È davvero difficile accontentare chi odia Israele. Quando gli ebrei non possono proteggersi perché non hanno un esercito, sono “codardi” e vengono perseguitati in Turchia e in tutto il mondo. Quando invece si proteggono grazie alle loro forze armate, allora sono “oppressori”.
Per gli antisemiti o per chi è anti-israeliano, Israele è il problema. Ma molti di noi che vivono in altri Paesi del Medio Oriente 1) vedono Israele come l’unico faro di libertà e democrazia in mezzo alle tenebre, al terrorismo e all’odio che infestano la regione.
Proprio di recente, il 12 gennaio scorso, Mahmoud Abbas, negazionista dell’Olocausto e glorificatore del terrorismo, ha incontrato ad Ankara il presidente turco Recep Tayyip Erdogan.
Prima di allora, il 27 dicembre, il leader di Hamas Khaled Meshaal ha parlato al congresso dell’Akp, il partito al potere in Turchia, e ha detto: “Ad Allah piacendo, in futuro, libereremo di nuovo la Palestina e Gerusalemme”.
La folla presente al congresso gridava slogan come “Mujahid Mashaal”, “Hamas, sono pronto a dare la mia vita per te” e “Abbasso Israele!”
Il problema è che il concetto di vera libertà e democrazia sembra essere estraneo agli antisemiti. Molti di questi autoproclamati progressisti hanno un’idea arrogante di ciò che è giusto e sbagliato, avendo una mentalità miope, ostile alla libertà e antidemocratica come quella del più rigido tiranno. Quando la gente parla di Israele come se fosse “il problema”, intende dire che l’esistenza stessa di Israele è il problema.
La gente che mostra solidarietà nei confronti dei Fratelli musulmani o Hamas, che acclama chi incarcera, processa e reprime i difensori della libertà di espressione, fornisce solo un’ennesima prova della legittimità di Israele.
Quando la gente di questa regione dice: “Abbasso Israele!” in realtà, intende dire: non vogliamo la democrazia e non vogliamo l’eguaglianza. Vogliamo che il nostro Stato sia assoluto e che gli ebrei siano apolidi e indifesi. Non vogliamo la saggezza né il sapere degli ebrei. Abbiamo solo bisogno di più ignoranza, arroganza e inimicizia. Siamo ignoranti e siamo felici di esserlo. E se possibile, vogliamo un altro Olocausto, proprio come chiede Hamas. Allo stesso tempo, vogliamo la pace. E questa è la nostra interpretazione della pace.
Israele è il luogo dove gli antenati degli ebrei vissero, impararono e faticarono. Gli ebrei devono restare lì non solo per proteggersi da altri massacri, ma anche per imparare dai loro predecessori; che stabilirono i primi princìpi di giustizia sociale dopo il Codice di Hammurabi. Ecco, tutto ciò che dovete fare è leggerli. Pagare l’operaio al tramonto. Non cuocere l’agnello nel latte di sua madre. Non rubare. Non uccidere. Questi sono i veri messaggi di libertà.
Gli ebrei sono il popolo autoctono di Israele e molte volte hanno teso la loro mano ai palestinesi e ad altri, e questa mano è stata rifiutata. Voi vi difendereste dal lancio dei missili, perché loro non dovrebbero farlo? Israele non ha nulla di cui scusarsi.
Erdogan, il piccolo Führer asiatico
Si crede che in Turchia l’antisemitismo sia stato promosso dopo l’arrivo al potere nel 2002 del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (Akp). Ma esaminando meglio la condizione degli ebrei nella Turchia moderna, è chiaro che si tratta di una leggenda. La verità è che questa gente è stata soggetta a oltre 90 anni di discriminazioni sistematiche, pogrom, assimilazione forzata e divieti di utilizzare la propria lingua madre.
