Cominciando la nostra analisi dall’insediamento dei Liguri, da cui l’attuale Regione ha preso il nome, bisogna ammettere che le documentazioni in nostro possesso non ci permettono di avere una chiara classificazione linguistica. Non siamo in grado di affermare con certezza se la loro fosse una lingua preindoeuropea di tipo mediterraneo o indoeuropea di tipo celtico. Seguendo quanto affermano Seneca e Plinio, la lingua ligure si parlava ancora nel I secolo d.C., 1) e i toponimi ci sono indubbiamente di aiuto per delimitare i relativi territori: per esempio, si ritiene che i nomi con suffisso in –asco, che indicano un villaggio e che ritroviamo in certe aree di Piemonte e Lombardia, rivelino antichi insediamenti liguri.
Il centro di Grugliasco vicino a Torino, dall’antico Curliascum, deriva probabilmente dal nome di colui che fondò il sito (Currelius o Correlius) nel territorio della tribù dei Taurini, considerati di etnia ligure, nel I sec. a.C. Gli stessi Taurini avrebbero dato il nome alla città di Torino, in età romana chiamata Augusta Taurinorum.
Altri centri in area piemontese, come Brusasco, Beinasco, Cherasco e Gremiasco a sud del Po, indicano con il medesimo suffisso il nome di colui che fondò il primo insediamento. 2) Altri esempi di nomi di paesi con suffisso in –asco si trovano in area lombarda: Binasco, Garlasco e Godiasco, per i quali vale il medesimo ragionamento circa la loro origine.
Un altro suffisso che indicherebbe un’origine ligure è –alb, il cui significato è “capitale”, nel senso di capitale federale di una certa tribù. Toponimi come Album Intemelium (Ventimiglia), capitale degli Intemeli, o Album Ingaunum (Albenga), capitale degli Ingauni, sono esempi di denominazioni che alludono alla presenza nella Liguria di Ponente delle antiche tribù degli Intemeli e degli Ingauni.
Altre tribù di etnia ligure erano gli Epanteri e i Bagienni o Vegienni. Vivevano nell’attuale basso Piemonte, e dei secondi è rimasta traccia nel toponimo di età romana Julia Augusta Bagiennorum, oggi Bene Vagenna, comune di circa tremila anime nella provincia di Cuneo. Nella stessa area, la città di Alba pare anch’essa di fondazione ligure, data la presenza delle due tribù citate e il fatto che l’antico termine ligure alba significherebbe “città bianca”.
Come afferma Gerhard Rohlfs, i suffissi in –asco si ritroviamo anche nell’occidente della Padania, in particolare “a ovest della linea Garda-Mantova-Parma”: l’area corrisponderebbe ai territori dove i Liguri costituivano l’antica componente autoctona.
Un altro suffisso, con grande probabilità di origine ligure, è quello in -anco il quale indicherebbe una proprietà, un’appartenenza come quello in -asco. Gli esempi di Pizzanco, Schieranco, Aranco, e anche Bognanco (dal torrente Bogno), paesi del nord del Piemonte al confine con la Svizzera, sarebbero stati antichissimi insediamenti liguri. 3)
I toponimi balma e barma, termini che sono giunti a noi con il significato di grotta, riparo sotto roccia e masso scavato, conterrebbero anch’essi un sostrato linguistico ligure: li ritroviamo nella borgata di Balma Boves, vicino a Saluzzo (CN), e Barma (CN), con significati linguistici che ben descrivono la natura di questi luoghi. Il termine preindoeuropeo o protoindoeuropeo *borm > *bormo ligure (“acqua calda”) introduce altri esempi in cui compare l’antico elemento, come nel fiume Bormida che bagna la stazione termale di Acqui Terme. Interessante come la suddetta radice, collegata all’antico elemento autoctono ligure, sia presente anche nel nome Bormio, noto centro della Valtellina provvisto anch’esso di acque termali. 4)
Al nome di altri fiumi come il Neviasca e il Vinelasca, nel territorio di Genova, è legata un’antica iscrizione che risale all’anno 117 a.C. La presenza dei suffissi in -asca, confermerebbe la loro origine ligure. 5)
I nomi venetici
Per quanto riguarda la lingua venetica, le iscrizioni di cui abbiamo traccia riguardano un periodo che va dalla metà del VI secolo a.C. fino alla fusione dell’elemento venetico con quello latino intorno al 100 a.C. 6) Teniamo conto che i Veneti diventano cittadini romani nell’anno 49 a.C.: in tutto questo arco di tempo essi acquisiscono e perfezionano un alfabeto che deriva da quello degli Etruschi di area padana. Entrambi i popoli, infatti, intrattenevano ottime relazioni culturali e commerciali.
