Abbiamo atteso a prendere una posizione, sia come Società scientifica sia come singoli, perché, a nostro avviso, s’è infiammato un dibattito di scarso valore scientifico, tendenzioso e, a tratti, estremamente violento. La responsabilità della bagarre è di chi rifiuta i vaccini tout court con motivazioni extra-scientifiche (“è l’industria che condiziona il governo”) e, talvolta, schiettamente antiscientifiche (“i vaccini causano solo danni alla salute”), ma, lo diciamo con rammarico, è anche di chi avrebbe dovuto collocare la discussione pubblica su un terreno pacato, razionale e confortato da prove.
Istituzioni scientifiche, professionali e singole personalità, con l’amplificazione dei media, hanno dato una pessima prova, adottando un atteggiamento paternalistico, dogmatico e, a un tempo, di allarme sociale, bollando con marchio d’infamia tutti coloro che, anche in sede professionale e scientifica, hanno espresso valutazioni articolate e di merito sui singoli vaccini (efficacia, dinamica, costi-benefici etc.), fino al punto da sottoporre a procedimento disciplinare, conclusosi con la radiazione dagli Albi, alcuni medici critici. Non condividiamo questo comportamento e invitiamo le istituzioni scientifiche e professionali, i docenti e gli operatori a svolgere con misura e rigore il loro insostituibile ruolo di autorevoli e indipendenti agenzie di informazione scientifica al servizio della collettività.
Segnaliamo inoltre che, nel furore della polemica, alcuni esponenti dell’Accademia hanno diffuso una visione della scienza di stampo dogmatico, con il risultato paradossale, a nostro avviso, di produrre un rafforzamento, invece che un indebolimento delle convinzioni di tipo anti-scientifico presenti nella popolazione. In questo modo, è stato prodotto un danno enorme alla diffusione della cultura scientifica del nostro Paese, che già soffre di ritardi storici a livello di massa. Non si difende e non si diffonde la cultura scientifica adottando il modello medievale dell’”ipse dixit”, dell’autorevolezza della cattedra, bensì mostrando la bellezza del metodo scientifico, che è uno dei migliori esempi di pensiero critico, dialettico, democratico, aperto e, per queste caratteristiche, dotato di grande forza persuasiva.
Solo una scienza che ottenga i suoi risultati adottando una procedura trasparente e che li condivida con la società tutta, è in grado di conquistare la partecipazione convinta dei cittadini alle proposte di politica sanitaria che ispira.
È comunque un dato oggettivo che i vaccini siano una risorsa di prevenzione sanitaria assolutamente preziosa. La storia mondiale delle malattie infettive lo dimostra con forza, con il debellamento di malattie importanti come il vaiolo, la poliomielite e la difterite. Altri vaccini non ancora disponibili (come ad esempio quelli per la malaria e per l’AIDS) sono oggetto di intensa ricerca e sarebbero altamente auspicabili.
Un’analisi critica delle procedure e delle decisioni politiche sui vaccini
La decisione governativa di estendere l’obbligatorietà delle vaccinazioni che, in una prima fase, è stata scagliata come un diktat sulla società, minacciando di estendere ai genitori critici le stesse pene inflitte ai medici critici e cioè la sospensione della potestà genitoriale, anche nella versione modificata uscita dal dibattito parlamentare, che pur ha tagliato le unghie al furore della Ministra della salute, a nostro avviso, non regge ad un esame ravvicinato dei dati e delle premesse su cui si fonda.
I dati
La premessa su cui si fonda la decisione governativa è che saremmo in presenza di forti rischi per la collettività essendosi pericolosamente abbassati i tassi di copertura vaccinale, che non garantirebbero la cosiddetta “immunità di gregge”. I dati portati a sostegno riguardano la diffusione del morbillo nel nostro Paese, che nello scorso anno e nell’anno in corso sarebbero a livelli eccezionalmente alti.
