Il grande planisfero palliografico (1) stampato a Saint-Dié-des-Vosges nel 1507 da Martin Waldseemüller (Fig.1) è ormai asseverato, segna a caratteri di fuoco la geografia rinascimentale, producendo uno iato incolmabile tra l’antica concezione cosmografica tolemaica e la nuova percezione che l’uomo ha di sé e dei nuovi spazi appena conquistati con la scoperta del Nuovo Mondo.
Il risultato, dirompente, contempla una nuova ed eccezionale “weltanschauung”, una vera e propria nuova Genesi geografica: la “quarta parte” del mondo si è improvvisamente rivelata all’umanità, umanità che fino a quel momento si era affidata al racconto biblico quale unico depositario di una “Verità” accettata. Secondo la visione cosmografica medievale, infatti, il mondo sopravvissuto alla rovina del Diluvio Universale era stato suddiviso, ed abitato, in base alle aree geografiche concesse ai discendenti dei figli di Noè, ossia Sem (Asia), Cam (Africa) e Jafet (Europa).
Questo arcaico teatro cosmografico, invero, non regge più di fronte a dirompenti novità restituite dalle numerose esplorazioni condotte in ambito scientifico e commerciale. È perciò quanto mai necessario ridisegnare l’orizzonte geografico sulla base delle nuove, sconvolgenti “rivelazioni”. È così che i territori dell’ecumene, d’ora in poi, non saranno più soltanto tre: saranno bensì quattro. È una prima rivoluzione “copernicana”, del resto il periodo è quello. Colui che sta rivelando al Vecchio Mondo l’inaspettato quanto straordinario paradigma è fiorentino: è Amerigo Vespucci. L’atto di ridisegnare il mondo, azione “divina” per molti versi, deve prendere il via dalle mani di coloro che meglio possono concretizzarlo. Proprio Saint-Dié con il suo antico monastero, sul quale Giovanni de Medici figlio di Lorenzo il Magnifico e futuro papa Leone X, ebbe la giurisdizione semi-episcopale dal 1494 al 1502, (Patrizia Licini, 2011, Piani-Baratono-Licini, 2013) si mostra ambiente adatto per compiere l’opera, per diventare l’autorevole palcoscenico della nuova rappresentazione geografica della “Creazione”.
Il 25 aprile 1507, a mezzo di stampa del torchio autorizzato del Gran Priorato di Saint Dié-des Vosges, villaggio ubicato nel Ducato di Lotaringia, area geografica soggetta alla corona Reale di Germania nel Sacro Romano Impero della Nazione retto da Massimiliano I degli Asburgo d’Austria, (Patrizia Licini, 2011, Piani-Baratono-Licini, 2013) viene pubblicata l’opera cosmografico-letteraria la Cosmographiae Introductio.
All’interno dell’opera accompagnata da un grande planisfero realizzato in 12 stacchi ed un globo a fusi dal cartografo tedesco Martin Waldseemüller, viene sancito il battesimo del Nuovo Mondo con l’imposizione del nome America, dall’eponimo del navigatore e scopritore fiorentino, Amerigo Vespucci.
Il mondo, la sua percezione, di qui in poi avrebbe cambiato volto per sempre. Gli eruditi vosgensi ne avrebbero rivelato i più insondabili e oscuri lineamenti. La diffusione di documenti cartografici dai contenuti iconografici e didascalici tanto potenti ed innovativi, come di fatto è il mappamondo del 1507, colpisce profondamente l’interesse e l’immaginazione di molti personaggi del mondo culturale dei primi anni del secolo XVI (2).
Prima di reificare tale dirompente progetto cosmografico, nondimeno, i canonici di Saint-Dié si affidano per i loro iniziali carteggi, a documenti di provenienza portoghese. È materiale che consente loro di realizzare, nel 1506, una prima carta denominata Orbis Typus Universalis rispecchiante dettagli cartografici già presenti in alcune carte nautiche, come la King Hamy (1502), dove s’iniziava a descrivere timidamente i profili di quelle inaspettate terre.