Il 21 novembre 2014, il Middle East Media Research Institute ha pubblicato un documento speciale che va assolutamente letto, dal titolo: In Turchia, l’antisemitismo raggiunge picchi elevati: minacce contro gli ebrei turchi, espressioni di ammirazione nei confronti di Hitler, richieste che gli ebrei siamo mandati nei campi di concentramento e che paghino una “imposta speciale”.
In questo documento si legge: “Mentre il presidente Erdogan, nel discorso da lui pronunciato il 22 settembre 2014 al Council of Foreign Relations, negava che lui e il suo governo fossero in alcun modo antisemiti, i membri del suo partito twittavano da casa elogi per Hitler e i negozi di Istanbul esponevano cartelli con scritto: “Vietato l’ingresso ai cani ebrei”.
Come sottolinea MEMRI, è ovvio che sotto il governo dell’Akp l’antisemitismo ha raggiunto picchi elevati. Ma queste realtà raccapriccianti non sono state causate soltanto dal partito islamista Akp né sono senza precedenti nella storia turca.
In Turchia, gli ebrei furono destinati ai battaglioni dei lavori forzati nel 1941-1942; furono tenuti a pagare un’imposta speciale nel 1942-1944 e costretti all’assimilazione forzata. La stampa turca li fece sistematicamente oggetto di discorsi di incitamento all’odio, stampa che ebbe un ruolo nei pogrom contro gli ebrei scoppiati nel 1934 nella Tracia orientale. Con l’introduzione della legge sul cognome, i bambini ebrei dovettero cambiare i loro nomi e cognomi originali per adottarne altri che suonassero turchi. Anche il ladino, il giudaico-ispanico parlato dagli ebrei turchi, fu messo al bando dal regime. Dal 1923, quando fu fondata la Repubblica turca, gli ebrei furono sistematicamente discriminati (come pure le altre comunità non-musulmane) e privati della loro libertà di movimento almeno tre volte: nel 1923, 1925 e nel 1927.
La Repubblica turca era stata fondata dal Partito repubblicano del popolo (Chp), di sedicente ispirazione “laica”, che ora è il principale partito di opposizione in parlamento.
Se l’antisemitismo emerso durante il governo dell’Akp è stato ampiamente segnalato dai media, quello manifestatosi durante e dopo la creazione della Repubblica è altrettanto ampiamente trascurato.
In Turchia, l’antisemitismo ha una lunga storia e ha attecchito tra le autorità statali, l’opinione pubblica, gli ambienti politici (di destra e di sinistra), i gruppi islamisti e non, e in particolare nei media. Nessuna università turca ha un dipartimento di studi ebraici o sull’Olocausto. La nascita dello Stato ebraico nel 1948 trasformò l’antisemitismo in antisionismo, che sembra essere una forma tacita e falsa del primo.
Dalla fondazione della Repubblica turca nel 1923, fino al 1950, quando si svolsero le prime elezioni nazionali, siffatte pratiche antisemite furono messe in atto dai governi non islamisti del Chp, che fondò lo Stato turco.
È impossibile menzionare in un solo articolo tutti gli episodi di antisemitismo verificatisi in Turchia, ma una breve cronologia degli sviluppi più importanti riguardo agli ebrei potrebbe contribuire a capire che tipo di vita essi siano stati costretti a condurre per decenni in questo Paese.
Antisemitismo tradizionale e media turchi
La storica Ayse Hur, basandosi sugli scritti dello studioso indipendente Rifat Bali, ha raccontato alcune delle campagne antisemite della stampa turca durante i primi decenni di vita della Repubblica. Nel gennaio 1923, i quotidiani “Türk Sesi” e “Yanık Yurt”, pubblicati nella provincia di Izmir, chiesero ai commercianti turchi di lottare contro “la minaccia ebraica immorale e sordida”. Gli articoli affermavano che gli ebrei erano il terreno fertile per la proliferazione di germi in Turchia e soprattutto a Izmir. Poi, “Akbaba”, una rivista satirica, si unì al coro pubblicando una serie di pezzi che recavano titoli come: Non hai capito che non si devono avere contatti con gli ebrei? e Permetteremo a questi germi di vivere con noi?