La serie storica dei dati degli ultimi anni e il suo paragone con paesi europei simili, pur senza sottovalutare l’andamento dell’infezione, non confermano l’eccezionalità dell’attuale diffusione del morbillo. Al 16 luglio 2017 (ultimo dato disponibile al momento della redazione di questo documento) si sono registrati 3672 casi, in tutto il 2013 i casi sono stati di meno (2258), ma nel 2011 sono stati di più (4671). C’è da notare che il massimo della copertura vaccinale si è registrato tra il 2008 e il 2012.
In Francia nel 2011 ci sono stati quasi 15.000 casi di morbillo con una copertura vaccinale superiore al 90% e ad oggi il morbillo è endemico in molti paesi europei tra cui Germania, Belgio, Svizzera, Francia, Polonia, Romania e altri. Non risulta che Francia, Germania, Svizzera, Belgio abbiano introdotto l’obbligatorietà della vaccinazione MPR (Morbillo Parotite Rosolia), pur essendo attivamente impegnati nel controllo della diffusione di questi agenti infettivi.
L’immunità di gregge
La premessa scientifica, su cui si fonda la decisione dell’estensione dell’obbligatorietà vaccinale, che è costituita dalla cosiddetta “Immunità di gregge”, secondo cui “è necessario raggiungere il 95% della copertura vaccinale per ottenere l’effetto gregge” e cioè la protezione totale della popolazione, presenta molte falle.
In primo luogo, i vaccini non sono tutti uguali. Ci sono vaccini per patologie che non sono trasmissibili da soggetto a soggetto, come il tetano (ad eccezione del caso rarissimo della trasmissione madre-neonato). Quindi il vaccino antitetanico non genera immunità di gregge essendo l’agente infettivo non trasmissibile per contagio interindividuale.
In secondo luogo, ci sono vaccini, che, sia per la bassa immunogenicità (che quindi causa una quota rilevante di vaccinati che non rispondono) sia per la scarsa durata dell’immunizzazione anche nei responders, non sono in grado di bloccare la trasmissione dell’agente infettivo. Al riguardo, un esempio molto studiato è il vaccino acellulare contro la pertosse, che presenta un elevato numero di non responders, la cui efficacia negli stessi responders svanisce già dopo 2-3 anni dalla vaccinazione.
Ma anche il caso del morbillo, che pure ha un’elevata trasmissibilità e che stimola una forte risposta anticorpale, non consente di concludere che una copertura vaccinale del 95%, che è quella indicata per il cosiddetto “effetto gregge”, possa bloccare la trasmissione virale, come dimostrano alcuni casi riportati in letteratura.
Per esempio: la Cina, che ha una copertura vaccinale del 97%, segnala ancora focolai di morbillo; il Belgio, dove un recente focolaio di morbillo è intervenuto in Vallonia, una zona del Paese ad elevata copertura vaccinale (superiore al 95%).
Emblematici gli esempi del Portogallo e della Repubblica Ceca.
In Portogallo il recente focolaio si è manifestato in regioni ad altissima copertura vaccinale, dopo 12 anni di scomparsa dei casi di morbillo, al punto che nel 2015 e 2016 il Portogallo era stato dichiarato libero dal morbillo. Interessante, al riguardo, segnalare che sono state infettate sia persone non vaccinate sia persone vaccinate, con due o più richiami per MPR o singolo vaccino antimorbillo.
Stessi fenomeni si sono registrati negli Stati Uniti d’America che, dal lontano 2000, erano stati dichiarato liberi dal morbillo e che invece registrano casi di morbillo sia in non vaccinati che in vaccinati. Così come in Corea, dichiarata libera dal morbillo nel 2014. Questi dati pongono interrogativi sia sull’effetto gregge (i non vaccinati in questo caso non sono stati protetti dal gregge vaccinato) sia sull’efficienza e sulla durata della protezione immunitaria offerta dal vaccino antimorbillo.
Al riguardo, esemplare è il caso della Repubblica Ceca, che ha introdotto la vaccinazione antimorbillosa nel 1969.
Uno studio recente mostra che solo la quota della popolazione ante-vaccinazione (con più di 50 anni di età) ha una presenza di anticorpi specifici (IgG) che riguarda praticamente tutte queste classi di età (>96%). Queste persone non vaccinate avevano incontrato l’agente infettivo, sia manifestando che non manifestando il quadro sintomatologico del morbillo, ma registrando tutte un’immunizzazione naturale, persistente nel tempo.