Ci sono giunte diversi esemplari in lingua venetica, ritrovati soprattutto nei dintorni di Este in provincia di Padova; si tratta di iscrizioni su lamine di bronzo, su ceramica e su pietra. La scrittura, come quella etrusca, va da destra a sinistra. Altra caratteristica distintiva è che manca di punteggiatura. Este era considerata la capitale degli antichi Veneti e da qui si irradiava tutta la loro civiltà. Il nome del centro deriva dall’antico toponimo Ateste, probabilmente “la città dell’Adige”: il toponimo è infatti connesso all’idronimo Atesis, da cui deriva il nome del fiume che anticamente scorreva vicinissimo alla città.
Il suffisso -este rappresenta una caratteristica distintiva dei toponimi di origine venetica, che ritroviamo in Tergeste: “la città del mercato” in quanto terg significherebbe mercato. Il toponimo ha dato origine alla città di Trieste, anch’essa anticamente centro della civiltà paleoveneta.
Abano, località termale in provincia di Padova, deriva dal toponimo di origine venetica Aponus (il termine è citato da vari autori latini come Lucano, Silio Italico e Marziale, che descrivono le sue acque termali). Da notare – come osserva Giovan Battista Pellegrini – che la radice *ap- sarebbe connessa all’antico indoeuropeo apah, che significa acqua.
Altro toponimo di origine venetica è Opitergium, una forma latinizzata che ritroviamo citata in alcuni autori dell’antichità come Plinio, Strabone e Tacito. Esso contiene il medesimo radicale venetico terg a indicare la sua natura di emporio, di mercato, mentre opi avrebbe valore di preposizione di luogo. Il suddetto composto ha dato luogo nei secoli al nome di Oderzo, un centro nella provincia veneta di Treviso.
Questi toponimi sono dunque una fonte preziosa sulla cultura e la colonizzazione degli antichi veneti. Non si può escludere che anche il nome della città di Padova sia della medesima origine, visto che la sua fondazione risale ai secoli X-XI a.C. quando i Veneti erano già insediati in quest’area, come attestano alcuni ritrovamenti archeologici.
Infine prendiamo in esame “Venezia”. Anticamente il nome indicava grosso modo l’area degli attuali Veneto e Friuli in cui erano stanziati i Paleoveneti. Detta anticamente Venèdia, Venètia, Venèxia, il termine passò a indicare anche la città di Venezia a partire dal IX secolo d.C.
Nel complesso possiamo osservare che dei Paleoveneti ci sono giunte poche tracce nella toponomastica della loro area di insediamento, se confrontate con le tracce lasciate da altri popoli.
Gli etruschi “fuori zona”
L’insediamento degli Etruschi nell’area geografica che riguarda la nostra ricerca comportò – come accennato nella puntata precedente – la fondazione di alcuni centri, alcuni dei quali sviluppatisi nei secoli fino a originare importanti città. Una di esse è Felsina, che attesta la presenza etrusca nelle vicinanze della riva destra del Po. Il toponimo deriverebbe dalla radice etrusca felz– fels-, vendere, da cui Felsina o Felzina, mercato, centro commerciale. 7)
L’area di Felsina, sede di ritrovamenti di bronzi, ceramiche e orificerie provenienti da sud attraverso l’Appennino, attesta la vocazione mercantile di questa città, che come vedremo diventerà Bononia, da cui l’odierna Bologna.