Non soddisfatti di questo primo lavoro, forse impossibilitati a ricevere ulteriore e più approfondito materiale cartografico riguardante il Mundus Novus a causa del clima protezionistico portoghese, nel 1507 gli eruditi di Saint-Dié sembrerebbero decidere di concentrare i loro interessi in direzione di Firenze (3). Proprio dalla formidabile città gigliata giungono innovative informazioni cartografiche riguardanti le reali dimensioni del nuovo continente. Grazie ai probabili contatti intrecciati prima dal conte Ebherard del Würtemberg e dall’umanista Giovanni Reuchlin, discepolo di Giorgio Antonio Vespucci, ossia lo zio d’Amerigo, entrambi in Firenze negli anni 1482, 1490 e 1498 con la famiglia Vespucci e successivamente, grazie ai contatti del Ringmann, il cenacolo dei Vosgi, riesce ad entrare in possesso dei documenti risolutivi per redigere la carta Universalis Cosmographiae. Giovanni Reuchlin (1455-1522), con Erasmo da Rotterdam (1469-1536) uno dei padri dell’umanesimo mitteleuropeo, è mente brillantissima ed aperta ad ogni campo dello scibile umano, incluse le scoperte geografiche e la navigazione. Reuchlin, originario di Pforzheim, Würtemberg, paese situato a pochi chilometri da Stoccarda, può raggiungere facilmente Saint-Dié. Intimo amico di Giorgio Antonio Vespucci, egli probabilmente conosce sia Amerigo, sia lo studioso Zenobio Acciaiuoli, domenicano nel monastero fiorentino di San Marco e confratello dello stesso Giorgio Antonio. Gli storici si sono sempre chiesti come siano potuti giungere nelle mani di Martin Waldseemüller e Mathias Ringmann, i documenti necessari per compilare e dare alle stampe la Universalis Cosmographiae del 1507. La notevole epistola che si analizzerà qui di seguito potrebbe fare luce su questo pressante quesito, delineando al contempo i retroscena di una regia tutta fiorentina che, con buon margine di certezza, si collocherebbe a monte del progetto lorenese.
Nella lettera datata 12 maggio 1509 indirizzata al diplomatico Luigi Guicciardini, parente d’Amerigo e custode d’importanti documenti della famiglia Vespucci, l’Acciaiuoli chiede copia di una sfera e di un globo. Si tratta d’espressa richiesta formulata da Johannes Teutonicus, al secolo Johannes Shöner, operante in quell’anno nella città tedesca di Bamberga (4).
Ecco la trascrizione completa e fedele dell’importante documento (5):
“Salve in Domino, Frater Barnaba Cantis, cui has ad te litteras daturus sum, aget tecum, meo
nomine de portione illa orbis in figura plana describenda,
quam Lusitani vel Hispani invenisse se iactant, sicuti tu eam habes et in spherula et in papiro
descriptam. Cupit autem illam Johannes Teutonicus, astrologus, ut ex suis ad me litteris quas
inclusas in his tibi mitto, videre poteris.
Oro igitur te, mi Aloisi, ut hac in re, vel opera vel consilio, illum adiuves. Satis illi erit, si papirum
describendam cures, quam mihi cum
tua sphaerula comodasti, quae habet partem terrae, cum insulsi, ab aurea Chersoneso, vel a Cattigara, et, 180 gradibus, usque
ad extremum terrae nuper inventae; sed dato operam, ut aequinoctialis cum gradibus describatur,
et tota illa istoria, quae scripta est in tua papiro ad sinus terrae et insulsa pertinens, nec non et
mores hominum. Petrus Candidus monachus Ordinis Camaldulensis, doctus grasce et latine,
commodus erit, qui illam describat, nisi alius tibi occurant magis idoneus.
Commendo tibi hanc rem, quando ipse, per absentiam, curare illam non possum. Vale in domino, et
me ama. Christus sit vobis omnibus ausilio. Lucae die xij maij 1509.
Tuus frater Zenobius Acciaiolus Ordinis Praedicatorum.
(In poscritto): Cura etiam ut circulus Cancri et Capricorni apponantur in eadem descriptione, ut
notum sit intra quos terminos illa regio nova includatur.”
(Indirizzo a tergo)
Generoso et nobili viro
Aloisio Petri Guicciardini
Tanquam fratri car.mo etc.
Florentiae.
Traduzione:
“Ti saluto in Dio, Fratello Barnaba Canti, di cui ti sto per mandare una lettera, ti prega a mio
nome di ricopiare in figura piana, quella parte di terra
che i portoghesi o gli spagnoli si vantano di aver scoperto, così come tu l’hai descritta (ricopiata?)
sia sul globo che sulla carta.