Nel dicembre 1925, dai principali quotidiani fu avviata una campagna antisemita, dopo che furono diffuse voci secondo cui almeno 300 ebrei avevano inviato un telegramma per le celebrazioni del 435mo anniversario della scoperta dell’America da parte di Colombo. Gli articoli pubblicati definivano gli ebrei “ingrati” e “sanguisughe che si aggrappano alle spalle del Paese”, suggerendo che fossero esiliati come soluzione. Alcuni individui infiammati da questi scritti uccisero un ragazzo ebreo e attaccarono la sinagoga della città di Kuzguncuk. Non si sa se il telegramma in questione sia stato o meno inviato.
Nel gennaio 1937, le ondate fasciste e nazionalsocialiste dell’Europa arrivarono in Turchia. A Istanbul fu aperto un ufficio informazioni tedesco. I quotidiani “Türkische Post” e “Cumhuriyet” iniziarono a riecheggiare la propaganda nazista.
Nell’agosto 1938, il governo emanò il decreto n.2/9498 che recitava: “Agli ebrei che sono esposti a pressioni per ciò che concerne le condizioni di vita e gli spostamenti nei Paesi di cui sono cittadini, è vietato entrare in Turchia e risiedervi, a prescindere dalla loro religione”. Ventisei impiegati ebrei della Anatolian News Agency, che allora era la sola agenzia stampa della Turchia, furono licenziati. Nei quotidiani e nelle riviste aumentò il numero degli articoli e delle vignette satiriche che ritenevano le minoranze, soprattutto gli ebrei, responsabili dei problemi che la Turchia stava attraversando.
Il 28 dicembre 1939, un forte terremoto colpì la provincia turca di Erzincan, uccidendo decine di migliaia di persone. Appresa la notizia, le comunità ebraiche di Tel Aviv, Haifa, Buenos Aires, New York, Ginevra, Il Cairo e Alessandria d’Egitto, raccolsero denaro e indumenti e li inviarono in Turchia. Anziché apprezzare questo gesto, la stampa lo ridicolizzò, lasciando intendere che dietro ci fossero cattive intenzioni.
Nel 1948, allorché gli ebrei vollero raggiungere il neonato Stato di Israele, la Turchia e i suoi media – che avevano fatto carte false per cacciarli via – stavolta definirono “traditori” gli emigranti.
I codici di armeni, greci ed ebrei
Un ricerca effettuata dal quotidiano “Radikal” e le interviste ad alcuni funzionari hanno rivelato una storia centenaria di discriminazioni operate in Turchia. Secondo quanto scoperto dal giornale, la Turchia, sin dalla fondazione repubblicana, ha segretamente stabilito dei codici numerici per le varie comunità non musulmane, come l’armena, la greca, l’ebraica, la siriaca e altre. Il Direttorato per la Popolazione ha assegnato il codice 1 ai greci, 2 agli armeni e 3 agli ebrei.
“Questo è ovviamente uno scandalo che dovrebbe sconvolgere la Turchia nel profondo, ma il Paese è troppo impegnato con la sua agenda”, ha scritto Orhan Kemal Cengiz, un avvocato per i diritti umani ed editorialista, sul quotidiano online “Al Monitor”.
Considerata la storia della Turchia, che è piena di pratiche inique nei confronti di chi non è musulmano, forse il significato di questo scandalo può essere meglio compreso grazie a un paragone. Per un attimo, provate a immaginare che gli ebrei tedeschi oggi fossero segretamente identificati dal governo tedesco con dei codici e che questo fosse scoperto. Ciò scatenerebbe un terremoto politico abbastanza grande da scuotere il sistema politico tedesco fino alle sue radici. Invece, in Turchia lo scandalo è rimasto tale solo per pochi giorni nelle notizie pubblicate da qualche giornale.