Altro toponimo etrusco degno di nota è Misa o Misna, che si riferisce molto probabilmente all’attuale località di Pian di Misano presso Marzabotto, situata su un’importante via di transito tra la zona d’origine degli Etruschi e la pianura padana. La città sorgeva lungo l’attuale via Porrettana che conduce a Pistoia, come rivelano i ritrovamenti archeologici risalenti alla metà dell’800. Il ritrovamento nel sito dell’iscrizione Kainua, che significherebbe “città nuova” in lingua etrusca, ha indotto gli studiosi a ritenere quest’ultimo il vero nome della città invece di Misa, come si riteneva in un primo tempo.
A ovest di Felsina gli Etruschi fondarono Muthuna < Mutano, che nella loro lingua significherebbe epidemia. Allusione al fatto che a quei tempi il territorio era paludoso e malsano. Tale toponimo corrisponde al nome dell’odierna Modena.
Gli Etruschi compresero l’importanza di controllare il delta del Po per sviluppare i loro commerci ed espandersi nell’Italia settentrionale, e fondarono i centri di Spina e di Adria, rispettivamente a sud e a nord del delta. Il toponimo Spina è di origine greca e significa pesce. 8) La sua origine tosca è confermata dal ritrovamento di varie iscrizioni nell’abitato. Adria deriva dal toponimo Atria o Hatria, la cui componente etrusca è confermata da Varrone: lo storico latino ci informa che i Tusci Atriates svilupparono questo centro in senso commerciale e militare poiché esso confinava con il dominio dei Veneti.
Gli Etruschi si spinsero addirittura a nord del Po e fondarono Manthva (l’odierna Mantova), nome forse collegato a Mantus, una divinità degli inferi: nei miti etruschi il dio Manth e sua moglie Mania erano divinità dell’oltretomba. La città venne fondata presso il punto d’incontro tra il Mincio e il Po, e aveva una funzione di collegamento fluviale, ma anche via di terra, con i centri di Adria, di Spina e di Felsina, rappresentando nel contempo una fortificazione al confine con il territorio dei Veneti.
I centri padani di fondazione etrusca erano organizzati in un sistema atto a sfruttare le produzioni e il commercio di tutta quest’area e costituivano un tramite per il commercio tra l’area del Mediterraneo e i territori transalpini al di là delle Alpi. 9)
Gli antenati celti
Un sostrato protoceltico è presente nella Padania settentrionale e occidentale fin dal secondo millennio avanti Cristo. Altre tribù celtiche si sovrapposero in seguito, venendo a contatto con altri popoli dell’età del ferro, come gli Etruschi, con i quali ebbero una sorta di reciproca influenza a livello culturale, sociale, economico e persino religioso.
I Celti mantennero comunque la loro struttura sociale a base tribale, fondando villaggi privi di mura in zone rurali. Questo tipo di insediamento permetteva loro di mantenere la forza militare che si basava sulla coesione familiare. A sostegno di questa interpretazione, afferma Venceslas Kruta: “L’insediamento dei nuovi venuti dovette avvenire quindi a macchia di leopardo e sostanzialmente nelle zone rurali (questo spiegherebbe il decremento degli insediamenti rurali degli Etruschi) dove ai Celti era possibile per le loro strutture sociali a clan, di mantenere coesione e identità culturale. E questo portò quasi certamente a una convivenza con gli abitanti precedenti, a scambi e influenze reciproche sul piano culturale, sociale, economico e religioso […] È sempre l’autorevole testimonianza di Polibio che descrive un popolamento celtico in Nord Italia ‘katá kómas ateichístous’ (‘per villaggi privi di mura’), un tipo di insediamento caratteristico dei Celti che rispondeva alle loro esigenze di coesione familiare e tribale che era poi alla base della loro forza militare”. 10)
Questo discorso non ci deve però portare a considerare l’insediamento celtico limitato alle campagne: alcuni storici dell’antichità ci ricordano che la tribù celtica dei Libui fondò Vercelli, quella dei Vertamocori, Novara, quella dei Boi, Lodi, mentre gli Insubri fondarono Milano, il cui nome presumibilmente deriva dal gaelico Medhelan, “in mezzo alla pianura”.
