Turchi e islamisti in azione

La sacrosanta preoccupazione per quanto avviene in Rojava, nel nord-est della Siria (vedi la diga di Tishrin sottoposta ai continui bombardamanti turchi che causano soprattutto vittime civili), non ci impedisce di assistere con sgomento a come la repressione colpisca con violenza nel resto del Kurdistan (Bakur, Bashur, Rojhelat), in Turchia e – com’era prevedibile – nella Siria del post Assad. Scatenandosi non solo sui curdi, ma anche contro altri dissidenti e contro le minoranze.
Il 21 gennaio in Turchia sono state arrestate 34 persone (esponenti politici, giornalisti, musicisti, semplici militanti) accusate di far parte di un’organizzazione terrorista. L’operazione deriva da un’inchiesta di polizia inizialmente concentrata sul partito comunista marxista-leninista (mlkp), ma che poi si è estesa ad altre organizzazioni. Infatti tra gli arrestati troviamo il copresidente del partito socialista degli oppressi (esp) Deniz Aktaş, il copresidente della federazione giovanile socialista (sgdf) Berfin Polat, la corrispondente dell’agenzia di stampa Etkin, Züleyha Müldür, e militanti del consiglio delle donne socialiste (skm).
Perquisizioni e arresti si sono svolti simultaneamente in 13 località di Istanbul e in una dozzina di Ankara. Altre irruzioni nella sede della fondazione per la ricerca scientifica, educativa, culturale, estetica e artistica (beksav) di Istanbul, nello studio utilizzato da Grup Vardiya (collettivo di musicisti di sinistra “colpevoli” forse di aver eseguito anche canzoni sul genocidio armeno) con sequestri di materiale audiovisivo. Arresti di dissidenti che vanno ad aggiungersi alle migliaia avvenuti negli ultimi anni.

Paradossale, per esempio, quanto è accaduto all’avvocato Fırat Epözdemir, ugualmente incarcerato per “appartenenza a un’organizzazione terrorista”. In pratica, per presunte “attività filo-curde”.
Era stato arrestato all’aeroporto di Istanbul al ritorno dalla riunione degli avvocati del Consiglio d’Europa tenutasi a Strasburgo il 23 gennaio.
Due giorni dopo, il 25 gennaio è comparso davanti al tribunale penale di Istanbul, dopo essere stato interrogato dal pubblico ministero. Il giudice ne ha convalidato l’arresto con motivazioni quali l’appartennza al congresso democratico del popolo (hdk), la partecipazione a un gruppo WhatsApp e la presenza di fotografie con simboli riconducibili al pkk.

Intanto in Siria…

Nella mattinata di lunedì 27 gennaio uomini armati, presumibilmente legati all’organizzazione Hayat Tahrir al-Sham (hts), hanno assalito il villaggio alawita di El Enzê, a nord di Hama, uccidendo cinque civili (tra cui un anziano e un dodicenne) e ferendone molti altri.
Soltanto il giorno prima l’osservatorio siriano dei diritti dell’uomo (osdh) denunciava l’incremento dei crimini commessi dai gruppi islamisti. In particolare i sequestri di persona e le esecuzioni sommarie con cui sono state uccise almeno 35 persone (beninteso, quelle accertate) in soli tre giorni, tra venerdì e domenica.
Sempre stando ai comunicati di osdh, le violenze contro la popolazione civile (in particolare contro le minoranze etniche e religiose; oltre ai curdi, alawiti, cristiani, drusi) sono in forte aumento in varie località: Homs, Hama, Latakia e nelle campagne di Damasco. Approfittando di operazioni militari in corso, gruppi di armati arrestano e sequestrano arbitrariamente i civili. Arrivando anche a mutilare i cadaveri di alcune delle persone assassinate. Tutto questo mentre la comunità internazionale sembra voler concedere ancora tempo e credito agli islamisti “moderati” (moderati?) di Hayat Tahrir al-Sham.
Intanto i droni turchi, mentre fanno strage di civili a Tishrin, colpiscono anche in Bashur, nel nord dell’Iraq. Come denunciava una giornalista di Kanal8, nel pomeriggio del 27 gennaio veniva colpita un’auto nel villaggio di Gircan (Ranya) uccidendo almeno quattro persone e ferendone altre.