Le leggi che escludevano gli “altri” da certe professioni
Già all’inizio del 1923 e del 1924, le imprese straniere e le banche erano tenute ad assumere soltanto cittadini musulmani turchi e a liberarsi dei non musulmani. Greci, ebrei e armeni furono licenziati in massa senza essere pagati.
Il 24 gennaio 1924, “essere turchi” divenne il requisito fondamentale per lavorare come farmacisti in base a una nuova normativa per questa categoria professionale.
Il 3 aprile 1924, in accordo alla legge professionale forense, fu valutata la moralità di 960 avvocati. Ne conseguì che i permessi di lavoro di 460 legali furono annullati. Così, il 57 per cento degli avvocati ebrei e i tre quarti dei legali greci e armeni persero il lavoro.
Nell’art. 4 della legge 1926 sui dipendenti pubblici, si affermava che solo i “turchi” potevano lavorare nelle istituzioni pubbliche. La legge comprendeva tutti i dipendenti degli enti pubblici, dai conducenti dei tram ai lavoratori portuali. A causa di questa legge, migliaia di non musulmani persero il lavoro.
Nel 1928 furono emanate nuove leggi sui requisiti da possedere per svolgere certi tipi di lavori. Secondo le norme, soltanto i cittadini turchi potevano svolgere l’attività di medici, dentisti, ostetriche, infermieri e così via.
Per “cittadini turchi”, in queste leggi, si intendevano gli individui “di etnia turca”. Pertanto, per svolgere determinati lavori una persona doveva essere non solo musulmana ma anche etnicamente turca.
Il 22 aprile 1926, dopo il varo di una legge che sanciva il turco quale unica lingua da utilizzare nella corrispondenza commerciale, i non musulmani che lavoravano nelle strutture amministrative e non possedevano la padronanza del turco scritto furono licenziati.
L’11 giugno 1932, il parlamento turco varò la legge n. 2007 che proibiva agli stranieri di svolgere numerose attività. La legge recitava:
I lavori e i servizi di seguito indicati possono essere svolti solo da cittadini turchi. Chi non è cittadino turco non può svolgere i seguenti lavori e servizi:
A) Il venditore ambulante; il musicista; il fotografo; il parrucchiere; il compositore; l’agente immobiliare; il fabbricante di abiti, cappelli e scarpe; l’operatore di borsa; il venditore di prodotti che sono sottoposti a monopolio di Stato; il traduttore; la guida. Non può lavorare nel settore edilizio, siderurgico o del legno; non può lavorare stabilmente o temporaneamente come conducente di veicoli pubblici; non può lavorare nel settore idrico, elettrico, nelle poste e telecomunicazioni. Non può occuparsi degli impianti di riscaldamento. Non può fare l’addetto al carico delle navi; l’autista e il camionista; l’assistente; il custode, il portiere o il capocameriere in tutti i tipi di aziende, alberghi e imprese. Non può lavorare negli alberghi, nei motel, nei bagni pubblici, nei bar. Non può fare il cameriere nei club, nelle sale da ballo o nei pub, né fare il ballerino o il cantante.
B) Essere veterinario e farmacista.
Questa “legge sulle attività lavorative” fu la misura più drastica del governo kemalista dopo la proclamazione della nuova Repubblica nel 1923.
I divieti di assunzione furono anche un grosso ostacolo per i rifugiati esiliati dalla Germania. Essi cercavano un lavoro che non fosse stato bandito o studiavano scappatoie legali. Qualcuno di loro – in particolare le donne – ottenne permessi di soggiorno per contrarre matrimonio con cittadini turchi. Se le autorità avessero scoperto che quei matrimoni erano “falsi”, le donne avrebbero rischiato di essere deportate.
“Cittadini, parlate turco!”