Un tipico suffisso di origine celtica presente in alcune aree dell’Italia settentrionale è –ako, che ha dato luogo alla forma -ago. Si tratta della derivazione di un cognome che indica un possesso, e ne sono esempi centri come Bellinzago, Cuzzago, Vacciago in Lombardia e Cavriago in Emilia. Anche i centri di Drusacco e Vidracco in Piemonte e Martignacco in Friuli, i quali nei dialetti locali sono pronunciati -ac, testimoniano la stessa origine essendo connessi a nomi di persona di origine celtica.
Il termine celtico –dunon, indicante un luogo fortificato, lo ritroviamo nei centri piemontesi di Verduno e Linduno, di Duno in Lombardia e di Santa Maria in Duno in Emilia.
Come afferma Gualtiero Ciola, i toponimi che terminano in “lano”, “gliano”, “liano”, come ad esempio Primolano (VI), Mortegliano (UD), Conegliano (TV), Terlano (BZ) derivano dal celtico “land(a)” che indicava un territorio pianeggiante soprattutto incolto e disabitato. 11)
La cittadina di Susa (TO), denominata Segusium in età romana, trae origine molto probabilmente dalla radice gallica sego (“forte”) da cui *Segusia (“la forte”, “la potente”), la quale rappresenta la particolare visione che si aveva di questo sito ai tempi.
Ivrea (TO) era denominata Eporedia in età romana, che si fa risalire ai termini gallici epo (“cavallo”) e reda (“carro”): essi hanno permesso agli studiosi di interpretarne il significato come “stazione di carri trainati da cavalli” o come “mestiere di guidatori di carri trainati da cavalli”.
Di nuovo si comprende quanto sia importante il toponimo come fonte di informazione sulla cultura materiale degli antichi abitatori di un centro.
Il centro di Belluno, in Veneto, deriva con ogni probabilità il suo nome dal termine celtico behl (“splendente”) e dal già citato dunon (“fortezza”), da cui ricaviamo il significato di “città splendente” a testimoniare la visione particolare che gli antichi avevano di questo luogo. 12)
Ritroviamo tracce di toponomastica celtica in alcuni nomi di fiumi come lo Stura (in Piemonte) che deriverebbe dalla forma celtica *Steur (“forte”), il Reno che scorre vicino a Bologna che deriverebbe dal gallico Renos (“fiume”, “che scorre”, “flutto”), mentre il fiume Vara in Liguria farebbe derivare il suo nome dal gallico Vara (“acqua”). Un altro nome di fiume, il Piave che scorre nel Veneto, avrebbe anch’esso un’origine celtica dato che contiene il termine avon (“acqua” “fiume”).
Alcuni toponimi invece si riferiscono alla natura dei luoghi come Crosa (Piemonte) che è verosimilmente un termine di origine celtica (“via incavata”, “buco”) a indicare che il villaggio si è sviluppato presso un avvallamento; Dervio, in provincia di Como, il cui nome si rifà probabilmente al gallico dervo (“quercia”); Braia, un toponimo presente in Piemonte e in Lombardia, probabilmente da brag (“palude”).
Altri toponimi si riferiscono alla natura del suolo, come nel caso del monte Grappa in Veneto che pare derivi il suo nome dal termine celtico greb, grepp (“luogo sassoso e arido”) mentre il monte Barro che sovrasta la città di Lecco deriverebbe da una forma gallica che significa “sommità, “altura”.
Di origine gallica pare sia il nome delle Alpi Pennine (dal gallico penno, “testa , estremità”) in latino Poeninus, Penninus. Il lago Maggiore, tra Piemonte e Lombardia, detto anche Verbano (latino Verbanus), deriva il suo secondo nome dal gallico *uper- (“sopra”) e *banna, *benna (“punta”, “sommità”), che alludono alla conformazione del bacino.
Nel nostro studio l’origine gallica dei suddetti toponimi emerge attraverso la loro denominazione latina, e proprio i nomi di origine latina saranno argomento del prossimo paragrafo.
I romani e l’urbanizzazione
Prima di dare uno sguardo alla toponomastica di influenza latina, è opportuno ribadire che la presenza romana sul territorio della valle padana si distinse da quella celtica e di altri popoli per l’importanza attribuita alle città e alla vita che si svolgeva all’interno di questi centri.
