Il 17 dicembre 2021, la Corte Interamericana dei Diritti Umani ha emesso la sentenza relativa al caso “Pueblos Indígenas Maya Kaqchikel de Sumpango y otros contro la Repubblica del Guatemala”, dichiarando quest’ultima “responsabile a livello internazionale per la violazione dei diritti alla libertà di espressione, all’uguaglianza di fronte alla legge e alla partecipazione alla vita culturale” dei Popoli Indigeni.
La storica pronuncia arriva dopo decenni di attivismo da parte dei membri del movimento delle emittenti radiofoniche gestite dagli autoctoni guatemaltechi, la cui libertà di diffondere informazione nelle lingue minoritarie è da sempre avversata dal governo. Al momento le stazioni radio della comunità indigena non sono ancora legalizzate – sebbene da oltre 26 anni questo diritto sia stato garantito negli accordi di pace guatemaltechi – e continuano a operare in una sorta di limbo giuridico che le ha rese spesso oggetto di persecuzione, diffamazione e criminalizzazione da parte dei grandi media, della polizia nazionale e dei politici.
Il procedimento è stato intentato dalle organizzazioni Cultural Survival con base negli Stati Uniti e Associación Sobrevivencia Cultural con sede in Guatemala, e presentato con il sostegno legale della Human Rights and Indigenous Peoples Clinic della Suffolk University Law School. La denuncia originale risale al 28 settembre 2012, con la motivazione che la legge guatemalteca sulle telecomunicazioni esclude i popoli indigeni dal godimento delle proprie forme di divulgazione mediatica tramite le cosiddette “radio di comunità”. L’anno prima, nell’ottobre 2011, Sobrevivencia Cultural aveva infatti avviato un’azione di incostituzionalità alla corte costituzionale del Guatemala, denunciando una discriminazione economica ed etnica nel sistema di distribuzione delle radiofrequenze: in pratica, essendo le concessioni vendute all’asta al miglior offerente, le comunità indigene – storicamente le più emarginate nel Paese dal punto di vista economico – non hanno un accesso equo ai media di proprietà statale.
“La Corte Interamericana sostiene giustamente che la libertà di espressione è una pietra angolare di ogni società democratica”, commenta l’esponente di CS Monica Coc Magnusson (di etnia maya). “La sentenza è quindi una grande vittoria per i popoli indigeni in Guatemala, nonché una preziosa opportunità per lo Stato di porsi in prima linea nel riparare i torti subìti dalle comunità native, che costituiscono la metà della popolazione. Essa costituisce anche un importante precedente per le etnie autoctone dell’America Latina, affermando sia il loro diritto di espressione collettiva e individuale, sia il diritto di vivere la propria cultura senza discriminazioni”.
Il maya Anselmo Xunic Cabrera, membro di Radio Ixchel, una stazione comunitaria di Sumpango Sacatepequez, ha dichiarato: “Questa grande notizia è il prodotto dello sforzo collettivo di diverse organizzazioni nazionali e internazionali. Siamo felici e commossi, in quanto è il risultato di una lotta storica di tutti i popoli indigeni. Questa decisione avrà un impatto in America Latina e nel mondo. La sentenza rappresenta un duro colpo per lo Stato, che si è comportato in modo razzista, discriminante e criminalizzante nei nostri confronti”.
Il 3 aprile 2020, la Commissione Interamericana dei Diritti Umani (IACHR) ha deferito il caso alla Corte Interamericana. Il 9-10 giugno 2021, la Corte ha ascoltato le testimonianze di animatori delle emittenti comunitarie, di esperti dei diritti indigeni e di esponenti dello Stato del Guatemala. L’unica strada per ottenere una licenza radiofonica passa per la partecipazione a un’asta di frequenze; e tuttavia, come ha affermato Xunic Cabrera in udienza, “le aste sono discriminatorie anche perché, dal punto di vista economico, noi popoli indigeni non siamo in grado di pagare quelle cifre”.
María Pedro de Pedro, della Radio Snuq’ Jolom Konob’ di Santa Eulalia, Huehuetenango, ha fatto osservare che via etere “noi proteggiamo la nostra identità culturale, proteggiamo la nostra cultura, la nostra musica, la nostra arte, le nostre tradizioni, i nostri costumi, la nostra lingua, i nostri nomi originali… Il microfono è potere”.
José Francisco Calí Tzay, relatore speciale sui diritti dei popoli indigeni, ha sottolineato che “l’accesso alla radio comunitaria è fondamentale per la trasmissione della lingua, della cultura, visto anche come i nativi si affidano a questo mezzo per informare ed educare le loro comunità, specialmente durante la pandemia di Covid-19. Non poter accedere alle radiofrequenze si traduce in una discriminazione indiretta nei confronti delle comunità indigene, perpetuata attraverso una legislazione solo in apparenza neutrale, ma che di fatto discrimina i popoli indigeni, come avviene per la legge sulle telecomunicazioni del Guatemala”.
Ignorando leggi e impegni nazionali e internazionali in materia di libertà di espressione, lo Stato del Guatemala ha promosso questo famigerato Decreto Generale delle Telecomunicazioni in vigore dal 1996, prorogandolo nel 2012 per altri vent’anni.
La decisione della Corte Interamericana dei Diritti Umani diventa così una pietra miliare per i diritti degli indigeni. Essa ha stabilito che lo Stato del Guatemala ha violato i seguenti articoli della American convention on human rights:
- 1 – Obbligo di rispetto dei diritti
- 2 – Effetti giuridici interni
- 13 – Libertà di pensiero e di espressione
- 24 – Diritto alla pari protezione
- 26 – Sviluppo progressivo
Le decisioni della Corte Interamericana sono vincolanti: in pratica, il Guatemala è tenuto a modificare la legge, agevolando il libero funzionamento delle stazioni radio comunitarie; correggendo la legislazione nazionale affinché riconosca alle emittenti indigene una funzione unica e insostituibile; stabilendo procedure semplici per l’ottenimento delle licenze; riservando un settore delle radiofrequenze alle radio comunitarie; astenendosi dal perseguire legalmente gli individui che partecipano alle trasmissioni.
La sentenza contempla anche risarcimenti per quattro delle comunità colpite.