Il 19 febbraio 2023 oltre ventimila cristiani avevano manifestato a Delhi denunciando l’aumento degli episodi di violenza e persecuzione nei loro confronti. Sostenevano che mai come nei due anni precedenti l’odio si era manifestato tanto brutalmente verso la loro comunità religiosa, alquanto minoritaria, dato che rappresenta soltanto il 2,3% di una popolazione di 1,4 miliardi di abitanti.
Da allora le cose non sono cambiate più di tanto. Anzi, forse sono andate peggiorando.
Opinione, questa, evidentemente non condivisa dal governo indiano guidato dal nazionalista hindu Narendra Modi, il quale ha infatti rigettato con fastidio il rapporto del 2 ottobre 2024 pubblicato dalla uscirf (commissione degli Stati Uniti per la libertà religiosa internazionale). Nel documento l’India veniva classificata per il quinto anno consecutivo come un “Paese fonte di particolare preoccupazione”, in quanto “il governo indiano continua a reprimere le comunità religiose”, nonostante alcune nuove leggi formalmente a favore della libertà di culto votate negli ultimi tempi.
Oltre agli episodi di violenza nei confronti delle minoranze religiose, il rapporto stigmatizzava “la diffusione di discorsi discriminatori e una legislazione che limitava i diritti delle minoranze”.
Durante il 2024 diverse persone sono state uccise, picchiate, addirittura linciate da bande di militanti hindu. Mentre alcuni esponenti religiosi venivano arbitrariamente arrestati. Così come vari luoghi di culto sono stati distrutti o espropriati, soprattutto moschee, dopo averli classificati “costruzioni abusive”.
Quanto ai cristiani, il rapporto segnalava (per difetto ovviamente) circa 160 attacchi (di cui 47 nello Stato del Chhattisgarh) tra gennaio e marzo 2024. Denunciava inoltre “il ricorso alla disinformazione, ai discorsi di odio e di retorica discriminatoria da parte di funzionari governativi [compreso Modi] allo scopo di incitare agli attacchi contro le minoranze religiose e i luoghi di culto”.
Niente di strano quindi se nella seconda metà di novembre si è giunti alla paradossale situazione del Chhattisgarh (Stato a maggioranza tribale), dove un centinaio di cristiani sono stati posti dai consigli locali (panchayat) di fronte a una scelta drastica: lasciare il villaggio o rinnegare la propria fede. In caso contrario, le loro proprietà, i loro campi sarebbero stati devastati (come poi è accaduto).
Questo per ora riguarda solo otto villaggi (Dabba, Doodhiras, Gonderas, Gurli, Jagadlanar, Kundanpal, Kunna), ma non si esclude che la tendenza vada estendendosi, in base al principio per cui “le decisioni prese dai panchayat prevalgono sulla costituzione indiana”. Costituzione che in teoria dovrebbe “garantire la libertà di religione e credo” (articolo 25).
Inutilmente i cristiani hanno denunciato alla polizia l’arbitraria decisione. Nel frattempo i loro campi e raccolti venivano saccheggiati.
L’aumento degli episodi ostili nei confronti dei cristiani e delle altre minoranze religiose è stato denunciato anche dall’United Christian Forum (ucf) “in almeno 23 dei 28 Stati dell’India”. Complessivamente, da gennaio a ottobre 2024, sono stati documentati 673 episodi contro la comunità cristiana, la maggior parte nell’Uttar Pradesh (182 casi) e nel Chhattisgarh (139).