Si può affermare che il fenomeno dell’urbanesimo padano iniziò con il dominio di Roma: il sistema di conquista romano, qui come in altre aree d’Europa, si fondava sulla costruzione di fortezze militari collegate tra loro da strade.
Con tutto ciò, molti toponimi romani sono prestiti di origine gallica e, in alcuni casi, pre-gallica. Il nome della città di Milano, in latino Mediolanum (“pianura di mezzo”), è un esempio di toponimo latino di origine gallica; i toponimi liguri con suffisso in –asco che ritroviamo numerosi nell’area nord occidentale, in età romana vennero latinizzati in –ascus (i Liguri furono sottomessi definitivamente dai Roma nell’anno 180 a.C.).
Sono anche numerosi i nomi con suffisso in –anum, basati su cognomi in una forma che indicava un possesso o un’appartenenza. Gli attuali toponimi Savigliano (CN) <Salvianum <Salvius; Savignano sul Panaro (MO) <Sabinianus <Sabinius; Bazzano (BO) <gens Badia; Albuzzano (PV) <Albutianum <Albutius, ne sono alcuni esempi.
Centri come Augusta Taurinorum (Torino) e Aquae Statiellae (Acqui Terme) attestano le loro origini celto-liguri e liguri (celto-ligure era infatti il popolo dei Taurini e ligure quello degli Statielli) a indicare che i Romani qui si mescolarono a questi popoli.
Bononia (Bologna) indica invece l’origine gallica della città, che fu anticamente occupata dai Galli Boi e successivamente conquistata dai Romani (189 a.C.). Sempre lungo la via Emilia, Mutina (Modena) è un esempio di toponimo latino che ci fornisce informazioni sulla natura del suolo al tempo della fondazione della città. Il termine mota, secondo quanto afferma Riccardo Querciagrossa, indica infatti in lingua latina il terreno di natura fangosa su cui fu edificata la città, tra i fiumi Panaro e Secchia. 13)
Questi fiumi disperdevano le loro acque in un’area che allora era una grande palude chiamata dai Romani Vallis Padusa, confinante con il delta del Po. I Romani intrapresero un’opera di colonizzazione di tutta quest’area attraverso la costruzione di strade e centri abitati. Così fu rifondata la città di Ravenna (di origine etrusca) che fu collegata con Ariminum (“la città sul Marecchia”), l’attuale Rimini, da Ariminus che era appunto il nome latino di questo fiume.
Brixia, Brescia, è un altro esempio di toponimo latino che trae origine da una forma gallica: bric significava altura, cima.
L’analisi di questi toponimi impone alcune riflessioni sul loro rapporto con l’opera di insediamento condotta dai Romani. Si può dire che tale nomenclatura rifletta appieno la natura di una conquista basata principalmente sull’edificazione di accampamenti militari (castra), collegati da un eccellente sistema stradale per facilitare la marcia degli eserciti. Il sistema fu elaborato per favorire al massimo la circolazione delle materie prime e dei prodotti agricoli.
L’uso della lingua latina, che si sovrappose nel corso dei secoli alle lingue preesistenti in quest’area, fu un altro aspetto importantissimo della colonizzazione romana in Valpadana. I toponimi latini riflettono una certa liberalità da parte degli invasori nell’imporre l’uso della loro lingua poiché, come abbiamo visto, certi toponimi derivavano da forme pre-latine. Liberalità che fu una caratteristica distintiva della colonizzazione romana anche in altri territori dell’Europa.
In conclusione, il latino si diffuse in tutta l’area padana, quella che i Romani chiamarono Gallia Cisalpina. Ossia la grande pianura dove scorre il Po, che aveva come limite le Alpi a nord-est, nord e nord-ovest, e a sud i rilievi dell’Appennino settentrionale e il fiume Rubicone.
La lingua latina, seguendo un processo durato secoli, si sovrappose ai sostrati linguistici propri delle popolazioni stanziate nei secoli precedenti, con il risultato che il latino parlato nell’area padana assunse caratteristiche diverse da quello parlato nella penisola italiana.