Le persone vaccinate invece, presentavano un’immunizzazione che oscilla tra il 61 e il 75%: quindi nei trentenni e quarantenni, vaccinati per il morbillo nell’infanzia, 3-4 persone su 10 non producono una risposta adeguata all’infezione. Insomma, anche il vaccino antimorbillo, con gli anni, tende a perdere la sua efficacia, come dimostra l’altro dato di questa ricerca relativo alla classe di età 18-29 anni che mostra sieropositività dell’81%, che poi viene perduta nel tempo. Questo fondamentalmente perché l’immunizzazione naturale, a differenza di quella indotta dal vaccino, causa una stimolazione immunitaria prolungata nel tempo, che consente al linfocita B di adattare il recettore con la massima affinità per l’antigene, selezionando una popolazione di cellule B memoria a lunga vita, capaci di rispondere in modo rapido ed efficace al successivo incontro con l’agente infettivo.
Sempre riguardo alla vaccinazione antimorbillo, segnaliamo un dato che meriterebbe una riflessione specifica: in tutti i focolai identificati in Europa e in USA, c’è sempre una quota di bambini infettati con meno di un anno di vita, un’età a rischio, in cui ancora non è raccomandata e praticata la vaccinazione antimorbillo. Il bambino, in questo periodo critico, può ricevere una protezione dalla madre che gli trasmette i suoi anticorpi antimorbillo. Il fatto è che le donne immunizzate naturalmente trasmettono una quantità di anticorpi nettamente superiore a quella delle donne vaccinate. La differenza della presenza di anticorpi anti morbillo, in bambini nati da madri che hanno subito il contagio rispetto ai nati dalle vaccinate, è netta e rintracciabile per lo meno fino all’età di 5 mesi. Quindi, donne che, nella loro infanzia, si sono vaccinate contro il morbillo potrebbero non trasmettere un’adeguata protezione anticorpale ai propri figli nel primo anno di vita, a differenza delle donne che hanno contratto un’immunizzazione naturale.
Infine, in aggiunta agli argomenti sopra indicati, occorre registrare che l’informazione che è stata data al pubblico e agli stessi operatori sanitari, sulle percentuali di copertura vaccinale necessarie per raggiungere il cosiddetto “effetto gregge”, è assolutamente parziale e quindi, sostanzialmente, non veritiera. Secondo fonti ufficiali (Organizzazione mondiale della sanità e Istituto Superiore di Sanità), le coperture vaccinali critiche per l’immunità di gregge sono altamente variabili: il fatidico 95% viene indicato solo per il morbillo. Come abbiamo già notato, questa soglia non garantisce in modo assoluto l’effetto gregge, ma è bene sapere che per la poliomielite, le istituzioni citate danno come copertura necessaria 80-86%; per la parotite 75-86%; per la rosolia 83-85%; per l’ Hemophilus infl. B il 70%.
Conclusione sulla legge
Pur scontando il fatto che, se attorno al bambino non immunizzato per un certo agente infettivo esistono numerose persone non immunizzate, la probabilità del bambino stesso di contrarre quell’infezione sono maggiori, da qui non si può trarre la conclusione dell’obbligo per 10 vaccini, che, da quanto argomentato, si mostra non solo inopportuna, ma anche infondata sul piano scientifico, poiché lo Stato può chiedere alla persona (o al suo tutore) la violazione della libertà individuale, riguardo alla propria salute, se dimostra che le misure obbligatorie servono a scongiurare un rischio collettivo riferito ai singoli vaccini proposti. Da quanto abbiamo scritto, è errato mettere tutti vaccini sullo stesso piano: alcuni di loro non producono alcun “effetto gregge”, altri conferiscono un’immunità che deperisce nel tempo.
Ma per proporre una strategia vaccinale all’altezza delle conoscenze attuali, occorre prendere in esame altre problematiche.