Perché la desidera Giovanni l’astrologo tedesco, come potrai vedere
dalle lettere sue che qui ti accludo. Ti prego dunque caro Luigi che tu l’aiuti in questa faccenda sia
con la tua esperienza, sia con il tuo fattivo intervento. Sarà sufficiente
(affinché il tedesco sia soddisfatto) trascrivere su di una carta le informazioni su quella parte
(Nuovo Mondo) presente sia sulla carta e sul globo, che già mi avevi prestato
e che contiene una parte di terra (Asia) con le isole dalla dorata penisola ovvero da Cattigara
(Hanoi), da questo punto prosegui per 180° fino ai confini della terra appena scoperta; ma
impegnati affinché sia ricopiata con i gradi equinoziali e con tutta quanta quella storia che
è descritta nella tua carta geografica e che riguarda i golfi le isole e
persino i costumi degli abitanti. Il monaco camaldolese Pietro Candido dotto di greco e di latino
sarà al tuo servizio per ricopiarla, sempre che tu non abbia
sottomano qualcuno di più adatto.
Ti raccomando questa faccenda dal momento che io, essendo lontano,
non posso curarmene.
Sta bene nel Signore e continua a volermi bene. Cristo ci aiuti tutti. 12 maggio 1509
P.S. Preoccupati anche che il tropico del Cancro e quello del Capricorno vengano segnati nella
ricopiatura della carta affinché sia chiaro (per il geografo tedesco) entro quali gradi di latitudine
quella nuova regione sia inclusa”.
Come già ventilato nel 1898 dal dottor Demetrio Marzi e nel 1924 dal professor Alberto Magnaghi, l’importante epistola testimonia che nei primi anni del secolo XVI due ben specifici manufatti cartografici fiorentini sono già da un po’ di tempo oggetto dell’interesse scientifico dei geografi tedeschi. Si tratta proprio di un globo e di una carta geografica piana. Sembrerebbero, dunque, gli stessi oggetti menzionati da Waldseemüller nella sua dedica all’Imperatore Massimiliano e utilizzati verosimilmente, quali matrici per realizzare il mappamondo e il globo del 1507. I due oggetti originali, pertanto, devono essere imprescindibili, giacché gli eruditi di mezza Europa se li contendono. Dall’epistola dell’Acciaiuoli emerge, sottile, l’ironia nei confronti della vantata paternità spagnola e portoghese delle imprese oltre oceano. A Firenze si è certi che il merito di queste nuove scoperte va assegnato agli italiani ed a nessun altro. È evidente, in ogni caso, che i due documenti custoditi a Firenze per certo sono considerati oltremodo attendibili dai geografi tedeschi, che se ne servono per ridefinire la nuova immagine geografica del creato. Si deve tener presente, infatti, che i cosmografi alemanni preferiscono questa di documentazione, anziché quella incompleta conservata presso gli archivi lusitani o spagnoli. Rileggendo con attenzione il poema introduttivo del De ora Antartica, pubblicato nel 1505, si trova il chiaro riferimento alla conoscenza del Ringmann, ossia l’autore del trattato, dei due manufatti fiorentini. Il Ringmann ha avuto la fortuna di visionarli, con ogni probabilità prima di chiunque altro, verosimilmente durante la sua visita in Italia avvenuta nel 1505. Nei suoi versi, infatti, il Ringmann si direbbe riprendere la lettera dell’Acciaiuoli in cui si descrive l’esistenza di una nuova terra posta tra i tropici, il Portogallo e l’Asia. Questa terra sarebbe completamente circondata dal mare. Ora, il materiale documentario qui prodotto e analizzato sull’argomento è storicamente corretto e affidabile sotto ogni aspetto, su questo ci sono pochi dubbi. Tentiamo quindi una verifica galileiana.
