Toccando ferro, è probabile che il 1° marzo (un mese prima del previsto) Arnaldo Otegi esca
dalle galere spagnole dove è rinchiuso dall’ottobre 2009. Era stato
condannato a una pena spropositata, anche dal punto di vista della
legalità statuale, per “apologia di terrorismo”. In sostanza Arnaldo
Otegi era accusato di:
1) aver partecipato a un’iniziativa a sostegno del prigioniero politico José Maria Sagardui;
2) aver definito il re di Spagna “capo dei torturatori”;
3) aver tentato, secondo l’accusa, di ricostituire l’organizzazione Batasuna (vedi l’operazione Bateragune).
Iniziative, da Bilbo…
A sostegno dei prigionieri baschi, nel gennaio scorso si sono tenute
alcune grandi manifestazioni, in particolare a Bilbao/Bilbo (nel Paese
Basco sotto amministrazione spagnola) e a Bayonne/Baiona (nel Paese
Basco sotto amministrazione francese, o Iparralde): per il rispetto dei
diritti fondamentali dei prigionieri, contro la loro dispersione in
carceri lontanissime da Euskal Herria, contro la politica carceraria di
Madrid e Parigi e contro la legislazione di emergenza. Attualmente la
situazione dei prigionieri è peggiorata – e le loro sofferenze aumentate
– rispetto a quella del 2011, quando ETA dichiarò la sospensione
definitiva della lotta armata.
Si ha come l’impressione che tutto questo non sia frutto di casualità,
ma risponda a un disegno preciso dei governi intenzionati a rallentare, o
meglio ancora a bloccare, il processo di soluzione del conflitto. Al
contrario, le manifestazioni del 9 gennaio 2016 hanno mostrato quante
componenti della società civile basca siano impegnate nel superare gli
ostacoli frapposti al processo stesso. Anche con la richiesta di un
terzo Foro Social.
Com’era prevedibile, la manifestazione più partecipata è stata quella di
Bilbo con oltre 60mila persone. Indetta da SARE (rete cittadina di
sostegno ai prigionieri) e da Iniziativa Bagoaz, la
manifestazione è stata preceduta da sei furgoni di Mirentxin che
settimanalmente aiutano le famiglie dei prigionieri a visitare i loro
cari incarcerati a centinaia, talvolta migliaia, di chilometri lontano
da Euskal Herria. 1)
Subito dopo marciavano i familiari dei prigionieri gravemente
ammalati (per legge dovrebbero essere messi in libertà): Txus Martin,
Josetxo Arizkuren, Inaki Etxebarria, Jose Ramon Lopez de Abetxuko, Ibon
Fernandez Iradi, Gorka Fraile, Gari Arruarte, Jagoba Codò, Aitzol
Gogorza, Lorentxa Gimon, Ibon Iparragirre. I parenti, tra cui molti
bambini, inalberavano cartelli con il volto dei prigionieri e striscioni
(immancabile: “Euskal Presoak Etxera”).
Seguiva un altro striscione emblematico: “Derechos humanos, resolucion y paz”
nelle tre lingue ufficiali del Paese. A reggerlo, l’ex prigioniera
Miren Zabaleta, alcuni esponenti della CUP (David Fernandez e Anna
Gabriel), il musicista Fermin Muguruza (ex Negu Gorriak), la bertsolari
Alaia Martin, l’avvocato Felix Canada, Inaxio Kortabarria, vari
esponenti del mondo della cultura e delle istituzioni (Joseba Azkarraga,
Gemma Zabaleta, Inaki Lasagabaster…), altri ex prigionieri politici e
la madre di Ibon Iparragire (ancora detenuto nonostante la gravità della
sua malattia).
Ma il fatto più significativo era la presenza, al fianco delle persone
sopraccitate, di una vittima di ETA, Rosa Rodero, vedova del sergente
della Ertzaintza (polizia autonoma) Joseba Goikoetxea. Un esempio di
possibile “soluzione irlandese” (o forse meglio: “sudafricana”) per
Euskal Herria.
