Nel primo pomeriggio del 21 gennaio, un altro colpo è stato inferto da Ankara ai militanti yazidi di Shengal (Siniar). L’attacco contro un mezzo di trasporto è avvenuto nell’area della valle di Shilo ed è costato la vita a due membri delle YBŞ (Unità di Resistenza di Shengal). Le vittime sono il comandante delle YBŞ Azad Êzdîn e il combattente Enver Tolhildan. Almeno altri due yazidi, non ancora identificati, sono rimasti gravemente feriti.
L’episodio si inserisce in un clima di crescenti minacce, provenienti sia dall’esercito iracheno (il quale pochi giorni fa aveva richiesto alle Ezidxan Asayish, una milizia yazidi di autodifesa, di abbandonare la zona di Sinune minacciando, in caso contrario, di costringerle con la forza), sia dal PDK di Barzani.
Obiettivo non dichiarato ma evidente, esautorare l’autogoverno e l’autogestione qui instaurati dai curdi yazidi sul modello del confederalismo democratico, come in Rojava. Una minoranza perennemente perseguitata, non solo durante l’occupazione dell’ISIS, che ha rischiato semplicemente di scomparire.
A questo clima intimidatorio, evidentemente, anche Ankara ha voluto portare il suo contributo. D’altra parte è noto che ancora nel 2020 è stato siglato un accordo tra PDK e governo centrale iracheno, sotto la supervisione turca, per annullare l’autogoverno di tale minoranza.
In questi ultimi giorni, mentre l’esercito iracheno andava rafforzando le sue posizioni e la popolazione organizzava manifestazioni di protesta, a Sinune tre giornalisti venivano arrestati (preventivamente?) dai militari arabi.
Tali eventi costituiscono una sorta di “effetto collaterale” (ma forse a ben guardare, nemmeno tanto “collaterale”) dei ripetuti interventi dell’esercito e dell’aviazione turca nel Nord dell’Iraq. Iniziati il 23 aprile 202, ufficialmente contro il PKK, hanno coinvolto anche la regione yazidi. Altri due combattenti delle YBŞ, Seîd Hesen e İsa Xwededa, erano stati uccisi con i droni il 16 agosto.
Il giorno dopo la Turchia bombardava addirittura un ospedale, uccidendo quattro operatori sanitari e quattro combattenti YBŞ.
Inoltre ai primi di dicembre, nel quartiere di Khanesor, un altro drone aveva eliminato Merwan Bedel, copresidente del consiglio esecutivo dell’amministrazione autonoma di Shengal. Nella stessa operazione venivano feriti i suoi due figli.
Quattro giorni dopo, l’11 dicembre, veniva pesantemente bombardato, sempre dall’aviazione turca e – ricordo – sempre in territorio iracheno, il palazzo dove si trova la sede del consiglio popolare di Khanesor.
Va anche detto che tutti gli sforzi congiunti del governo iracheno, del PDK di Barzani e della stessa Turchia per eliminare l’autoamministrazione della comunità yazida, si sono dovuti arenare di fronte alla ferma resistenza della popolazione. Almeno finora.