Il 13 gennaio 1928, il sindacato studentesco della facoltà di Giurisprudenza dell’Università Ottomana (l’attuale Università di Istanbul) lanciò una campagna per proibire l’uso in pubblico di tutte le lingue diverse dal turco.
Gli attivisti affissero manifesti in molte città con lo slogan “Cittadini, parlate turco!” Su alcuni cartelli c’era scritto: “Non possiamo definire turco chi non parla la lingua turca” oppure “O parli turco o lasci il paese!” Centinaia di persone furono vessate in pubblico, dovettero pagare multe o furono arrestate, con il pieno sostegno del governo.
L’antropologo Isil Demirel ha studiato il processo attraverso cui il turco ha rimpiazzato il ladino come lingua madre degli ebrei sefarditi in Turchia. “Negli anni Venti, gli ebrei furono esposti a forti pressioni durante i tentativi di diffondere la lingua turca”, ha scritto Demirel. “Da quando gli ebrei cominciarono a usare il turco anziché il ladino, emersero delle differenze culturali tra la vecchia generazione, che usava il ladino come lingua madre, e la giovane generazione che parlava turco. Il ladino, che oggi in Turchia è una lingua che sta morendo, è usata soltanto dagli ebrei che hanno più di 50 anni, e incarna una cultura radicata e di lunga data”.
Demirel cita un ebreo sefardita, testimone della campagna all’insegna dello slogan “Cittadini, parlate turco!”, che ha raccontato: “Se allora dicevi due parole in spagnolo (ladino), alzavano immediatamente le mani gridando: ‘Ehiii, signora, signore! Cittadino, parla turco!’ Oppure ti agitavano i bastoni contro”.
In un’altra campagna per l’assimilazione forzata, nel novembre 1932, a ogni ebreo della provincia di Izmir fu fatto firmare un accordo in cui egli prometteva “di abbracciare la cultura turca e di parlare la lingua turca”. Poi fu la volta degli ebrei delle province di Bursa, Kiklareli, Edirne, Adana, Diyarbakir e Ankara. I quotidiani erano pieni notizie di ragazze ebree (e armene) che in gruppi si convertivano all’islam.
I pogrom contro gli ebrei in Tracia orientale
Nelle province di Tekirdag, Edirne, Kirklareli e Canakkale, dal 21 giugno al 4 luglio 1934, scoppiarono feroci pogrom, a causa di articoli scritti da autori panturchisti come Cevat Rifat Atilhan e Nihal Atsiz. I pogrom iniziarono con un boicottaggio delle imprese ebraiche e furono seguiti da attacchi contro gli edifici di proprietà degli ebrei, che furono prima saccheggiati e poi dati alle fiamme. Gli ebrei furono picchiati, subirono aggressioni e alcune donne vennero violentate.
In una spirale di terrore, oltre 15.000 ebrei fuggirono dalla regione. Le pressioni antisemite sulle comunità ebraiche, le scuole, i mercati e le istituzioni statali, continuarono anche dopo i pogrom. Una circolare “confidenziale” inviata dalla sede centrale del Chp – allora al potere – alle sue sedi locali nella Tracia orientale, rivela che il governo aveva quantomeno tollerato i pogrom.
La Turchia durante l’Olocausto
Durante l’Olocausto, la Turchia aprì le porte a pochissimi ebrei e rifugiati politici. Gli appelli di numerose personalità e delle organizzazioni ebraiche affinché la Repubblica turca accogliesse più profughi non sortirono alcun effetto.
Anzi, nel 1937 prese misure per impedire l’immigrazione ebraica. Quando, nel 1938, il numero dei profughi aumentò rapidamente, la Repubblica turca promulgò due leggi che proibivano a chi non fosse in possesso di passaporto o di documenti che attestassero la cittadinanza di entrare e risiedere in Turchia. Queste leggi non erano apertamente collegate agli ebrei. Ma non prescindevano dal fatto che la Germania e altri Paesi li avevano privati dei loro diritti di cittadinanza. Il 29 agosto 1938, il governo turco diffuse un’ordinanza per impedire agli “ebrei i cui diritti erano stati limitati nei loro Paesi” di entrare in Turchia.
