Nella seconda serata passano sul palco di To’ata tre gruppi di canto: Tamari’i Mahina e Natiara in categoria tārava Raromata’i e Tamari’i Pāne Ora in categoria tārava Tahiti. Due gruppi per la danza, Toahiva in categoria hura ava tau, amatori, e Hitireva in categoria hura tau, professionisti.
Tamari’i Mahina
Mahina i te mata hi’o noa
Mahina che sa solo guardare
È importante capire bene il senso di questa frase, legata a un fatto storico realmente accaduto, per comprenderne le sottigliezze linguistiche e culturali. Il titolo del tema è il nome dato alla pietra di fondazione del marae, luogo di culto di Mahina, comune dell’isola di Tahiti, ultima reliquia di questo territorio. Questa pietra è il simbolo del forte legame di questo popolo, oggi in cerca di riferimenti relativi alla propria cultura con il proprio passato.
A ogni luna nuova o durante la luna piena, i sacerdoti si recavano al marae Farero’i per celebrare certe cerimonie di adorazione, rendevano omaggio al dio Ta’aroa e alle altre divinità legate alla natura. Come in ogni marae, solo gli ari’i e il tahua, gran sacerdote potevano avere accesso al recinto di questo luogo sacro per invocare gli dèi.
Nessun rumore, nemmeno un mormorio doveva essere inteso durante le preghiere, il trasgressore avrebbe pagato con la propria vita, l’ari’i stesso aveva istituito questa legge.
Durante la cerimonia per la luna nuova il sommo sacerdote invocava gli dèi con le braccia aperte e gli occhi fissi al cielo mentre l’ari’i pregava a voce alta; Hina teneva il figlioletto di due anni in braccio, improvvisamente il piccolo si divincola e scappa piangendo per correre verso suo padre, il capo. Questi, nel pieno della preghiera, si volta e vede suo figlio correre verso di lui. Subito ha il cuore che si riempie di un’enorme sofferenza, così grande che nessuno lo potrà mai immaginare. Prende suo figlio, lo posa sull’altare, aspettando che qualcuno si alzi per dire: “Nessuno deve essere ucciso, non bisogna compiere un sacrificio durante la cerimonia di adorazione”.
Nessuno interviene, né viene pronunciata una sola parola, si ode solo un lungo silenzio che preannuncia l’atto mortale. Allora colpisce il bambino alla testa con un’ascia, offrendo le spoglie mortali del piccolo agli spiriti della notte. L’ari’i chiede al popolo:
Eaha o’utou i hi’o noa mai ai? Ua paruparu ta’u vārua, e ua auraro i te ture ta’u i haamau. E ‘āita otou i rave īti noa a’e i te ho’ mea. O te hi’o noa mai rā ta o’utou.
“Perché mi avete solo guardato? La mia anima tormentata ha obbedito alle mie stesse leggi e voi non avete fatto altro che guardarmi”.
Da questo triste fatto deriva la frase “Mahina che sa solo guardare”, titolo del canto del gruppo.
Il fatto storico è tratto da Tahiti aux temps anciens di Teuira Henry, raccolta di storie e leggende a opera della nipote del missionario Henry, una sorta di Bibbia degli usi e costumi polinesiani. E si può anche capire perché i Ma’ohi si siano tanto facilmente convertiti al cristianesimo, che ha messo fine ai terribili sacrifici umani e alle immutabili differenze sociali.
Incredibile vedere come un fatto così drammatico venga cantato con gioia, specie nel tārava: non conoscendo le parole si viene tratti in errore sul vero contenuto del testo.
Toahiva
Te a’au teoteo e te aho tapu roa
L’orgoglio e la ricerca della libertà interiore
È Moon, la simpatica insegnante del Conservatorio, il capogruppo di Toahiva, il cui tema, apparentemente semplice, viene sviluppato con maestria nelle coreografie. Probabilmente autobiografico, è la storia di una ragazza, la giovane Teipo, combattuta fra la buona coscienza che la porta sul dritto cammino e l’ego che la trascina verso atti di indicibile bassezza. Nei giorni antecedenti alla Heiva, si sentiva la figlia adolescente di Moon recitare il suo ‘ōrero nel piccolo appartamento dove vivono, proprio sopra il mio. Anche il giovane figlioletto di otto anni è un talento nella danza. Buon sangue non mente!
Toahiva è un vero gruppo amatoriale, formato da Moon per l’occasione: lo si vede dai passi basici usati nel corso dello spettacolo. Molti gruppi per poter fare il salto in categoria hura tau, professionisti, non esitano a piazzare ballerini professionisti in prima fila. La decana del ‘ori (la danza polinesiana), mamie Louise, nonna di Moon, si rammarica di come non siano stati utilizzati i passi tipici di questa danza, appena più complicati.
Ottima anche la prestazione dell’orchestra, che inserisce sonorità tipiche di atti quotidiani, come battere la manioca. Grande energia nella loro rappresentazione che ha trasmesso emozione alla giuria. La coreografia molto moderna ricorda lontanamente i Momix.
Natiara
Ho’i-a-muri a tinihau pi’i hia pe’ue
Guaritore della valle di Fautau’a
Gruppo formato dai membri della Comunità di Cristo, anche detti Sanito, ha come voce perepere Dayna Tavaeari’i, già giurata alla Heiva, e il simpatico Mana’ari’i Maruhi in qualità di ra’atira ti’ati’a hīmene, direttore del coro, che introduce con una simpatica presentazione.