Arrivano i barbari
Non mancano in Padania toponimi – assai più tardi – di origine germanica. Ricordiamo, per esempio, che il popolo dei Goti, il quale dominò la penisola per 60 anni (dal 488 al 555 d.C.), ha lasciato diverse tracce nella toponomastica padana. 14)
Ritroviamo toponimi come Gòdia, in provincia di Forlì (“sede dei Goti”), Godo presente in Friuli e in provincia di Ravenna, God nel territorio di Piacenza, Gòdega in Veneto e Vigone in Piemonte che ci ricordano la colonizzazione dei suddetti. Gódega significa “gotico” e allude a un antico insediamento di Goti mentre Vigone, venendo da castrum o vicus Godonis, alluderebbe all’accampamento o alla tenuta di un signore di origine gotica.
Altri toponimi che attestano la presenza dei Goti nel territorio settentrionale sono Goito, centro in provincia di Mantova; Sesta Godano, dal nome di persona gotico Goda, in provincia di La Spezia; 15) Rovigo, derivato probabilmente dal nome del proprietario gotico del luogo, tale Hrodico; e Breda che ritroviamo in diverse aree della valle padana, derivato dal termine gotico braida che indicava un terreno incolto, un prato, una campagna aperta. In questo caso, ancora un toponimo che ci offre informazioni sulla natura del luogo.16)
Il centro di Monghidoro, paese dell’Appennino tosco-emiliano in provincia di Bologna, deriva il suo nome da Mons Gothorum, monte dei Goti; il toponimo latino allude a un loro antico insediamento in quest’area, e costituisce un “etnotoponimo”, ovvero un nome di luogo che rivela la presenza nel passato di un insediamento etnico.
Come afferma G.B. Pellegrini, vi sono altri piccoli centri nel nord il cui toponimo ci riporterebbe a un antico insediamento di Goti. Si tratta di Godio (AL); Montegridolfo in Romagna, dal gotico Gredwulf; Adro (BS) dal nome gotico Adra; Medolfe (MN) dal gotico Medwulfs; Buttanengo (NO), forse < Bôtil-iggs; e Gisfengo in provincia di Torino, che deriverebbe forse da Geiswins. 17)
La colonizzazione dei Goti in Italia – più precisamente degli Ostrogoti, cioè dei Goti orientali – si caratterizzò per un’accettazione della cultura e della lingua latina. Dobbiamo considerare che questo popolo era già venuto a contatto con la civiltà romana prima di giungere nella penisola e che lo stesso re Teodorico, dopo aver conquistato l’Italia, chiese all’imperatore romano d’oriente il conferimento ufficiale della carica di re e patrizio della penisola. Questo gesto sottolinea la sua grande considerazione per la civiltà romana.
Teodorico era ben conscio della superiorità degli invasi nel campo del diritto e della pubblica amministrazione, e aspirava a una fusione tra le virtù belliche proprie del suo popolo e le virtù peculiari della civiltà romana. La stessa osservazione della toponomastica di origine gotica rivela che questo popolo non impose ai vinti la propria lingua, dato che in genere ai luoghi occupati non venivano assegnati ex novo nomi germanici. Anche se naturalmente c’erano delle eccezioni.
È opportuno ricordare che i Goti giunti d’oltralpe erano in numero decisamente inferiore rispetto alle popolazioni autoctone (si parla di 100-200mila individui), e ciò favorì senz’altro una fusione tra i vincitori e i vinti a svantaggio della lingua gotica. La stessa quantità di vocaboli gotici entrati nell’italiano contemporaneo conferma la tendenza di questo popolo germanico ad assimilare la lingua e la cultura latina, ma lo vedremo in seguito.