Proviamo allora a confrontare le distanze tra alcune località poste nell’Estremo Oriente e l’America, presenti nel mappamondo vosgense e le medesime descritte nella lettera dell’Acciaiuoli. Nell’epistola in discorso l’Acciaiuoli evidenzia che la distanza intercorrente tre Cattigara (l’attuale Hanoi) e le prime propaggini costiere del Nuovo Mondo risulta essere di 180°. La misurazione longitudinale riportata sulla carta del 1507, invece, non consente di convalidare quest’indicazione dell’Acciaiuoli. La distanza tra Cattigara fissata dal Waldseemüller sulla carta del 1507 e le coste del Nuovo Mondo, infatti, non è sufficiente a colmare l’ampiezza dei 180° gradi indicata dal monaco, arrivando a malapena a lambire soltanto l’arcipelago delle isole Fortunate, ossia le attuali Canarie. Dove sta l’inghippo? Come è risaputo i modelli cosmografici sapienziali di riferimento del Waldseemüller sono da ricercarsi nelle scuole di pensiero di Tolomeo e di Marino di Tiro, però ragionando negli stessi termini, ma avendo sott’occhio un mappamondo come quello del Cantino del 1502, o del Caverio, del 1504, l’esperimento geodetico trova corrispondenza con buona approssimazione. I 180° gradi che l’Acciaiuoli indica, sono effettivamente i 180° registrati sulle carte nautiche portoghesi del periodo. Il discorso, però, è che il monaco disquisisce di terre che vanno dalla Cina alle coste orientali dell’America meridionale, ossia all’attuale Brasile. Ora, come riescono il Waldseemüller, lo Shöner ei loro solidali, invece, a conoscere e a tracciare correttamente le estensioni territoriali e le coste che s’affacciano su di un oceano, l’attuale Pacifico, zona che in questo momento sembrerebbe essere totalmente sconosciuta al resto del Vecchio Mondo?
È chiaro a questo punto che, nonostante l’abbondante materiale a disposizione sia scientificamente corretto ed accettato, curiosamente però, lo stesso non permette di condensare in una chiara formulazione, una sola e unica teoria finale. L’Acciaiuoli comunque siano andate gli accadimenti non è uno sprovveduto qualsiasi. Egli è infatti valente nelle lingue antiche, esperto di storia sacra e profana, di computo e di astronomia; nel 1495 entra a far parte dell’ordine dei Domenicani, nel monastero di San Marco dove già opera, come sottolineato più sopra, l’erudito Giorgio Antonio Vespucci, esperto di cosmografia. Dunque non può trattarsi di un grossolano errore di valutazione, da parte del domenicano, ma probabilmente di una reale e corretta valutazione delle distanze, scaturita grazie alla visione e allo studio di uno straordinario manufatto cartografico. In ogni caso, nel 1507, l’esclusivo materiale è pronto per essere divulgato ed utilizzato a mezzo stampa nel mondo d’oltralpe. Sperando d’avere qualche indicazione migliore, torniamo a ragionare sui misteriosi manufatti fiorentini, in possesso al Guicciardini. Si è appreso dalla lettera di Zenobio Acciaiuoli sopra riportata che la documentazione ricopiata dalle mani esperte del monaco camaldolese Pietro Candido è inviata allo Shöner, che la utilizzerà per i suoi globi del 1515. Ad ogni buon conto, perché rivolgersi proprio ad un amanuense camaldolese? La spiegazione sembrerebbe esistere. Il monastero camaldolese di Santa Maria degli Angeli a Firenze, fin dai primi decenni del secolo XV, ha funzioni d’esclusiva scuola e d’elitaria accademia formativa, per le famiglie più potenti in circolazione. Niccolò Niccoli, Ambrogio Traversari, Leonardo Bruni, Palla Strozzi, Poggio Bracciolini, Giorgio Antonio Vespucci, Paolo del Pozzo Toscanelli. Sono questi i nomi del nucleo d’eruditi, che nel 1459 dall’accademia del monastero degli Angeli passa in quella Platonica, fondata dal greco Giorgio Gemisto Pletone, il cui maggiore esponente sarà il noto Marsilio Ficino. Da sempre dunque l’ordine dei Camaldolesi è attivo nel mondo della scienza, dell’arte e dalla cosmografia: come non ricordare qui, l’opera del grande geografo camaldolese, il veneziano Fra’ Mauro. È forse proprio grazie alla loro opera di compilatura e di trascrizione che, lo ripetiamo, le copie degli esclusivi manufatti geografici fiorentini sono inviate agli eruditi di Saint-Dié per consentire la realizzazione della carta del 1507. È interessante a questo punto cercare d’individuare il tragitto più attendibile da e per Saint Dié, che questi enigmatici manufatti geografici potrebbero aver percorso. Proviamo a perlustrare le possibili traiettorie. Partendo, così, da Saint-Dié, se scegliamo di valicare il passo di Bonhomme, o quello di Saales si giunge a Strasburgo nel primo caso oppure nella città di Colmar nel secondo. Entrambi i percorsi possono essere utilizzati per raggiungere sia i territori tedeschi ad Est del Wurtemberg, sia quelli a Sud della Svizzera a seconda che ci si voglia portare nei centri d’Ulm o di Basilea. A questo punto, raggiunti i due importanti centri, se si vuole proseguire per l’Italia, il cammino più diretto è quello in direzione dei cantoni svizzeri di San Gallo e di Glarona. Di qui poi, si raggiunge Coira attraverso i passi dello Spluga e del Septimer, sfociando a Chiavenna, nell’odierna provincia di Sondrio. La località lombarda, nel secolo XVI era sede di un consolato italo-tedesco; siamo proprio nell’area geografica che comprende la Valtellina, con Teglio ed il Palazzo Besta dove si trova, all’interno delle sue splendide sale, l’ormai celebre mappamondo affrescato di Caspar Vopell, di chiara matrice lorenese (Fig. 3).
