A prima vista può sembrare che la conflittualità “confessionale” del Medio Oriente si fondi su una netta divisione in due fazioni: sunniti e sciiti. La realtà è più complicata. L’unità sunnita è un mito: i Paesi che appartengono a questo campo sono divisi su una varietà di questioni. E gli sciiti, la cui potenza è cresciuta a partire dai primi anni ‘90, soffrono lo svantaggio indiscutibile di essere una minoranza a livello demografico.
Di fatto, la caratteristica più vistosa della fazione sciita è proprio quella di comprendere soltanto una frazione dei musulmani, che per oltre tre quarti appartengono invece all’islam sunnita.
Secondo uno studio del 2011 dal Pew Research Center, solo quattro Paesi hanno una maggioranza sciita: Iran, Azerbaigian, Bahrein e Iraq. Altri hanno folte minoranze sciite, come Yemen, Kuwait, Arabia Saudita, Afghanistan, Pakistan, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Qatar e Oman. Gli sciiti formano anche il maggior gruppo religioso in Libano e rappresentano ben il 20% dei 180 milioni di musulmani in India.
Come la loro controparte sunnita, gli sciiti hanno divisioni interne. I duodecimani costituiscono il gruppo più numeroso, ma ce ne sono svariati altri, come gli ismailiti, detti anche settimani; gli zayditi, gli alawiti, i drusi… Tutte queste subsètte differiscono a livello geografico, linguistico, politico e ideologico.
Storicamente, gli sciiti hanno governato solo in modo saltuario, con qualche notevole eccezione. Per esempio, i fatimidi mantennero un califfato, con sede al Cairo ed esteso dal Marocco fino alla costa occidentale della penisola arabica, dagli inizi del X secolo alla fine del XII. Dal 932 al 1055, i buwayhidi governarono gran parte degli attuali Iran e Iraq. Più tardi, l’ilkhanato dei mongoli dell’Asia centrale dominò porzioni di Pakistan, Afghanistan, Iran, Iraq, Siria e Turchia. Più di recente, gli zayditi ressero un imamato in Yemen durato dall’897 al 1962. E nel medioevo, vari potentati islamici minori furono governati da dinastie sciite.
Per la maggior parte, però, le espressioni del potere sciita sono state rare. Gli sciiti furono dominati dai sunniti fino al XVI secolo, allorché l’impero safavide adottò l’islam sciita come religione ufficiale. Ma ormai gran parte del Medio Oriente e dell’Asia meridionale erano caduti sotto il controllo degli ottomani e dei moghul, entrambi imperi sunniti.
La potenza sciita si è da allora spostata in Persia. Nel 1979, la rivoluzione iraniana ha creato ufficialmente una repubblica sciita. L’Iran è oggi il più grande e potente Paese della sètta, e la sua forza militare ha permesso ai religiosi di Teheran di sostenere le comunità sciite e quindi di aumentare la propria influenza nel mondo arabo. Un’espansione che però non è sempre stata facile. L’Iran ha tentato di convincere l’etnia azera al proprio interno a sfruttare la maggioranza sciita in Azerbaigian a vantaggio di Teheran. Tuttavia, fino al 1991 l’Azerbaijan è stato parte dell’Unione Sovietica e, come tale, una nazione laica. Laicità che lo ha portato ad aprirsi con difficoltà agli sciiti.
I tentativi di influenza iraniana sono stati soffocati in Asia meridionale. Paesi forti come l’India e il Pakistan, per non parlare della guerra in Afghanistan, hanno reso l’espansione verso oriente assai difficoltosa per Teheran. Con gli sbocchi a nord-ovest e a est in gran parte bloccati, l’unica altra direzione in cui l’Iran avrebbe potuto espandersi era a ovest, verso il mondo arabo. Nonostante gli spietati combattimenti della guerra Iran-Iraq nei primi anni ‘80, Teheran è riuscita a stabilire una testa di ponte in Iraq sfruttando l’animosità tra i regimi di Baghdad e di Damasco. In effetti, la Siria è diventata uno dei suoi primi alleati, in parte grazie al fatto che questo Paese ha un regime alawita regnante su una popolazione a maggioranza sunnita. Il governo siriano ha anche aiutato l’Iran a trasformare Hezbollah in una grande forza politica e militare.
L’illusione della primavera araba
Altri due eventi sono stati decisivi nell’espansione regionale dell’Iran. Nel 1989, si concluse la guerra Iran-Iraq e, nel contempo, si risolse la guerra civile libanese. Questo rese Hezbollah, gruppo fiancheggiatore degli iraniani, la più grande entità politica del Libano. Pochi anni dopo, l’Iraq invase il Kuwait provocando la prima Guerra del Golfo. Per l’Iran, questo conflitto fu una mano santa poiché indebolì il governo di Baghdad, che in precedenza aveva protetto il Consiglio di Cooperazione dei Paesi del Golfo dall’invasione iraniana.
Dopodiché le minoranze curde e sciite in Iraq – per anni sostenute da Teheran – cominciarono a sfruttare la crescente debolezza del regime iracheno. Allorché gli Stati Uniti sconfissero Saddam Hussein nel 2003, l’Iraq era maturo per cadere sotto il controllo iraniano. E così avvenne, assicurando all’Iran una zona di influenza estesa da Teheran al Mar Mediterraneo.