Passando invece all’invasione longobarda in Italia, emergono chiaramente le scarse proporzioni di questo flusso migratorio. La toponomastica di origine longobarda rappresenta uno strumento importante per ricostruire la natura di tale insediamento. Consideriamo che rispetto ai Goti si trattava di gente assai meno romanizzata, che fino al momento dell’invasione aveva avuto scarsissimi contatti con la grande civiltà romana, e lo si comprende bene da alcuni toponimi dei luoghi che occuparono. Per esempio, il diffuso termine Fara, che nella loro lingua indicava il gruppo di individui uniti da parentela che costituivano i corpi di spedizione durante la migrazione. Come spiega Konrad Huber, questi gruppi comprendevano anche donne, bambini e individui appartenenti ad altre etnie come Bulgari, Sassoni, e anche degli schiavi. 18) Tali gruppi formavano delle unità militari e il suddetto termine stava anche a indicare il sito assegnato a un singolo gruppo durante l’opera di colonizzazione. Alcuni toponimi come Fara Novarese (NO), Farra di Alpago (BL), Farra di Soligo (TV), Fara Vicentino (VI), Fara Gera d’Adda (BG), sono esempi di località in cui è presente il termine nella sua forma originaria o con una lieve alterazione.
I centri piacentini di San Michele, frazione di Morfasso, e San Gabriele, frazione di Piozzano, furono parte anch’essi di un dominio longobardo e rappresentano invece degli agiotoponimi, cioè indicano il culto di un santo. Essi rappresentano una fonte importante su un particolare aspetto culturale di questo popolo: i santi raffigurati con la spada che erano assai venerati dai Longobardi. Seguendo questa teoria anche il nome di S. Michele dei Mucchietti, una frazione di Sassuolo, sarebbe di origine longobarda facendo parte di un loro dominio.
Un altro toponimo che ricorre in Padania e che con tutta probabilità ha origine longobarda è Centenaro, il quale deriverebbe dall’antico termine germanico centena con cui si indicava una suddivisione della popolazione pari a un nucleo di cento famiglie e a cui veniva data la terra da colonizzare. Preziosa fonte di informazione sul tipo di insediamento longobardo, lo ritroviamo in provincia di Piacenza (frazione di Ferriere) e nel territorio di Brescia (frazione di Lonato).
Sala è un’altro toponimo che trae origine dall’età longobarda: si riferisce alla casa padronale in cui veniva effettuata la raccolta dei prodotti agricoli dovuti al proprietario, e pertanto contribuisce a descrivere la società rurale di quel tempo. Ricordiamo tra gli altri Sala Baganza (PR), Sala Biellese, Sala Bolognese, Sala Monferrato e Sale Marasino (BS).
Gastaldo – dal longobardo Gastald, l’amministratore del re che provvedeva alla riscossione dei tributi – è un toponimo che ci informa sulla struttura della società al tempo della dominazione longobarda: il centro di Gastaldi (TO) e la strada della Gastaldia (PD) ne sono alcuni esempi.
Un altro toponimo che descrive la natura dei luoghi è Gualdo, derivante dall’antico termine germanico wald (foresta). Lo troviamo nel centro di Gualdo, una frazione di Voghiera in provincia di Ferrara e nella frazione Gualdo di Roncofreddo (FC), altri luoghi di colonizzazione longobarda.
I toponimi Gaggio, Gazzo, Gaggiano e Gazzano sarebbero portatori anch’essi di un sostrato linguistico longobardo, derivando dall’antico termine gehagi, il cui significato “fondo cintato, proprietà privata, riserva di caccia, terreno boschivo riservato”. 19) In base a questa teoria il centro di Gaggio Montano, un paese dell’Appennino bolognese, avrebbe origine longobarda: e infatti si trattava proprio di un dominio longobardo durante l’Alto Medioevo, denominato in latino Gajum Reginae, “bosco della Regina”.
Se osserviamo una carta dell’Italia settentrionale, possiamo notare una quantità di toponimi con suffisso in -engo presenti in alcune aree di Piemonte, Lombardia, Emilia e Veneto. Sono tutti centri di piccole e medie dimensioni. Ricordiamo Barengo (NO), Bosco Marengo (AL), Verolengo (TO), Bollengo (TO), Scurzolengo (AT), Casalpusterlengo (LO), Martinengo (BG), Gottolengo (BS), Pastrengo (VR), Bussolengo (VR), Gossolengo (PC).