L’area in questione fa parte di un importante circuito economico, ordinato in compagnia, facente capo a Ravensburg, città tedesca a sud di Ulm. I passaggi utilizzati dalla potente congregazione commerciale tedesca sono due e vanno ad aggiungersi ai consueti camminamenti romei che utilizzavano i valichi del Sempione e del San Gottardo per raggiungere la Pianura Padana. Il primo raggiunge Milano, Firenze, Roma attraverso Coira, lo Spluga ed il Septimer, mentre il secondo si dirige verso la Spagna attraverso il percorso Ǘberlingen-Ginevra-Lione. Esistono pure due carte itineranti dell’Europa del Nord, ad uso dei pellegrini diretti a Roma, che testimoniano l’esistenza dell’importante via di comunicazione per raggiungere l’Italia attraverso la Germania. La prima è la carta del 1492 d’Erhard Etzlaub, la seconda è quella di Martin Waldseemüller del 1511, che conosciamo solo grazie all’unica copia edita a Strasburgo nel 1520. La carta è custodita nel Tiroler Landesmuseum Ferdinandeum d’Innsbruck (Fig.2).
Proprio su questi documenti è possibile verificare tanto il tracciato occidentale, ossia quello che da Strasburgo, Friburgo, Zurigo, giunge fino a Coira per proseguire, grazie ai passi del Septimer o dello Spluga a Chiavenna (Clef). Di qui si può quindi prosegue verso Como attraverso il percorso lacustre, Milano, Pavia, Piacenza, Fidenza, Parma, Modena, Bologna, Scarperia, Firenze e infine Roma. Si può ancora, nondimeno, tener dietro il percorso orientale, quello che da Ulm, Ravensburg, Lindau, Bregenz, Vaduz, Coira raggiunge nuovamente Chiavenna e poi replica, è ovvio, quello precedente fino a Roma e oltre. Chiavenna, la Valtellina, in ogni caso, si rivela essere un importante punto nodale, vera e propria cerniera territoriale per questi due tragitti mitteleuropei. Del resto, anche il passaggio che dal Wurtemberg attraverso i sopraccitati passi alpini dello Spluga e del Septimer, collega i territori oltremontani, con la Pianura Padana, è di vitale importanza per motivi abbastanza comprensibili. Non è infondato ipotizzare, che anche la rivoluzionaria documentazione cartografica della famiglia Vespucci, abbia percorso lo stesso itinerario però in senso opposto; e cioè da Firenze a Saint-Dié. Cosa ci permetterebbe di sostenerlo? Alcuni particolari della lettera autografa di Amerigo Vespucci, indirizzata a Pier Francesco de Medici, di cui riportiamo l’originale in “volgare”, che testimonierebbero la tracciabilità dei contatti avvenuti tra l’entourage dei Vespucci (e quindi Firenze) e il cenacolo di Saint-Dié. L’originale è datato al 28 luglio 1500:
“Siviglia, 28 luglio 1500
Ho acordato, Magnifico Lorenzo, che, così come v’ò dato conto per letera di quanto m’è ocorso,
mandarvi due figure della descrizione del mondo fate e ordinate di mia propria mano;
e sapiate che sarà una carta in figura piana e uno apamondo in corpo sperico, le quali intendo
mandarvi per uno Francesco Lotti, nostro fiorentino, che.ssi trova qui: credo vi contenteranno, e
massime el corpo sperico, ché poco
tenpo fa ne feci uno per l’Altezza di questi re e-llo stimonno molto.
L’animo mio era venire con essi, ma‘l nuovo partito d’andare altra volta a discoprire no mi dà
luogo né tenpo. Non manca in cotesta città che intenda la figura del mondo, che forse emendi
alcuna cosa in essa: tuttavolta che mi ‘manderà, aspetti la venuta mia,
ché potrà eser che mi difenda.