Problematiche relative ai vaccini e ai loro effetti immediati e di lungo periodo
Come abbiamo visto, il grado di efficacia dei vaccini è molto variabile, dobbiamo tenere presente altresì che nessun vaccino è mai completamente sicuro. È una verità elementare, che, se si nega, si fa offesa alla scienza e al buon senso e, al tempo stesso, non si convincono i refrattari alle vaccinazioni, che anzi dalla negazione dell’evidenza traggono maggior forza.
Gli effetti avversi delle vaccinazioni sono un dato di fatto. Le revisioni della letteratura più affidabili dimostrano che gli effetti avversi gravi ci sono e soprattutto che gli studi sulla sicurezza di vaccini come il trivalente MPR pre e post-marketing sono largamente inadeguati.
Anche in Italia, pur scontando un sistema di sorveglianza che è un eufemismo definire scarsamente efficiente, le segnalazioni all’AIFA di effetti avversi, successivi alle vaccinazioni, nel 2014 sono state 8.873, di cui una quota (con diverse centinaia di casi) classificata grave (con alcuni decessi). Secondo il Rapporto dell’AIFA, il vaccino Morbillo-Parotite-Rosolia (MPR) ha un tasso di segnalazioni di effetti avversi gravi tra i più alti: 201 su 100.000 dosi per un totale di 479 casi nello scorso anno, la cui quota maggioritaria spetta all’abbinamento del trivalente con il vaccino contro la varicella (MPR+V oppure MPRV). Tuttavia, anche l’esavalente ha un tasso elevato di segnalazioni gravi: 166 ogni 100.000.
Ora, a fronte di questi numeri, ci pare temerario escludere in modo categorico ogni correlazione causale con i vaccini, come fa l’AIFA nel Rapporto citato, anche in considerazione della scarsa propensione, soprattutto dei medici di riferimento, i pediatri, alla segnalazione, aggravata dall’ assenza di un sistema di sorveglianza strutturato, capillare e affidabile.
Tuttavia, ci preme segnalare un aspetto più di fondo, che è stato trascurato o banalizzato nel dibattito pubblico e che invece attiene alla salute della popolazione in tutte le fasce di età: gli effetti dei vaccini sul sistema immunitario del bambino.
I vaccini e il sistema immunitario infantile
Un paradosso dell’attuale scienza dei vaccini è che, mentre da un secolo ferve la ricerca farmacologica sui singoli prodotti, con innovazioni che danno risposte sempre più articolate e diversificate, l’oggetto di questi farmaci è sostanzialmente negletto: pochissimi e recenti sono gli studi sul sistema immunitario del bambino e sull’impatto che i vaccini hanno sul suo sviluppo.
Tutti concordano sul fatto che il sistema immunitario del neonato non è come quello dell’adulto e che, per raggiungere un assetto simile, deve attraversare un processo di maturazione non breve. Ma perché è diverso da quello dell’adulto? Dove stanno le principali criticità? Secondo studi molto recenti, la principale diversità non starebbe tanto nella composizione cellulare del sistema immunitario neonatale, quanto nel mantenimento dell’assetto precedente alla nascita, l’assetto fetale. In gravidanza, infatti, è essenziale che sia il sistema immunitario materno che quello fetale adottino una posizione di tolleranza reciproca, con il fine di mandare a compimento la gravidanza, che potrebbe essere compromessa da una iperreattività immunitaria verso antigeni non self costituiti da tessuti (madre-bambino) che sono geneticamente parzialmente diversi. A questo fine, oltre che in quello materno, anche nel sistema immunitario fetale abbondano le cellule regolatrici e cioè di moderazione della risposta immunitaria (T regolatori in primis, ma, a livello placentare, anche cellule della linea mieloide) e si struttura un particolare assetto dei linfociti T: depressione del circuito Th1 a favore del circuito Th2. Questo assetto fetale permane anche nei successivi mesi dopo la nascita. Ricordiamo che il circuito Th1 è molto infiammatorio ed è particolarmente efficace verso le infezioni virali, mentre il circuito Th2 è meno infiammatorio (soprattutto in presenza di un forte circuito regolatorio) ed è più attivo verso le infezioni batteriche.
Quindi, il sistema immunitario delle prime fasi della vita è naturalmente collocato sul Th2 e deve ancora maturare un efficiente circuito Th1. Che effetti hanno le vaccinazioni su questo assetto neonatale?
