
Considerando le informazioni che vedono i sentinelesi come un popolo che conduce uno stile di vita semplice e primitivo, privo di cambiamenti significativi a causa dell’estremo isolamento, ignaro della tecnologica moderna e forse anche del fuoco, nonché utilizzatore di strumenti litici, è comprensibile che la pubblicistica li abbia definiti come una tribù rimasta all’età della pietra, alla preistoria. Le cose, in realtà, non stanno esattamente così e la definizione non appare azzeccatissima.
Innanzi tutto è vero che il modus vivendi e alcune usanze dei sentinelesi rimandano direttamente agli antenati paleolitici, ma noi non sappiamo con certezza se essi abbiano vissuto sempre così nelle Andamane per 60.000 anni o se si siano resi protagonisti di una qualsivoglia parabola evolutiva, seppur di lieve entità. È semmai lecito supporre piuttosto che nel corso dei secoli gli indigeni di North Sentinel, come molti altri popoli della terra, abbiano mutato il loro stile di vita, sviluppato conoscenze e migliorato tecniche, adattandosi in maniera diversa ai periodi e alle contingenze storiche.
Per esempio, è assodato che oggi i sentinelesi hanno in alcune circostanze utilizzato il metallo. Come abbiamo raccontato, in occasione di naufragi presso le coste dell’isola nella seconda metà del XX secolo, i nativi hanno estratto e recuperato il metallo presente negli scafi, l’hanno affilato e successivamente utilizzato per irrobustire le punte delle loro frecce divenute ferree, come riferito da numerosi testimoni oculari. Pur ignorando come abbiano lavorato il ferro né di quale livello di conoscenza di questi materiali dispongano, è inevitabile ammettere che si tratta di un’operazione riuscita e di non banalissima attuazione, indicativa di un buona perizia tecnica.
È quindi vero che i sentinelesi rappresentano una miniera inestimabile per gli scienziati per quanto riguarda l’evoluzione dell’uomo, caratteri genetici unici, habitus originale e indubbiamente riconducibile a quello degli antenati preistorici, eccetera; ma sarebbe forse più corretto riferirsi a loro come a un’anomalia etno-storica originale, piuttosto che ridurli a “semplici uomini primitivi”.
In base alle osservazioni fatte dai pochi visitatori sbarcati a North Sentinel, gli indigeni appaiono come uomini di bassa statura, con i capelli crespi e la pelle scura: alcuni antropologi hanno approssimato un’altezza attorno al metro e sessanta con molti individui apparentemente mancini. Risulterebbero avere caratteristiche fisiche assimilabili ai pigmei dell’Africa e ai negritos, gruppo etnico anch’esso di origine africana emigrato nelle Filippine. Questa somiglianza supporterebbe la teoria dei sentinelesi discendenti dei primi africani migrati poi alla volta dell’Asia.
Non abbiamo mai conosciuto né conosciamo oggi il numero preciso dei sentinelesi, le stime variano tra i 40-50 e 400-500 individui: prima della decisione di interrompere i contatti, il governo indiano, verso la fine degli anni Novanta, aveva tentaato una specie di censimento “a distanza” da cui era emersa la provvisoria cifra di sole 39 unità (21 uomini e 18 donne), mentre durante il controllo post-tsunami del 2004 erano stati contati addirittura 15 individui soltanto. Un’altra curiosità legata al loro mondo numerico: secondo alcune testimonianze, gli indigeni non avrebbero le competenze per descrivere un numero maggiore di 2.
I sentinelesi vengono annoverati tra le tribù ufficialmente riconosciute (scheduled tribe) all’interno dello Stato indiano, come le altre popolazioni abitanti l’arcipelago delle Andamane. Esse sono tutte entrate in contatto con i britannici a partire dal XVIII secolo e le conseguenze sono state nefaste: colonizzazione forzata, riduzione dello spazio vitale, diminuzione delle risorse tradizionali a scapito di altre non salutari (come l’abuso di alcol) e soprattutto trasmissione di malattie fino ad allora sconosciute ne hanno portato quasi alla totale estinzione.
I jarawa sono un popolo nomade di cacciatori e raccoglitori diffusi in tutto l’arcipelago. Anche loro protagonisti per secoli di un relativo isolazionismo, si sono definitivamente aperti ai contatti esterni e pacifici solo nel 1998 e per questo rischiano di essere decimati dalle numerose malattie portate dagli stranieri, nei confronti delle quali non hanno sostanzialmente valide difese immunitarie. Un censimento indiano del 2011 ne ha registrati circa 380 individui in costante calo.
Gli onge vivono sull’isola Piccola Andaman, in riserve, dal momento che sono stati uccisi da batteri e virus portati dai forestieri: attualmente si possono tristemente contare soltanto un centinaio di individui.
I grandi andamanesi sono il gruppo sul quale la colonizzazione britannica ha avuto l’impatto più tragico: prima dell’arrivo degli inglesi la tribù contava oltre 5000 individui e 10 clan, e dal 1858 iniziò quella che può a tutti gli effetti essere considerata una vera e propria strage. Colpiti da bacilli come morbillo, influenza e sifilide si sono letteralmente decimati riducendosi all’esigua cifra di 56 persone. L’indigena Boa Sr, ultima parlante della lingua aka-bo, uno degli idiomi di una delle dieci tribù dei grandi andamani, è venuta a mancare nel 2010 all’età di 85 anni, siglando il definitivo decesso della lingua. Si tratta di una perdita importantissima in quanto l’idioma era unico all’interno del panorama andamanese e permetteva dunque di ricostruire fondamentali tasselli della storia evolutiva sociale e linguistica delle popolazioni nella regione.
Tuttavia un lascito interessante ci è rimasto proprio dalla testimonianza di questa anziana donna che, qualche tempo dopo lo tsunami, aveva spiegato agli occidentali come molti indigeni delle Andamane erano riusciti a salvarsi dal maremoto evitando di essere spazzati via e uccisi in massa.