Traduzione:
“Ho deciso, Magnifico Lorenzo, che così come vi ho reso noto
per lettera quello che mi è accaduto, invierò due mappe del mondo fatte di mio pugno
e cioè una carta in figura piana ed un mappamondo in corpo sferico. Li manderò via mare,
tramite un (certo, N.d.A.) Francesco Lotti, fiorentino, che si trova qui. Credo che ne sarete
contento, soprattutto per il mappamondo. Ne ho fatto uno poco tempo fa per
le Loro Maestà Reali e lo apprezzarono molto.
La mia intenzione era di portarveli io personalmente, ma la nuova decisione di partire
un’altra volta a fare scoperte non me ne lascia più né il tempo né il luogo.
Non manca certo in codesta città (Firenze, N.d.A.) chi capisca la mappa
del mondo (Luigi Guicciardini? N.d.A.) per potervi eventualmente apportare
qualche modifica. Ma tuttavia sarebbe meglio che chi deve fare la
modifica aspetti il mio ritorno, perché magari sarò in grado di giustificarmi (6).
Il documento epistolare testimonia della navigazione intrapresa da Amerigo nel 1499, viaggio che lo porterà a scoprire le coste del Venezuela e del Brasile. Dopo questa spedizione, il navigatore fiorentino ritorna forse, per un breve periodo proprio a Firenze. Qui, prima di recarsi in Portogallo, s’iscriverà alla corporazione degli speziali e dei farmacisti. Il quadro complessivo non è, in effetti, ben chiaro, ma un dettaglio emerge più che preciso. L’unico fatto oltremodo preciso è che, a detta dello stesso Amerigo, i componenti del suo entourage rimasti a Firenze hanno la possibilità d’interpretare, ossia di capire, le carte geografiche in discorso già fin da subito, quindi addirittura prima del suo rientro. Non servono grandi chiarimenti su questo punto. È credibile, allora, pensare che gli studiosi dei Vosgi, abbiano preso spunto da questa lettera per decidere di realizzare proprio la carta piana ed il globo? Il documento in questione appartiene ad un gruppo d’epistole olografe d’Amerigo, sono tre in tutto, dove vengono descritti i suoi due viaggi intrapresi nel 1499-1500 e poi nel 1501-1502. Sappiamo, inoltre, che tra il 1499 e il 1513 Pietro Vaglienti, commerciante fiorentino in stretto contatto con la famiglia Vespucci, trascrive i testi delle missive nella sua raccolta, insieme con diversi resoconti di viaggi ed altra importantissima documentazione.
Il tutto confluirà nel noto Codice Vaglienti 1910. La diffusione a stampa di queste tre lettere autografe avverrà, però, solo nel secolo XVIII per opera degli scopritori Bandini, Bartolozzi e Baldelli-Boni. Ora, è plausibile supporre che il Ringmann, nei suoi viaggi in Italia effettuati dopo quelli del Reuchlin, avesse preso visione di questi carteggi? È forse lo stesso ambiente culturale fiorentino a divulgare spontaneamente gli scambi epistolari privati d’Amerigo, agli umanisti d’oltralpe per confermarne e diffonderne la fama? La celebre dedica di Martin Waldseemüller, rivolta al Divino Cesare Massimiliano, in cui sembra riprendere pedissequamente le parole della lettera di Amerigo Vespucci rivolta a Pier Francesco de Medici, sottolinea ancor più questa nostra tesi:
“…con l’aiuto dei libri di Tolomeo secondo una copia greca e aggiungendo le quattro relazioni di Amerigo Vespucci, ho preparato una rappresentazione del mondo in sfera solida e piana…”.
