Innumerevoli sono le storie che raccontano le piccole e grandi tragedie dell’emigrazione veneta di fine ‘800. La città australiana di Lismore, tra Sidney e Brisbane, seppur così lontana, conserva un intenso legame con la città dove vivo, Conegliano, da dove partirono in 263, provenienti dalle colline pedemontane venete, gli sfortunati emigranti del veliero a vapore India, con destinazione il “Paradiso Fantasma”.
Erano anni di estrema povertà, in cui qualsiasi proposta o promessa diventava un sogno da rincorrere a qualsiasi costo, anche della vita stessa, poiché non c’era nulla da perdere se non quell’esistenza grama da cui ogni padre vuole fuggire per dare al figlio un destino migliore.
Se per ogni vittima esiste un carnefice, per ogni disperato in cerca di salvezza esiste un truffatore pronto a coglierne le debolezze, ed è curioso come queste dinamiche si ripetano nel corso dei secoli, come se l’umanità avesse bisogno di entrambe le figure per mettere in scena, tra lutti e dolori, l’identità e la resilienza di un popolo. Fu così che nel 1880 un avventuriero francese, il marchese Charles du Breil de Rays, dopo aver tentato la sorte nelle maniere più truffaldine, mise in atto l’ennesimo imbroglio: reclutare lavoratori paganti disposti a fondare una nuova colonia in un’isola felice vicino alla Nuova Guinea, battezzata La Nouvelle France. Stampò manifesti e pubblicò inserzioni, decantando quelle terre sconosciute come un paradiso dal clima mite e dalla ricca fertilità, un luogo dove ritrovare finalmente la dignità e con essa la serenità.
I veneti, caduti nella trappola del marchese, salparono il 9 luglio 1880, portando con loro i pochi averi rimasti e nel cuore il sogno della terra promessa: ebbe inizio l’odissea del veliero India. I diari dell’epoca tenuti dai pochi sopravvissuti raccontano di un viaggio massacrante tra il caldo asfissiante, il cibo avariato, le infezioni, le pulci, le febbri. Tra malattie e lutti, l’arrivo del gruppo, decimato dagli stenti, tre mesi dopo la partenza, registrò una tragedia ancor più terribile: la terra promessa altro non era che un’isola infestata dalla giungla, dove un naufrago di una precedente spedizione era sopravvissuto all’attacco dei tagliatori di teste. Il paradiso si trasformò in un inferno.
Tuttavia i veneti, conosciuti ancor oggi per la forza di volontà e la testardaggine nel perseguire gli intenti, tentarono di fare di quel luogo inospitale la loro nuova casa. Ma a nulla valsero gli sforzi: ancora una volta la fame e le malattie ebbero il sopravvento, e dopo aver seppellito ancora molti compagni di sventura, presero la decisione di ripartire verso una nuova terra, approdando in Australia.
Non fu la fine delle tribolazioni; gli emigranti pagarono un ulteriore pegno per aver tentato di portare altrove la loro identità. Le famiglie furono separate e mandate in luoghi diversi per agevolare l’apprendimento della lingua inglese e l’assimilazione alla cultura locale.
Un anno dopo fu fondata Cea Venessia, “Piccola Venezia”, in memoria di una storia nata da un sogno e finita nel dolore.
C’è un filo conduttore che unisce i veneti di ogni luogo nel mondo: la condivisione di un destino dolce-amaro di speranze e di lacrime, di tragedie e di rinascite. Molti ne sono stati sopraffatti, altri ne hanno colto le opportunità, ma tutti, in fondo agli occhi, nascondono un’ombra di struggente malinconia per quello che è stato e che non potrà più tornare.
Il benessere di oggi non ha cancellato il ricordo: la generosa e schietta terra veneta accoglie ogni anno i discendenti di tante famiglie partite per il mondo, il cui legame con le origini è ancora molto sentito, in onore e in memoria di tutti coloro che il benessere e la terra promessa non li hanno conosciuti mai.