Nella folla dei manifestanti si riconoscevano poi Txiki Munoz e Ainhoa
Etxaide (segretari generali, rispettivamente, dei sindacati baschi ELA e
LAB) e molti esponenti di altre organizzazioni sindacali attive in
Euskal Herria (Steilas, ESK, CNT). Oltre a vari membri di Podemos e di
EH Bildu (l’organizzazione della sinistra abertzale).
All’incrocio tra calle Autonomia e Alameda de Rekalde, la manifestazione
è stata raggiunta da una nutrita delegazione di internazionalisti
sostenitori della causa basca con le bandiere dei rispettivi popoli. Tra
gli slogan più scanditi: “Libertad, libertad, detenidos por luchar”. A metà percorso è comparso un immenso striscione con la scritta: “Euskal Presoak Euskal Herrira”.
Nel suo intervento, Joseba Azkarraga ha ricordato che “si avrà una
soluzione del conflitto soltanto quando le conseguenze dello stesso
saranno risolte; in primo luogo per le vittime naturalmente, ma anche
per i 470 prigionieri di cui quotidianamente vengono violati i diritti”.
In piazza Circular, il Komite Internazionalistak ha denunciato con
durezza la politica repressiva dello stato turco contro i curdi e
ricordato la condizione dei militanti curdi detenuti. Verso le 19,
esponenti di Etxerat hanno occupato le scalinate dell’Ayuntamiento al
grido di “Hator, hator” (unìsciti).
…a Baiona
Nello stesso giorno a Baiona, nel Paese Basco sotto amministrazione
francese, una marcia ha riunito circa 8000 persone con la presenza di
numerosi esponenti di partiti, movimenti e sindacati. In particolare, è
stata denunciata la situazione di Lorentxa Guimon, detenuta a Rennes e
gravemente ammalata. In proposito l’esponente di LAB Jeronimo Prieto ha
dichiarato che “lo Stato non dovrebbe fare altro che applicare le sue
stesse leggi e liberarla”.
Tra i partecipanti, i parlamentari socialisti Fréderique Espagnac,
Sylviane Alaux e Colette Capdevielle. Un giudizio positivo sulla
manifestazione è stato espresso dalla consigliera regionale Alice
Leiciaguecahar (Verts-Europe Ecologie). Presenti anche altri consiglieri
regionali come Alain Iriart (sinistra abertzale) e Marie-Christine
Aragon (socialista), oltre ai sindaci di Hendaia, Biarritz, Arberatze,
Uztaritze, Izura, Baiona. Quest’ultimo, Jean-René Etchegaray, ha
dichiarato che “i governi spagnolo e francese sono nell’inerzia totale.
Si comportano come se non vedessero, o non volessero vedere, quello che
sta accadendo da quattro anni e mezzo a questa parte”.
Il sindaco di Lekorne (e presidente di Biltzar), Lucien Betbeder, ha
dichiarato di aver partecipato alla marcia sia come persona che come
eletto per sostenere il processo di soluzione del conflitto, ricordando
poi che “è necessario occuparsi della questione della riunificazione
[dei prigionieri in Euskal Herria] e dell’amnistia e trovare una via
d’uscita per questa situazione”.
Oltre a numerosi membri di Bakea Bidea e del Collettivo di Esiliati e
Prigionieri Politici Baschi, hanno presenziato all’iniziativa alcuni
esponenti di Sortu,
come Rufi Etxeberria, Xabi Larralde, Maite Ubiria. Anche loro si sono
detti convinti che “affinché il processo possa avanzare, è necessario
risolvere la questione dei prigionieri”. Altre testimonianze
significative dalla consigliera municipale Yvette Debardieux (comunista)
e dal portavoce nazionale di NPA, Philippe Poutou.