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Boa Sr, ultimo membro della tribù bo, morta nel gennaio 2010.

Pochi giorni prima del cataclisma, gli anziani avevano avvertito oscuri presagi provenienti dagli spiriti del mare che sollecitavano gli indigeni a proteggere gli insediamenti e le abitazioni con carapaci di tartaruga, e ad abbandonare le zone prospicienti la costa per rifugiarsi nell’entroterra. Inoltre, il giorno stesso dell’onda anomala, i nativi notarono l’abnorme agitazione degli animali e per questo, non appena videro il mare ritirarsi (e seguendo antiche conoscenze tradizionali tramandate oralmente), decisero di ripararsi nel cuore delle loro isole, sulle alture dove possibile, riuscendo a non farsi investire direttamente dalla furia cieca dell’acqua.
Chiaramente si tratta di una leggenda, ma è possibile che i sentinelesi abbiano ricevuto segnali simili e attuato il medesimo comportamento? Non è un’ipotesi da escludere, spiegherebbe in parte la loro incredibile sopravvivenza quel funesto Santo Stefano di 13 anni fa.
Quasi tutti questi popoli andamanesi sono accomunati da una peculiarità religiosa: professano riti ancestrali assimilabili all’animismo. La vita religiosa è incentrata totalmente sui riti di passaggio: nascita (i genitori del nascituro prima e dopo il parto osservano tabù alimentari), adolescenza (i bambini di 7-8 anni vengono adottati da un’altra famiglia per abituarli all’uscita dal nucleo familiare e alla futura vita adulta, e per rafforzare i legami tribali), matrimonio (combinato dai familiari con una terza persona; abolizione dei nomi personali dopo la cerimonia in favore delle forme “marito di” e “moglie di”) e la morte (pittura del volto del defunto, divieto di pronunciarne il nome e abbandono dell’accampamento in segno di lutto).
Gli andamanesi venerano un pantheon di divinità non umane all’interno del quale rientrano spiriti presenti in natura e spiriti dei morti, insieme a un essere supremo, celeste, onnisciente, creatore e punitore delle trasgressioni, cui vengono attribuiti differenti nomi come Puluga (per le tribù meridionali), Oluga (nella Piccola Andaman) o Bilik.
Nelle società tribali autoctone non esistono ufficialmente capi tribù, ma grande importanza e riverenza è riservata agli anziani e anche ai veggenti; né esistono leggi regolamentate o sanzioni, essendo talmente grande la paura dell’eventuale disprezzo da parte della comunità, da scongiurare ogni comportamento non conforme alla tradizione locale.
Ogni popolo è suddiviso in diverse tribù che occupano ciascuna un preciso territorio, all’interno del quale dimorano in insediamenti stabili e permanenti, ma anche stagionali. Ogni famiglia solitamente vive in una capanna, mentre ne esistono altre dedicate esclusivamente ai celibi.
Confrontando questi aspetti con le scarse notizie sui sentinelesi, è possibile intravedere qualche somiglianza in alcune usanze e consuetudini frutto delle antiche radici comuni, come le tipologie di rifugio e abitazione, l’importanza per i riti tradizionali, il rispetto del ruolo degli anziani e il culto delle anime dei defunti.

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Minacce attuali: virus dei pescatori e safari umani

