Sabato 26 ottobre, nel magnifico quadro della punta Venus, nel comune di Mahina, dove il capitano Cook aveva ancorato la sua nave per procedere alle osservazioni del pianeta Venere, si sono incontrati sette gruppi di canto, fra il tripudio della popolazione, in occasione del Ta’urua Hīmene. La parola hīmene è facilmente riconducibile all’inglese hymn, inno, mentre ta’urua significa sia festa pubblica sia pianeta Venere: non poteva essere trovato un nome più appropriato.
La punta Venus si trova sull’isola di Tahiti, nel comune di Mahina: il suo sindaco, Damas Teuira, ha partecipato alla scorsa Heiva come ra’atira, conduttore del gruppo di zona, e ha accolto con piacere la manifestazione che riunisce le sette corali.
A dirigere il tutto mama Iopa – insegnante del Te Fare Upa Rau, il Conservatorio – che ci ha arricchito di interessanti informazioni su tihauhau (ritmo) e ‘oto (melodia), e l’eclettico Pierrot dell’isola di Rapa. Quest’anno è stato prescelto lo hīmene rūa’u o canto antico, originato dagli inni dei missionari, che il popolo mā’ohi ha fatto proprio. Delle melodie polinesiane quella che ha più conservato la sua originalità è il tārava, il canto allungato, chiamato così per la posizione delle gambe tenuta dai componenti del coro e perché è un canto lungo; mentre il rūa’u, di ritmo lento e cantato da sei voci differenti, racconta leggende, guerre, ma anche la dolcezza delle vallate e la bellezza dell’oceano.
Ogni gruppo ha presentato tre canti: oltre agli hīmene rūa’u, il loro ‘ūtē.
Come gruppi di zona si sono esibiti i Tamari’i Tuha’a Pae Nō Mahina, originari dell’arcipelago delle Australi che vivono a Mahina, e i Tamari’i Mahina, entrambi diretti da Moeata Ari. Il primo gruppo ha cantato la canzone di Hiro, composta da Pierrot, che sottolinea le doti del loro eroe leggendario:
- te pua mahu, che sparge il suo profumo come il fiore pua (Fragrea berteriana) per l’isola di Rimatara,
- te pū manatu, energia che si leva, per l’isola di Rurutu,
- te ara raua, che si sveglia al minimo rumore, per l’isola di Tupu’ai,
- te moe taere, sempre in veglia, per l’isola di Ra’ivavae,
- te ara roa, grande condottiero, per l’isola di Rapa.
In scena un simpatico personaggio, durante l’esibizione del gruppo Tamari’i Mahina, esibizione frutto di una lunga esperienza.
Il gruppo Natiara di Pape’ete ha cantato la triste storia d’amore di una ragazza che aspetta il suo amato invano poiché è stato fatto uccidere dal padre di lei, e non verrà mai più agli appuntamenti. Hanno eseguito il loro ‘ūtē tutti insieme, fatto sorprendente in una cultura dove si tende alla conservazione di costumi e tradizioni: solitamente questo canto viene eseguito in duetto.
I Tamari’i Ra’ahiti diretti da Ma Zinguerlet, già giuria alla Heiva, sono di Fa’aone; sono di Papara i Tamanui Apatoa nō Papara, che hanno cantato moana, l’oceano; entrambe queste corali sono venute da distretti dell’isola di Tahiti.
Dalla penisola di Tahiti, dove ancora si vive secondo la tradizione polinesiana, mondo lontano dalla capitale Pape’ete, i Tamari’i Teahupo’o appartengono a una zona di leggendari guerrieri, che circondavano il loro villaggio con un muro formato dai teschi dei nemici uccisi.
Dulcis in fundo, i Tamari’i Rapa nō Tahiti, gli abitanti di Rapa che vivono a Tahiti, gruppo diretto da Pierrot, con il loro rūa’u dal particolare effetto rallentato, simile al sibilo della pietra che cade dall’alto della falesia.
Interessanti le parole delle canzoni, piene di doppi sensi, come si può notare nei video dove il reo Rapa, la lingua di Rapa, viene spiegata con traduzione in italiano.
Gran finale con lo hīmene ‘āmui, il canto tutti assieme composto da Mama Iopa, imparato giusto prima delle esibizioni dei vari gruppi. L’ultima strofa sottolinea come l’intensità delle percussioni si sia amplificata e come si stia amplificando la cultura mā’ohi.