La tragedia dei rifugiati
Gli storici Corry Guttstadt e Rifat Bali hanno documentato le tragedie dei profughi ebrei che cercavano di sfuggire alla persecuzione nazista durante l’Olocausto per raggiungere Israele, la loro patria storica. L’8 agosto 1939, la nave Parita dovette sostare al largo della costa della provincia di Izmir, a causa di qualche problema durante il trasporto di 800 profughi ebrei provenienti da Germania, Polonia e Cecoslovacchia e diretti in terra di Israele (allora chiamata Palestina, sotto mandato britannico). I profughi rimasero una settimana senza carbone, acqua e cibo. Alla nave fu vietato di entrare in porto e il capitano alla fine fu costretto, dopo minacce da parte della polizia turca, a proseguire la navigazione.
Le riviste satiriche turche come “Karikatür” e “Akbaba” ridicolizzarono i profughi ebrei che cercavano invano rifugio in tutto il mondo. La caricatura sulla copertina di “Akbaba” del 24 agosto 1939 si riferiva ai profughi ebrei a bordo della Parita e la didascalia recitava: “Siamo affamati e senza soldi. Per l’amor di Dio, permetteteci di sbarcare cinque minuti per arricchirci”. Dopo che la nave aveva lasciato la costa di Izmir, il quotidiano semiufficiale “Ulus” scrisse: “Gli ebrei erranti qui attorno se ne sono finalmente andati”.
Il 6 dicembre 1940, una nave chiamata Salvador, in viaggio verso la terra di Israele e proveniente da Varna, in Bulgaria, arrivò a Istanbul con 327 ebrei cechi e bulgari a bordo. Il 12 dicembre, la Salvador fu costretta a restare in mare, nonostante il cattivo tempo, per poi affondare lo stesso giorno durante una forte tempesta al largo della costa di Silivri, nel Mar di Marmara. Come conseguenza, annegarono 204 persone, tra cui almeno 70 bambini.
Il 15 dicembre 1941, la nave Struma, nel tentativo di salvare 769 ebrei rumeni dallo sterminio nazista, aveva lasciato il porto di Costanza per condurli in terra di Israele e cercava di ormeggiare a Istanbul. Non solo la nave era sovraccarica, ma ebbe anche un’avaria per un motore difettoso. Uno striscione con scritto “Salvateci” fu fissato alla fiancata della nave. Per 70 giorni, durante i mesi invernali del 1941-1942, la Turchia non le permise di attraccare; i passeggeri dovettero lottare contro le malattie e la morte, al largo della costa di Istanbul, nei pressi di Sarayburnu. Alla fine, il cavo di ancoraggio venne tagliato e assicurato a un rimorchiatore, che trainò la nave al largo verso il Mar Nero.
Senza propulsore, carburante, cibo, acqua e medicinali, la Struma fu abbandonata al suo destino, in mare aperto. Il 24 febbraio 1942, fu silurata da un sottomarino sovietico alle 2 del mattino. Solo una persona è sopravvissuta. Dopo l’incidente, l’allora primo ministro Reflik Saydam commentò: “La Turchia non può diventare la patria di chi non è accettato da tutti gli altri”.