Survival International, il movimento mondiale per i diritti e la tutela dei popoli indigeni nato a Londra nel 1968, ha rilasciato nel novembre 2014 un preoccupante comunicato sulla tribù sentinelese: l’ONG ha infatti verificato che gli abitanti dell’isola risultano sempre più minacciati da pescatori di frodo che hanno preso di mira la zona e pescano di continuo nelle acque cristalline prospicienti North Sentinel senza rispettare il decreto del governo. Quest’attività illegale risulta purtroppo in continua crescita, tanto che la guardia costiera indiana ha arrestato, nei giorni precedenti la dichiarazione di Survival, sette pescatori birmani al largo di North Sentinel, e uno di loro sarebbe stato addirittura bloccato già sulla spiaggia. Nonostante il repentino intervento delle forze marittime indiane e l’arresto dei birmani, l’ONG ha chiesto al governo di non abbassare la guardia ma di rimanere costantemente all’erta. Infatti la pesca illegale danneggerebbe in modo irreparabile l’equilibrio ecosistemico dei sentinelesi, basato come abbiamo visto esclusivamente su caccia, raccolta e pesca, privandoli di una delle poche fondamentali risorse di cui dispongono.
Inoltre – cosa se possibile ancora più grave – il contatto dei pescatori con i membri della tribù indigena riproporrebbe il secolare problema del contagio: le difese immunitarie dei sentinelesi non sono sufficienti a sopportare i batteri e le malattie anche più comuni nel resto del mondo, e la probabilità di essere interamente spazzati via da un’epidemia è tutt’altro che remota, anzi tristemente concreta.
Proprio per questo motivo, Survival ha tenuto a ribadire la condizione dei sentinelesi come il popolo più vulnerabile del pianeta, mettendo quindi in guardia riguardo al reale pericolo dei virus importati dai pescatori di frodo e facendo nuovamente pressione sul governo indiano per far rispettare i divieti punendo severamente i trasgressori.
Tutti devono essere consapevoli che si tratta di una crescente minaccia e che le conseguenze potrebbero essere terribili: il drammatico epilogo di molte tribù andamanesi estintesi nel secolo scorso è ancora fortemente vivo nel ricordo e deve rappresentare un monito per prendere seri provvedimenti ed evitare che possa capitare nuovamente con i sentinelesi.
Stephen Corry, direttore generale di Survival, ha anche messo in luce un’altra tragica problematica della regione: i safari umani. L’organizzazione ha esplicitamente chiesto che si ponga fine a questa terribile pratica che vede mestamente protagonista la vicina tribù dei jarawa, vittima di incursioni addirittura giornaliere di turisti nei propri territori. Infatti migliaia di turisti viaggiano tranquillamente lungo la Andaman Trunk Road, la strada che attraversa illegalmente la foresta dove è presente la riserva del popolo jarawa per avvistare e fotografarne i membri, obbligandoli a eseguire danze tribali in cambio di dolciumi, ripresi dalle telecamere dei turisti come nel peggiore dei parchi zoologici, veri e propri inquietanti safari umani.

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Giovane donna jarawa.

Per la serie al peggio non c’è mai limite, parecchi “visitatori” vogliono sfruttare l’occasione per occhieggiare le bellissime donne jarawa, spesso completamente nude, mentre i bracconieri occupano il territorio per rubare la selvaggina. Alcuni di loro adescano le donne con alcol e marijuana e le sottopongono a violenze sessuali. Anche in questo caso, oltre ai soprusi subiti, alle violenze ripetute e alla distruzione di ogni forma di dignità e rispetto degli indigeni, i jarawa rischiano anche di essere ulteriormente decimati dai batteri introdotti da questi pseudo turisti.
La dura e giusta presa di posizione di Survival nel 2014 è solo l’ultimo richiamo a questa tragedia, poiché la stessa ONG nel 2010 aveva denunciato il fenomeno, e nell’aprile del 2013 aveva chiaramente invitato i turisti a non recarsi in questo lembo di territorio affinché cessassero i safari umani contro i jarawa. L’appello di Survival è stato accolto dalle Nazioni Unite e dal ministero indiano agli Affari Interni, che hanno condannato gli episodi chiedendo la definitiva chiusura della Andaman Trunk Road. Purtroppo, le autorità locali delle Andamane, probabilmente spinte dall’interesse economico e dai proventi derivanti dalle attività turistiche (se così si può definirle), si sono mostrate indifferenti ignorando la richiesta e la strada è ancora aperta.
Per fortuna nessun safari umano si potrà mai fare a North Sentinel, data l’inacessibilità del luogo e la bellicosità degli indigeni. Il governo indiano si limita a qualche ispezione per evitare la pesca di frodo e tutelare la salute dei nativi.
In conclusione, sarebbe straordinariamente interessante saperne di più sulla misteriosa tribù e poterne studiare in modo scientifico i riti, le usanze, le abitudini e l’intero apparato culturale; ma ritengo mille volte meglio garantire la sopravvivenza di questo (come di ogni altro) popolo, rispettandone gli stili di vita tradizionali e la decisione di non avere contatti con culture estranee.

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N O T E

1) Le isole Nicobare, situate sempre nel golfo del Bengala, si trovano 150 km a sud delle Andamane, non lontanissime da Sumatra: contano 22 isole principali suddivise in 3 gruppi (settentrionali, centrali e meridionali). Occupate da danesi e austriaci, divennero possedimento britannico nel 1869 e successivamente parte dello Stato indiano insieme alle Andamane.
2) L’impero o confederazione Maratha fu uno Stato induista che creò un vasto impero tra il 1674 e il 1818 esteso per tutto il subcontinente indiano su un’area, al suo apice, di circa 1 milione di kmq, riuscendo in parte a tenere testa alle forze inglesi durante il XVIII secolo. Le rivalità e le lotte intestine tra le diverse tribù portarono al crollo e alla disgregazione intorno al 1818, quando venne assorbito dall’India britannica.