In questa prospettiva un particolare è molto suggestivo, consente di comprovare con un grado di autenticità quasi prossimo alla certezza l’ipotesi che la stessa famiglia Vespucci era a conoscenza di quello che stava accadendo nel monastero di Saint Dié intorno al 1507. Il notevole quanto sottile indizio, è individuabile in una piccola “vespa” che il Waldseemüller inserisce nella sua carta a guisa di citazione “ermetica”.Guardando il ritratto di Amerigo Vespucci posizionato in alto a destra sulla carta in questione, infatti, tra la “i finale di Vespucii” e la “q” di “Aquilo”, vento che soffia da Nord, si può individuare proprio un piccolo imenottero lì raffigurato. La “vespa” è ovviamente blasone distintivo per la famiglia “Vespucci”. È, inoltre, simbolo certamente già utilizzato dal Botticelli in alcune sue opere forse per celebrare i committenti dei suoi lavori, i Vespucci appunto. Si tratta in sostanza della stessa impronta simbolica e della stessa intenzione celebrativa esibite dal geografo tedesco nei confronti della blasonata famiglia toscana, evidentemente patrocinatrice dell’intera opera cosmografica lorenese. Come se ciò non bastasse, un’ulteriore prova dei collegamenti tra la terra di Toscana e la Lorena oltre a quella già citata riguardante la carica di Priore del Priorato di Saint Dié, rivestita dal figlio di Lorenzo il Magnifico, è riscontrabile nella lettera inviata da Renato II al cardinale Francesco Soderini, fratello del gonfaloniere Pier Soderini, e ritrovata in questi ultimi anni dal professor Benoit Larger. In questa decisiva epistola datata all’ottobre del 1507, Renato II nomina suo procuratore presso la curia romana, proprio il cardinale fiorentino. Sono trascorsi solo pochi mesi da quando a Saint Dié si è realizzata l’operazione vincente del 25 aprile 1507. A questo punto, immaginare che gli ambienti culturali fiorentini fossero all’oscuro di ciò che stava accadendo in Lorena in quel fatidico anno, è quantomeno lontano dalla realtà storica. Ora l’incertezza principale è questa: che fine ha fatto la carta piana ed il globo, documenti custoditi fino al 1509, presso lo studio di Luigi Guicciardini, ed entrambi poi riprodotti da Zenobio Acciaiuoli per lo Shöner?
Rimane, comunque, un fatto incontrovertibile: le copie dei due misteriosi manufatti, per giungere in Germania e di qui passare in Lorena, per forza di cose devono aver valicato le Alpi Retiche.
Lo strascico di questo loro passaggio è riscontrabile, infatti, appena tre anni dopo la pubblicazione della carta del 1507, nei carteggi del filosofo e matematico svizzero del cantone di Glarus, Heinrich Loritz, al secolo Enrico Glareano (1488-1463), è tra i primi cosmografi europei a riprodurre nel 1510 un mappamondo nell’insieme molto simile a quello di Martin Waldseemüller.
Il Glareano è ben consapevole della straordinaria importanza dell’innovativo manufatto vosgense.
In un’altra carta del Glareano del 1513, (Fig.4) l’umanista svizzero a riprova del fatto che si conoscevano perfettamente i confini delle terre da poco scoperte, contorna di blu l’intero continente sudamericano. Afferma inoltre, con cognizione di causa, nella didascalia collocata in basso a destra del documento, che dell’America si sono esplorate interamente sia le coste a Sud, che determinano la fine dello stesso continente, sia quelle ad Ovest, rivolte quindi all’odierno Oceano Pacifico.
Ecco quanto vi è scritto, punteggiatura compresa:
“Finis Am’erigis m’t in Austru mer ad occidentu omnino lustrata y”.
A questa conclusione così palese, ma allo stesso tempo tanto destabilizzante, Glareanus, perviene semplicemente perché gli elementi geografici presenti sulla carta di Martin Waldseemüller, non possono che condurre ad un’univoca, precisa visione circa la configurazione di quelle nuove terre.
Si può anche pensare, nondimeno, che l’erudito svizzero sia ha conoscenza di straordinari resoconti andati poi perduti, documenti che consentirebbero al Glareano di sostenere senza alcuna incertezza, che effettivamente qualcuno ha esplorato più e più volte entrambe le coste dell’intero continente sudamericano, prima di ogni esplorazione a noi conosciuta? (7). Uno scenario dunque, il nostro, trasversale rispetto a quello copioso e più tradizionale della letteratura vespucciana, che vede nella direttrice lusitana-lorenese, l’unico percorso possibile utilizzato dai carteggi cartografici per giungere nelle mani dei canonici vosgensi. L’aver coinvolto realtà geografiche insolite come quelle delle terre alpine all’interno di un corpus di studi, che per decenni è stato di riferimento per meglio delineare il già complesso quadro di eventi che ha accompagnato un operazione come quella del Battesimo dell’America; non vuole avere la pretesa di ribaltare le posizioni ufficiali su questo annoso argomento, ma semmai, dare la possibilità d’intravedere attraverso una diversa prospettiva fatti e vicende di un’antica ma ancora ben vivida e pulsante realtà storica.