Ma l’espansione iraniana si arrestò ben presto (diversamente dalle sue aspirazioni egemoniche). Ritenendo al sicuro il suo fianco occidentale, Teheran scorse nella primavera araba un’opportunità di espandersi nella penisola arabica, nel cuore della sua rivale regionale: l’Arabia Saudita. In particolare, Teheran sperava di utilizzare a proprio vantaggio le rivolte sciite in Bahrein. Ma i sauditi, aiutati dagli alleati nel Consiglio di Cooperazione dei Paesi del Golfo, schiacciarono la rivolta e, per analogia, le speranze iraniane di avere qualche rilievo nel regno isolano.
Poco dopo, l’ambizione iraniana ricevette un nuovo colpo in Siria, dove le proteste della primavera araba finirono per trasformarsi in una guerra civile su vasta scala. Il governo alawita è ancora in sella, ma la sua caduta sarebbe disastrosa per l’Iran: Teheran rimarrebbe tagliata fuori dai suoi alleati Hezbollah, lasciando gli sciiti iracheni esposti a un regime sunnita in Siria. Cìè poco da stupirsi, quindi, che l’Iran abbia sostenuto il regime del presidente siriano Bashar al Assad con tanto entusiasmo.
Troppi semafori rossi
Attualmente, l’Iran e gli sciiti sembrano più in salute dell’Arabia Saudita e dei sunniti. Hezbollah e altre milizie hanno aiutato Assad e mantenere il potere. La lotta contro gruppi estremisti come Jabhat al-Nusra e lo Stato Islamico hanno dato tempo all’Iran di riorganizzarsi, così come hanno fatto i negoziati sul nucleare con gli Stati Uniti. Inoltre i sauditi hanno dovuto occuparsi della ribellione houthi nello Yemen.
Tuttavia, questi vantaggi avranno breve durata. Il terreno guadagnato dagli sciiti si deve in gran parte alla debolezza e all’incoerenza sunnite, e gli ultimi sviluppi fanno intendere che gli avversari stiano riguadagnando terreno, anche se magari temporaneamente. I ribelli hanno assunto in controllo di territori critici in Siria, in particolare nella provincia di Idlib, e l’Arabia Saudita e la Turchia hanno stretto un’alleanza per cacciare Assad dal potere.
E poi, semplicemente, ci sono più sunniti che sciiti; e anche un sacco di prove a suggerire che i primi non accetteranno alcun predominio dei secondi. In Libano, Hezbollah non è riuscito a sottomettere il governo, nonostante le dimensioni e l’influenza del gruppo militante. Nello Yemen, il movimento zaidi potrebbe emergere come la versione yemenita di Hezbollah, ma non può imporre la sua volontà al Paese al di fuori delle principali aree dello zaydismo. In Iraq, lo Stato Islamico è ancora un potente gruppo sunnita, anche nelle zone dominate dagli sciiti, nonostante la sua barbarie.
Gli jihadisti, di fatto, minacciano l’Iran e i suoi alleati sciiti, ma rappresentano anche un’opportunità. Lo jihadismo indebolisce gli Stati sunniti e tende a spostare il favore internazionale verso l’Iran. Gli iraniani sperano che l’Arabia finisca nei guai; dal loro punto di vista, lo slancio del movimento houthi nello Yemen potrebbe innescare una rivolta simile tra gli ismailiti nelle confinanti province saudite di Jizan e Najran. Idealmente, la comunità duodecimane nella provincia orientale dell’Arabia Saudita potrebbero fiorire: sviluppo che, insieme con il Bahrein, creerebbe un importante avamposto dell’influenza iraniana in Arabia Saudita.
Ma i semafori rossi sono troppi, in questa regione. Anche nell’improbabile ipotesi che l’Arabia Saudita si indebolisca al punto da cedere all’Iran il controllo della penisola arabica, le popolazioni sunnite non permetterebbero che le città sante della Mecca e di Medina restassero sotto il controllo sciita. E non ci sarebbero abbastanza sciiti per opporsi, circondati come sono dai sunniti.
Oltre alle considerazioni religiose, a opporsi alla diffusione dello sciismo si aggiungono anche ragioni di ordine etnico. La leadership sciita è ora nelle mani dei persiani, non degli arabi. E sebbene gli sciiti arabi si siano allineati con Teheran, l’hanno fatto solo per necessità, oppressi come sono nei rispettivi Paesi. Questo limita la misura in cui l’Iran può contare su di loro per i propri scopi.
Anche se gli sciiti del mondo arabo sono tendenzialmente uniti, alcune loro differenze sono difficili da ignorare.
Esiste ancora competizione tra i centri teologici iracheni della scuola Najaf, dominata dagli arabi, e quella di Qom, e Teheran ha cercato in tutti i modi di aumentare la propria influenza su Najaf. I leader iraniani sperano che il vuoto di potere in Iraq consentirà loro di diffondere la loro dottrina di Velayat-e-Faqih. Ma con l’Iran alle prese con una trasformazione politica interna, le tensioni tra le fazioni liberali e conservatrici (e tra le fazioni democratiche e teocratiche, considerando la nomina del presidente iraniano Hassan Rouhani) sono diventate più acute. Tali tensioni potrebbero benissimo assorbire gran parte delle energie del Paese, lasciando per stada le sue aspirazioni internazionali.
In conclusione, se da una parte l’Iran intende sfruttare le attuali debolezze sunniti, dall’altra i cambiamenti in corso a Teheran, le incomprensioni interne dello sciismo e gli sviluppi della guerra civile in Siria, potrebbero ostacolare le ambizioni regionali dei suoi dirigenti.
(Traduzione a cura di “Etnie” dell’originale Why Shiite Expansion Will Be Short-Lived, con l’autorizzazione di Stratfor.)