La letteratura scientifica ci dice che l’alluminio, l’adiuvante più utilizzato non solo nei vaccini per l’infanzia, ma anche per quelli dell’adolescente (come il vaccino contro il Papilloma Virus, HPV), ha un documentato effetto Th2.
A questi effetti di aggravamento dello squilibrio fisiologico neonatale, prodotti dall’alluminio, occorre aggiungere gli analoghi effetti del vaccino MPR, che, di per sé, ha un effetto di ritardo della maturazione del Th1 con persistenza del Th2.
Attualmente, pur con tutte le incertezze che sono parte integrante della scienza, che per l’appunto non è dogmatica, la comunità degli immunologi e dei ricercatori pediatri concorda nel relazionare l’iper-reattività del Th2 alla comparsa di allergie, sia di tipo respiratorio (asma, bronchiti, riniti) sia tipo cutaneo e gastrointestinale.
Squilibrio immunologico che può favorire l’insorgenza nel tempo anche di altre patologie a dominanza Th2, di tipo infettivo, autoimmune e neoplastico. In particolare, questi effetti negativi vengono amplificati in neonati pretermine, in quelli nati con un parto cesareo, nei non allattati al seno, che, in vario grado, presentano uno squilibrio del microbiota, anch’esso in formazione, che ormai sappiamo essere deciso nella costruzione di un sistema immunitario pienamente competente.
Per una buona politica di prevenzione primaria dentro cui prevedere un uso razionale ed efficiente delle vaccinazioni
I vaccini, nelle diversità di efficacia e protezione sopra delineata – che pertanto, a nostro avviso, richiedono una riformulazione dei programmi di loro utilizzo evitando la scorciatoia autoritaria dell’obbligo generalizzato – sono farmaci che possono essere di grande utilità, se collocati all’interno di un robusto quadro di politiche di prevenzione primaria applicate alle prime fasi della vita.
Quello che proponiamo è un salto su qualità nella prevenzione a partire dallo studio delle prime fasi della vita, sapendo che una serie di misure in gravidanza e dopo la nascita possono porre su nuove basi non solo la salute del bambino, ma anche la suscettibilità alle stesse infezioni, verso cui ad oggi non c’è protezione, tra cui non solo il morbillo (la cui vaccinazione è prevista non prima dei 12 mesi di età), ma anche il temibile Virus respiratorio sinciziale, causa di patologie respiratorie anche gravi del neonato e che ha come effetto un ulteriore squilibrio del sistema immunitario neonatale in senso Th2.
Il fumo in gravidanza e/o negli ambienti dove vive il neonato, la dieta infiammatoria della donna gravida e che allatta, l’uso di antibiotici in gravidanza, durante il parto e nel neonato, con conseguente disbiosi materna e infantile, il tipo di parto (se vaginale o cesareo), l’inquinamento dell’ambiente di vita, le condizioni di stress causate da incertezza e povertà economica della famiglia, sono tutti potenti fattori di alterazione del sistema immunitario infantile.
È illogico, sotto il profilo scientifico (ma forse logico per istituzioni troppo adese all’industria e alle corporazioni professionali), destinare somme ingenti al finanziamento di un inedito e iper-esteso obbligo vaccinale e non intervenire in modo organico sulla protezione della gravidanza, sulla promozione sistematica dell’allattamento al seno, sulla drastica riduzione dei parti cesarei (che in tutto l’Occidente riguardano circa un terzo delle nascite, con alcune regioni italiane, tra cui Campania, Sicilia e Lazio con percentuali ancora maggiori) anche mettendo in campo risoluti interventi restrittivi a livello del servizio sanitario nazionale, sul sostegno psicologico ed economico alla famiglia che ha avuto un bambino.
Vaccinazioni: conoscere e rispettare la diversità
Non solo i vaccini sono diversi tra loro in termini di utilità sociale, ma anche i bambini sono diversi tra loro, talvolta in modo rilevante.
