Sabato 3 novembre a Zurigo si è svolta una manifestazione di protesta contro l’isolamento a cui viene sottoposto Abdullah Ocalan, detenuto in Turchia da quasi venti anni. Come è noto, il 15 febbraio 1999 venne illegalmente sequestrato a Nairobi, in Kenya, in aperta violazione del diritto internazionale. Nel settembre 1998, a causa delle pressioni di Ankara su Damasco, il fondatore del PKK era stato costretto a lasciare la Siria.
Segregato nell’isola di Imrali, il “Mandela curdo” da sette anni non può godere di assistenza legale e anche ai familiari viene impedito di visitarlo. L’ultimo permesso, concesso al fratello, risale al settembre 2016. Inoltre, dall’aprile del 2015 si trova in isolamento totale.
All’iniziativa di Zurigo, partita da Helvetiaplatz, hanno partecipato sia curdi (in particolare le associazioni delle donne curde) sia militanti di sinistra turchi e svizzeri, solidali con la causa di questo eroico popolo oppresso.
I manifestanti inalberavano cartelli e striscioni che chiedevano la fine dell’isolamento per “Apo” Ocalan, contro la tortura e contro i bombardamenti turchi su Kobane e Gire Spi (Rojava, nord della Siria). Alcuni striscioni erano in lingua curda (Biji Serok Apo, lunga vita per Ocalan), in altri invece si leggeva: “L’isolamento è un crimine di lesa umanità”. Dal corteo è venuto un forte appello affinché i diritti del prigioniero Ocalan vengano rispettati. Una richiesta rivolta sia all’opinione pubblica democratica sia al CPT (Comitato contro la tortura del Consiglio d’Europa).
Come spesso avviene in queste manifestazioni, per breve tempo i manifestanti si sono seduti a terra occupando i binari e bloccando la circolazione stradale. Alla fine della manifestazione, sono intervenuti alcuni esponenti del Consiglio Democratico Curdo invitando gli organismi internazionali – e il CPT in particolare – a rompere il silenzio sui metodi (definiti “fascisti”) utilizzati dal governo turco contro dissidenti e prigionieri politici.
Rifiutandosi di investigare ulteriormente sulla situazione a Imrali e con il loro tacito assenso alla politica repressiva di Ankara, se ne stanno rendendo di fatto complici.
Un rimprovero rivolto anche agli Stati maggiormente responsabili dell’ingiusta sua detenzione. Ossia quelli che contribuirono in vario modo alla cattura di Ocalan: Stati Uniti, Italia, Grecia… forse, si sospetta, anche Israele.