“La mia presenza a questa manifestazione”, ha dichiarato l’esponente del
Nuovo Partito Anticapitalista, “è per esprimere solidarietà al popolo
basco e ai suoi militanti prigionieri. Affinché lo Stato cambi il suo
atteggiamento sulla riunificazione”. Ha poi spiegato di “non essere
d’accordo con il principio dell’indivisibilità dello Stato” e di
riconoscere il diritto del popolo basco a decidere, “inclusa la
possibilità dell’indipendenza”.
Ma forse la frase che ha suggellato la marcia pro-prigionieri,
suscitando ampie ovazioni, è stata quella pronunciata da Maialen
Arzallus:
“Abbiamo un’arma tra le mani, l’amore del popolo”.
N O T E
1) Qualche esempio: Alacant 780 km; Cordoba e Murcia 850 km; Granada 875 km; Clairneaux 945 km; Almeria 1040 km…
Per capire meglio i precedenti del caso Arnaldo Otegi, ripropongo quanto scrivevo in un mio articolo del 2006:
L’“Audiencia Nacional” spagnola (autentica erede del Top, il
tribunale speciale dell’epoca franchista) ha condannato nuovamente il
leader degli indipendentisti radicali baschi di Batasuna Arnaldo Otegi:
15 mesi di carcere e sette anni di interdizione assoluta per “apologia
di terrorismo”.
Nel dicembre del 2003 Otegi aveva preso parte a un atto pubblico in
memoria di José Miguel Benaran, più noto come “Argala”, assassinato
dalle squadre della morte parastatali. La cerimonia si era svolta nella
località di Arrigarriaga a venticinque anni dalle morte del militante
basco. Secondo i magistrati, nonostante l’amnistia del 1977, Argala va
ancora considerato un terrorista e onorandolo pubblicamente Otegi si è
reso responsabile di “esaltazione di attività terroristiche”. Argala era
rimasto ucciso in un attentato con un’auto-bomba poi rivendicato dal
“Batallon Vasco Espanol”, un antenato del Gal, le squadre paramilitari
fiancheggiatrici di Madrid. A questo aspetto il documento
dell’“Audiencia Nacional” non accenna (parla genericamente di “morte
violenta”), così come sembra non tener conto del fatto che Argala aveva
aderito a ETA in piena epoca franchista. Secondo le dichiarazioni della
polizia spagnola, riportate nella sentenza, Argala avrebbe “fatto parte
ininterrottamente di ETA dal 1970 al dicembre 1978” divenendone il “jefe
militar supremo”. Non si tiene conto del fatto che nel 1977 venne
concessa l’amnistia a tutti coloro che avevano lottato contro il regime
franchista e che, al momento della morte, Argala non era accusato
(tantomeno sotto processo) per alcun delitto.
L’atto politico in memoria di Argala viene celebrato ogni anno con
danze tradizionali e deposizione di corone di fiori accompagnate dal
suono tradizionale dei corni e della txalaparta. Otegi nel 2003 aveva
deposto un garofano rosso davanti al ritratto di Argala e aveva
presentato la cosiddetta “Proposta di Bergara” paragonandola a quella di
“Txiberta” formulata da Argala nel 1977. Aveva inoltre reso omaggio al
suo impegno per l’autodeterminazione di Euskal Herria. Proprio il giorno
prima la sinistra “abertzale” aveva presentato a Bergara agli altri
partiti baschi una proposta per “partecipare come popolo” alle elezioni
spagnole previste per il marzo 2004. Otegi, secondo il Tribunale,
avrebbe dichiarato che “ETA appoggerebbe la formazione di una
candidatura tra le forze abertzale, perché permetterebbe di voltare la
pagina della guerra e aprire la libertà per Euskadi”. Inoltre nella
sentenza si riporta che l’esponente abertzale avrebbe “espresso molti
apprezzamenti nei confronti degli etarras che hanno dato la vita per
Euskal Herria con appelli alla lotta armata”. Invece, secondo la difesa,
Otegi avrebbe parlato soltanto di “lotta contro lo Stato spagnolo”
senza usare l’aggettivo “armata”.