I “battaglioni di lavoro” dei non musulmani (1941-1942)
Il 22 aprile 1941, con un caldo terribile, 12.000 non musulmani, tra cui maschi ebrei di età compresa tra i 27 e i 40 anni, furono inviati come soldati nei campi di lavoro forzato, privi di infrastrutture e di approvvigionamento di acqua, infestati da zanzare, pieni di umidità e fango (tutte fonti di malaria). Questi soldati, conosciuti anche come “le 20 classi”, non erano muniti di fucili. Erano costretti a indossare divise da netturbini e a lavorare senza sosta, insultati e scherniti come “soldati infedeli”. Venivano reclutati anche i non vedenti e i disabili fisici. Erano costretti a lavorare in condizioni terribili, impiegati nella costruzione di gallerie come a Zonguldak e nel Parco della Gioventù, da Ankara. Facevano lavori pesantissimi, come frantumare pietre e costruire strade nelle province di Afyon, Karabuk, Konya e Kutahya. I “battaglioni di lavoro” furono sciolti il 27 giugno 1942.
“A causa delle cattive condizioni durante il servizio ci furono morti e feriti tra gli arruolati”, ha riferito il turcologo Ruben H. Melkonyan. La giustificazione prevalente era questa: volendo partecipare alla seconda guerra mondiale, la Turchia aveva radunato in anticipo tutti i non turchi inaffidabili, considerati come una potenziale “quinta colonna”.
Tassa sulla ricchezza (1942-1944)
L’11 novembre 1942, il governo, guidato dall’allora premier Sukru Saracoglu, promulgò una legge relativa alla tassazione della ricchezza, con l’obiettivo di risolvere i problemi economici emersi durante la seconda guerra mondiale. L’87 per cento dei contribuenti non era però musulmano. Il vero motivo alla base di questa legge era l’eliminazione dei non musulmani dall’economia, come ha scritto Basak Ince, docente di Scienze politiche.
I contribuenti furono suddivisi in quattro gruppi distinti, a seconda della fede religiosa:
M per i musulmani;
G per i non musulmani;
E per gli stranieri;
D per i convertiti.
L’ammontare delle imposte che dovevano pagare i commercianti armeni era del 232%; il 179% toccava ai commercianti ebrei e il 156% a quelli greci. Appena il 4,94% dei musulmani turchi doveva pagare la tassa sulla ricchezza. Pertanto, a esserne gravemente colpiti furono i non musulmani come gli ebrei, i greci, gli armeni e i levantini. 2) Ma gli armeni furono i più tartassati.
Il ricercatore turco Ridvan Akar ritiene che la tassa sulla ricchezza sia stata un genocidio economico contro le minoranze. Questa legge fu imposta anche ai non musulmani indigenti, come gli autisti, gli operai e persino i medicanti, mentre i loro omologhi musulmani non dovevano pagare nulla. I non musulmani dovevano pagare la tassa, in contanti, entro 15 giorni. “E quelli che non potevano pagare venivano spediti in un campo ad Askale, nei pressi di Ezerum – una zona più fredda di Mosca in inverno – dove erano costretti a spaccare pietre”, racconta lo scrittore Sidney Nowill.
La storica Corry Guttstadt nel suo libro Turkey, the Jews, and the Holocaust ha scritto che “Sebbene la legge stabilisse che le persone al di sopra dei 55 anni erano esentate dal lavoro forzato, uomini di 75-80 anni e anche i malati venivano trascinati alla stazione ferroviaria e deportati”.
Le imposte rovinarono la vita e le finanze di molte famiglie non musulmane. A Istanbul si registrarono parecchi suicidi per la disperazione.
Ventuno persone morirono nei campi di lavoro. Il governo confiscò i loro beni e li vendette ai musulmani a prezzi stracciati. La tassa sulla ricchezza fu soppressa nel marzo 1944, per effetto delle critiche mosse dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti.
Omicidi e processi iniqui
Il 17 agosto 1927, Elza Niyego, un’ebrea ventiduenne, fu accoltellata a morte da Osman Ratip Bey, un uomo sposato di 42 anni, dopo averne respinto le avances. Il cadavere della ragazza rimase per tre ore sulla strada. Alla madre di Elza non fu permesso di coprire il corpo della figlia, un ordine che suscitò una forte reazione da parte della comunità ebraica. La gente che in massa partecipò al funerale il 18 agosto gridò: “Vogliamo giustizia!” Dopo la cerimonia funebre, cui parteciparono tra le 10 e le 25mila persone, il quotidiano “Cumhuriyet” avviò un’intensa campagna antisemita. La stampa definì gli ebrei “ingrati” e “arroganti”.