I maggiori studiosi sono concordi nell’affermare che il suddetto suffisso ha origine al tempo delle invasioni germaniche nell’Alto Medioevo. Si tratterebbe di un suffisso gentilizio per indicarel’appartenenenza a una famiglia e deriverebbe dall’antico suffisso germanico –ingos. Per esempio, in Bollengo sarebbe riconoscibile il cognome germanico Bolo. 20)
Che i suffissi in -engo siano o meno di origine longobarda è una questione assai dibattuta fin dal passato. 21) Secondo alcuni eminenti studiosi, essi proverebbero una colonizzazione militare longobarda lungo le principali vie di comunicazione terrestre e fluviale della valle padana. 22) Secondo altri la distribuzione di questi toponimi non seguirebbe tali vie di comunicazione e quindi non proverebbe un insediamento di tipo militare. 23)
Alcuni, poi, ritengono che parte dei toponimi in -engo abbiano un’origine germanica e parte risalgano a un sostrato linguistico pre-latino. In linea con la considerazione che i Longobardi, nell’area di cui ci siamo occupati, non fondarono nuove città e villaggi; non condussero, cioè, una colonizzazione vera e propria, ma si limitarono a occupare siti preesistenti e in alcuni casi vennero adottati da essi toponimi preesistenti. 24)
Resta comunque il fatto non da poco che, dopo l’invasione di questo popolo, la pianura padana assunse il nome di Longobardia.
N O T E
1) Francesco Villar, Gli Indoeuropei e le origini dell’Europa, Il Mulino, Bologna 1997.
2) Piero Dagradi, Carlo Cencini, Compendio di Geografia umana, Bologna, Patron, Bologna 2003.
3) Gerhard Rohlfs, Studi e ricerche su lingua e dialetti d’Italia, Sansoni, Firenze 1990.
4) Francesco Perono Cacciafoco, Pre-Indo-European Relics: The *borm- Root in the European Pre-Latin Context, in Acta Linguistica: Journal for Theoretical Linguistics, vol. 9, nº 2, 2015.
5) Gerhard Rohlfs, op. cit.
6) Mariolina Gamba, Giovanna Gambacurta, Angela Ruta Serafini, Vincenzo Tinè, Francesca Veronese (a cura di), Venetkens. Viaggio nella terra dei veneti antichi, Marsilio, 2013.
7) Arnaldo D’Aversa, La valle padana tra Etruschi, Celti e Romani, Paideia Editrice, Brescia 1986.
8) Arnaldo D’Aversa, op. cit.
9) Appunti tratti dalla mostra Etruschi, viaggio nelle terre dei Rasna presso il museo civico archeologico di Bologna (2019-2020).
10) Venceslas Kruta, Valerio Massimo Manfredi, I Celti in Italia, Mondadori, Milano 1999.
11) Gualtiero Ciola, Noi, Celti e Longobardi, Edizioni Helvezia, Venezia 1987.
12) Gualtiero Ciola, op. cit.
13) Riccardo Querciagrossa, L’evoluzione della regione del Delta del Po dalla preistoria ai giorni nostri, II. L’Età romana.
14) Pierluigi Lanfranchi, I barbari, da invasori a padri d’Europa, Giunti, Firenze 2004.
15) Vittoria Dolcetti Corazza, Introduzione alla filologia germanica, G. Giappichelli editore, Torino 1987.
16) Nicoletta Francovich Onesti, Goti e Vandali. Dieci saggi di lingua e cultura altomedievale. Latino e Gotico nell’Italia del VI secolo, Artemide Editore, 2013.
17) G.B. Pellegrini, Toponomastica italiana, 10.000 nomi di città, paesi, frazioni, regioni, contrade, fiumi, monti, spiegati nella loro origine e storia, Hoepli, Milano 1990.
18) Konrad Huber, I toponimi in -engo dell’Alta Italia, Vox Romanica.
19) Pino Mollica, Note di toponomastica sugli insediamenti longobardi.
20) Gerhard Rohlfs, op. cit.
21) Konrad Huber, op. cit.
22) Jakob Jud, Die Verteilung der Ortsnamen auf engo in Oberitalien,231937.
23) Corrado Grassi, Strategia e analisi regionale in toponomastica, Archivio Glottologico 50, 1965.
24) C. Mastrelli, La toponomastica lombarda di origine longobarda, in I Longobardi e la Lombardia, 1978.