NOTE
[1] Palliografico, ossia a guisa di mantello. A questo riguardo si veda l’articolo comparso sul numero 2/2010 della rivista “L’Universo”, dell’Istituto Geografico Militare.
[2] Tommaso Moro, che tra l’altro, possedeva una copia della Cosmographiae Introductio del Waldseemüller, Leonardo da Vinci, Reuchlin, Jean Bodin, Shöner, Pietro Apiano, Gerard Mercator, Copernico sono solo alcune delle figure che vengono in contatto con tale visione cosmografica. Proprio Copernico, nel 1507, aveva pronto per essere dato alle stampe un Commentariolus nel quale il matematico polacco esponeva il suo modello dell’Universo con il Sole al centro. Una limitata diffusione di questo scritto, si ha già nel 1514, ma è solo poco prima della sua morte, avvenuta nel 1543, che le teorie di Copernico, grazie alla pubblicazione dell’opera De Revolutionibus inizieranno a suscitare scalpore e interesse. Lo scienziato polacco, grazie ai contatti allacciati dallo zio e senatore Luca Watzenrode, con alcuni esponenti della corte medicea giunti a Cracovia tra il 1470 e il 1480, quasi certamente non è all’oscuro degli sviluppi scientifici ed astronomici nati proprio in questi anni in seno ai circoli fiorentini. Queste congregazioni sono ricchissime d’illustri personaggi. Sant’Antonino, Nicola Cusano, Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Luca Pacioli, Enea Silvio Piccolomini, Gemisto Pletone, Paolo del Pozzo Toscanelli, Giorgio Antonio Vespucci, Leonardo da Vinci, sono solo alcuni dei cervelli, che nella Firenze del secolo XV stanno rivoluzionando i massimi sistemi cosmogonici e cosmografici. La citazione di Copernico nel suo De Revolutionibus, dove la scoperta dell’America viene attribuita ad Amerigo Vespucci, anziché a Cristoforo Colombo, ne è forse la riprova più interessante.
[3] L’idea è già stata avanzata da Alberto Magnaghi e dal colombiano German Arciniegas.
[4] Johannes Schöner nasce a Karlstadt nel 1477. Nel 1494 studia all’Università di Ertfurt ed ottiene il baccellierato nel 1498. Nel 1500 viene ordinato sacerdote. Nel 1509 è parroco della colleggiata di San Giacomo a Bamberga. E’ proprio in questo periodo che inizia la sua attività di cartografo, come dimostra nella lettera di Zenobio Acciaiuoli scritta nello stesso anno. Il primo globo terrestre viene realizzato nel 1515, accompagnato dal testo, Luculentissima terrae descriptio, di cui esistono due esemplari manoscritti conservati rispettivamente a Francoforte ed a Dresda. In questi globi l’America del Sud è già molto ben delineata anche per quanto riguarda il profilo costiero che si affaccia sull’odierno Oceano Pacifico. Altri ne seguiranno nel 1520, 1523, 1533. Nel 1526, lo Schöner si trasferirà a Norimberga, dove, convertitosi alla fede evangelica, prenderà moglie. Morirà nella stessa località dopo una lunga malattia, nel 1547. Dopo la sua morte i manoscritti e le carte geografiche, giungeranno nelle mani di Georg Fugger. Nel 1656 i vari incartamenti documentari ed i libri del cartografo, vengono acquistati dalla Hofbiblioteck di Vienna. Parte dei documenti rimangono in questa sede altri invece, come la carta del 1507 e del 1516 ed alcuni globi manoscritti, nel secolo XVII saranno acquistati dalla famiglia Waldburg-Wolfegg. Quest’ultimi manufatti saranno dimenticati per quattro secoli e riscoperti solamente nel 1901, proprio nel castello di Wölfeg, grazie al professore gesuita Joseph Fischer.
[5] Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane, I serie, Filza137, c. 291.
[7] Un riferimento esplicito a queste fantomatiche esplorazioni lo troviamo nell’opuscolo Der Newer Zeytung aus Presill Land, stampato da Ehrart Öglin nelle tipografie di Augusta, nel 1508, e fonte della Luculentissima terrae descriptio (1515), di Johannes Shöner. In questo trattato, infatti, viene descritto attendibilmente un enigmatico e sconosciuto viaggio d’esplorazione portoghese, avvenuto forse tra il 1505 e il 1506, alle latitudini dell’attuale Terra del Fuoco.