Il loro tema è celebrare l’amato capo del distretto della Fautau’a, Ho’i a muri a Tinihau soprannominato Pe’ue, e dei suoi numerosi talenti, non ultimo quello di guaritore.
Pe’ue ē, Pe’ue ē! Hi’ora’a maita’i nō te u’i hou.
Hō mai nā i to mana! ‘Ōpere i tō ‘oe ‘aravihi.
Pe’ue, Pe’ue ! Che bell’esempio per la nuova generazione!
Dacci la tua forza! Condividi le tue competenze!
Nella scheda riservata ai costumi è specificato come confezionare le differenti corone per ognuna delle nove voci che compongono il coro polifonico, riferimento alle capacità di guarire con le erbe del personaggio. Nulla è lasciato al caso nella lunga preparazione per la Heiva!
- Le voci aspirate: Cordia subcordata
- Le voci elevate: Morinda
- Le voci parlate: foglie di Annona squamosa
- Le voci paradossali: Syzygium malaccense rosso
- Le voci acute: il ginger, Zingiber officinale di Tahiti
- I bravi professionisti: la canna da zucchero
- Le voci che corrono: la Fagraea auriculata
- Le voci gravi: germogli di Cordyline australis
- Le voci nasali: germogli di Psidium guajava
La prestazione di questo gruppo è eccellente, curata in ogni particolare. Dopo la simpatica introduzione di Manaari’i, abile istrione, il gruppo esegue con forza i suoi brani, agitando rami carichi di foglie, in allusione ai preparati di erbe di Pe’ue, con i quali curava il suo popolo. Il tārava viene ritmato sbattendo a terra le pietre con le quali si schiacciano le erbe. Due figure, un uomo e una donna, si alzano sopra il coro per mimare le attività del personaggio celebrato dai canti. Più debole il loro ‘ute paripari, elegia alla terra, ma sempre di buon livello canoro; simpatico il loro ‘ute ‘ārearea, canto comico, dove un vecchio, che soffre di dolori in tutto il corpo, scherza con una massaggiatrice dalle mani magiche, con chiare allusioni sessuali.
Una curiosità: il soprannome del personaggio è Pe’ue, e le stuoie intrecciate in reo Ma’ohi si chiamano pē’ue; la tarava, la lineetta sopra la vocale, ne allunga il suono: la differenza è minima ma sostanziale… e lo speaker della Casa della Cultura non è stato capace di pronunciare correttamente il nome! Segno del grave pericolo che corre questa lingua… come i congiuntivi italiani, del resto.
Tamari’i Pane Ora
Fa’ateni ia morohi vahine
Elogio a donna Morohi
Prima partecipazione alla Heiva I Tahiti per questo gruppo fondato di recente, nell’ottobre 2018.
Autore del tema e dei canti la poetessa Flora Devatine. Il loro canto è un elogio a Morohi vahine, figura attiva nella vita comunitaria di Papara, isola di Tahiti, che ha trovato la forza nel legame con i suoi illustri antenati Teihotu, Tetuanui e Tupai.
Questo gruppo dimostra come si possa arrivare a un buon risultato canoro pur non essendo numerosi.
Hitireva
Tūpaia e aha nei ra ho’i?
Tūpaia, com’è andata?
Il gruppo Hitireva presenta le vicissitudini del grande navigatore Tūpaia. Questo polinesiano ha accolse il capitano Cook a fianco della regina Purea; partì da Tahiti sulla fregata britannica, ma non arrivò mai in Europa: morì a Batavia a causa dell’insalubrità del luogo, il fisico già indebolito dalla mancanza di alimenti freschi.
Vari gli ‘ōrero (oratori) del gruppo, fra i quali il celebre Teiva Manoi, nome d’arte Minos, nella parte di Tūpaia che non lesina insegnamenti al nipote Taiata su come cogliere i segnali della natura.
Ottimo il testo dell’autore Jaky Bryant, che scatena tutto il suo credo di ecologista.
Nella lontana epoca in cui il pūrau (Hibiscus tilliaceus) cresceva maestosamente in riva al mare dove intrecciava i rami con quelli del tou (Cordia subcordata), entrambi dominati dalle alte palme da cocco, le grida delle ‘ōio (sterne) dal piumaggio scuro erano i segni che Tūpaia conosceva, come le tracce degli u’a, paguri, degli ‘āveu, granchi del cocco, delle tartarughe quando arrivavano in spiaggia cariche di uova. Quando il mese te’eri lascia il posto al mese teta’i, il fenua, la terra, entra nel periodo dell’abbondanza. La stagione di riproduzione delle ‘ōio era una marchio temporale, un segno nel cielo, come la riproduzione delle tartarughe era un segno nel mare.
Quando la gente distruggerà fauna e flora, quando gli uomini dimenticheranno di seguire il rāuhi, la gestione ancestrale delle risorse, allora avverrà l’irreparabile: sarà come una va’a, piroga, gettata sugli scogli, sarà lo sterminio, sulla terra non si respirerà che la morte.
Spettacolari i costumi e le coreografie: i ballerini imitano i vari animali muovendosi ora come i granchi quando frugano con le chele durante la notte, ora come le giovani tartarughe; riescono a imitare i movimenti dei branchi di pesci in mare, guizzando all’unisono, e i costumi da uccello marino sono così reali che se spiccassero in volo nessuno si meraviglierebbe!