Alla fine del processo, l’omicida Osman Ratip Bey fu inviato in un manicomio, ma non in prigione. Nove ebrei e un testimone russo del delitto furono processati per “aver offeso l’identità turca” e quattro di essi finirono in carcere. E ancora una volta, agli ebrei fu negata la libertà di movimento in Anatolia.
Il 30 gennaio 1947, tutti i membri di una famiglia ebrea di sette persone furono trovati morti a Kendirli, nella provincia di Urfa. La comunità ebraica di Urfa fu ritenuta responsabile della loro morte, e tutti gli uomini ebrei della città furono arrestati. Durante il processo, gli abitanti di Urfa boicottarono gli ebrei. Gli arrestati furono rilasciati dopo tre anni, ma gli ebrei di Urfa dovettero andarsene.
Gli ebrei nella Turchia odierna
In Turchia, gli ebrei, anche sotto i governi kemalisti e non islamici, per decenni sono stati esposti a gravi e sistematiche discriminazioni. Oggi, sotto un governo islamista, essi si sentono insicuri e ancora minacciati. Molti appartenenti alla comunità ebraica turca stanno lasciando il paese o hanno intenzione di farlo, come ha scritto un importante uomo d’affari della comunità in un articolo pubblicato nel dicembre 2014 su “Salom”, quotidiano ebraico di Istanbul. Mois Gabay, un professionista del settore del turismo, riferendosi all’omicidio del giornalista turco di origine armena Hrant Dink, avvenuto nel 2007, ha scritto: “Ogni giorno affrontiamo minacce, aggressioni e vessazioni. La speranza sta svanendo. È necessario che anche noi si debba avere un Hrant perché il governo, l’opposizione, la società civile, i nostri vicini e i giuristi se ne rendano conto?”
Gabay ha aggiunto che un numero crescente di ebrei turchi sta pensando di trasferirsi all’estero con le proprie famiglie: “Circa il 37 per cento dei diplomati della comunità ebraica in Turchia preferisce recarsi all’estero per continuare gli studi. Quest’anno la cifra è raddoppiata rispetto agli anni precedenti”.
Non solo gli studenti hanno cominciato a pensare di costruirsi una vita all’estero, scrive Gabay, ma anche i giovani imprenditori: “La settimana scorsa, mentre parlavo con due miei amici, la conversazione è caduta sulla scelta di un nuovo Paese dove trasferirci. Con questo intendo dire che anche la mia generazione sta pensando di lasciare la Turchia”.
Quando l’antisemitismo si trasforma in antisionismo
Fosse esistito uno Stato ebraico durante tutte queste persecuzioni, gli ebrei si sarebbero rifugiati lì. Se fosse esistito prima dell’Olocausto, gli ebrei europei l’avrebbero raggiunto e, avendo un esercito, si sarebbero potuti difendere dai nazisti.
Dopo tutte queste persecuzioni e discriminazioni contro gli ebrei, la tradizione antisemita della Turchia è viva e vegeta. Nel 2005, il Mein Kampf di Adolf Hitler è stato un best seller in Turchia, dove è stato pubblicato da 13 editori.
Le case degli ebrei che vengono costruite in Israele non sono un ostacolo alla pace. L’unico ostacolo alla pace è l’odio dei Paesi vicini.
N O T E
1) L’autrice è una giornalista turca che vive ad Ankara [NdR].
2) I levantini erano, nell’impero ottomano, i cittadini di origine europea. Per la persecuzione della comunità greca in Turchia, si legga questo articolo [NdR].
Traduzione di Angelita La Spada.