Nella vita di Pietro Micca, il minatore biellese che con il suo sacrificio salvò Torino, compare anche una strega che viveva a Sagliano alla fine del Seicento: era una povera donna chiamata “la Murcia”, malvista in paese, isolata in una baita, temuta e al contempo apprezzata perché, quando leggeva la mano a qualcuno, le previsioni sul suo destino si avveravano infallibilmente.
L’unica persona di Sagliano a non temere la vecchia era il picapere Pietro Micca, che volle persino invitarla alla festa con tutti i parenti il giorno del suo matrimonio, quando ancora il Piemonte viveva una breve parentesi di pace e serenità.
Tuttavia quella presenza inquietante aveva finito per guastare la bella e gioiosa giornata poiché, dopo aver bevuto qualche bicchiere di troppo, la donna aveva iniziato a raccontare strane storie, macabre e inquietanti. La vicenda che fece più impressione fu quella del lago dla Vègia: a dare il nome al laghetto alpino sopra Pitcavàl sarebbe stata una donna di Sagliano, andata fuor di senno dopo aver trovato il giorno del suo matrimonio il capo mozzato dello sposo gettato sul sagrato della chiesa.
Annichilita e sconvolta, la sfortunata s’era presa quel macabro reperto fuggendo verso la più remota radura montana, dove era vissuta nel dolore, piangendo continuamente tanto da formare il lago con le sue lacrime. Isolata da tutti, con la sola compagnia d’un orso, tenuta dai valligiani in fama di masca, sarebbe invecchiata precocemente; fino a morire cadendo accidentalmente nel profondo del lago dove si sarebbe prodigiosamente unita in un abbraccio spirituale all’anima del suo innamorato.
La misteriosa, inquietante figura d’un fantasma dall’aspetto di donna dai lunghi capelli s’aggirerebbe senza pace nei pressi del lago nelle notti di luna nuova.
Il terrificante racconto della Murcia mise subito di cattivo umore i commensali, costringendo il povero Pietro Micca a cercare di sollevare un poco il morale dei suoi ospiti chiedendo alla fattucchiera di leggergli la mano, sicuro che gli avrebbe predetto un futuro sereno e tranquillo di minatore nella valle del Cervo, marito felice e fedele e, magari, buon padre d’una schiera di valìt e valëtte.
Presa la mano sinistra dello sposo ed esaminate con competente attenzione le linee della vita, l’anziana chiromante lasciò tutti a bocca aperta prevedendo per Pietro Micca un futuro lontano dal proprio paese come soldato in una lunga guerra sanguinosa. Finalmente tutti si sentirono sollevati, poiché nulla poteva far pensare a un conflitto, né tantomeno che un minatore provetto dovesse finire arruolato in un esercito. Per loro le chiacchiere della Murcia erano soltanto fanfaluche senza senso, che non avrebbero più rovinato la giornata.
Ma la donna non aveva ancora finito: sempre scrutando la mano del giovane, se ne uscì nel suo piemontese stretto e fare bonario a dichiarare di poter fare per Pietro Micca “la predission dle pì bele ch’as peusso desideresse”. Tra l’incredula ilarità di tutti, una “riada fenomenal rumorosa” e con l’imbarazzo dello sposo, la donna proseguì imperterrita nella sua profezia che non ammetteva obiezioni.
Nel libro del destino – ella lo vedeva chiaramente – era scritto che Pietro Micca sarebbe stato obbligato non solo ad andare sotto le armi, ma “a diventrà quaicòsa ‘d gross e ‘l sò nòm a vnirà venerà al fianch ‘d coj dij pì grand òmni”.
Una sonora risata liberatoria accolse il vaticinio, e tutti pensarono solo che la Murcia era una povera masca fuori di testa.
E invece no, la strega di Sagliano aveva proprio visto giusto.
È esistita davvero questa fattucchiera, che sarebbe la seconda della valle con Giovanna di Miagliano?
Certamente sì. Nel mondo parallelo della fantasia letteraria.
Perché la Murcia é uno dei personaggi di un suggestivo romanzo storico in lingua piemontese dal titolo La storia d’ Pietro Micca, scritto dal torinese Carlo Occhietti con lo pseudonimo di “Carlin Tiochet”, stampato a Milano ai primi del Novecento.
E c’è sempre una nascosta verità nei sogni d’un poeta.