La genetica e l’epigenetica ci dicono che ogni individuo è un essere peculiare e che questa peculiarità è di grande rilievo quando il nuovo essere si forma nel corso del tempo, prima e dopo la nascita. Del resto, la medicina più avanzata si sta orientando sulla personalizzazione della cura, che si gioverà dei progressi in campo genetico ed epigenetico. Di questo cambio di paradigma, che mette al centro la variabilità umana, dovrà tenere conto anche la politica vaccinale. Basti pensare alle nascite prima del tempo, che sono in crescita in tutto l’occidente. L’Italia sembra particolarmente colpita dal fenomeno, con oltre 40.000 bambini che ogni anno, secondo l’OMS, nascono prima della trentasettesima settimana di gestazione.
Il sistema immunitario e il microbiota di questi bambini, soprattutto se nati con un cesareo e non allattati al seno, sono particolarmente squilibrati in senso allergico e infiammatorio. Nei programmi vaccinali, non ha alcun senso scientifico trattare questi bambini prematuri come se fossero nati a tempo. L’effetto probabile delle vaccinazioni potrebbe essere quello di alterare ulteriormente il sistema immunitario. Da qui la necessità di programmi ad hoc per questi bambini che dovrebbero essere seguiti e studiati personalmente da un pediatra competente sull’assetto del sistema immunitario infantile e sugli effetti dell’ambiente e dei farmaci in soggetti prematuri.
Ma pensiamo che in linea generale ogni bambino andrebbe studiato adeguatamente dal proprio pediatra prima di essere inviato a un programma vaccinale, che dovrebbe tenere conto delle sue peculiarità e della sua storia clinica e di vita.
Ciò rimanda a politiche vaccinali flessibili e che ripensino inoltre l’uso delle formulazioni multiple, sia perché, come abbiamo argomentato, non tutti i vaccini hanno la stessa utilità sociale, sia perché non ci risultano studi controllati, che valutino gli effetti epigenetici della formulazione multipla sul sistema immunitario infantile. Per esempio, sappiamo che l’alluminio e alcuni vaccini hanno l’effetto epigenetico di demetilare i geni che comandano la produzione di cellule Th2, favorendone l’espansione. Che effetti epigenetici hanno 6 vaccini insieme, seguiti a breve da 4 vaccini insieme?
Sotto questo profilo, la “tesi” che non c’è alcun problema a somministrare diversi antigeni insieme, poiché il bambino ogni giorno incontra centinaia di antigeni senza danno, ci sembra non regga a un esame anche non troppo approfondito, poiché il solo buon senso ci consente di comprendere che gli antigeni multipli, che immettiamo con i vaccini, non sono banali, ma componenti di aggressivi agenti infettivi, che è alquanto irreale incontrare tutti insieme in natura. Il fatto è che nessuno fino ad ora, a nostra conoscenza, ha prodotto dati certi sugli effetti delle formulazioni multiple sul sistema immunitario del neonato e dell’infante.
Del resto anche il Parlamento ha previsto l’uso dei vaccini monodose reclamando, contro la granitica convinzione della Ministra della salute, la supremazia del legislatore sulle necessità produttive dell’industria.
Il tema dei rapporti delle Istituzioni pubbliche con le industrie produttrici di farmaci, che sta avvelenando la discussione sui vaccini e sulla farmacologia in generale, richiede una discussione più ampia, che in varie sedi come SIPNEI abbiamo affrontato e che affronteremo ancor più nel prossimo periodo. Restando al tema vaccinazioni, pensiamo che servirebbe molto alla scienza e alla ricostruzione di un rapporto di fiducia con ampie fasce della popolazione, l’istituzione di una Commissione di valutazione e controllo sui vaccini indipendente e cioè composta da ricercatori, scienziati ed esperti di politica sanitaria che non abbiano legami con l’industria e con le associazioni professionali, spesso molto adese all’industria. Una Commissione sul modello della Task Force statunitense che si occupa di valutazione delle politiche preventive (USTFP), senza legami con l’industria e con le corporazioni professionali.
Occorre cioè proteggere la società dalle infezioni, ma anche dagli interessi di parte.
In questo quadro, siamo contrari alle vaccinazioni obbligatorie (in linea con tutti i paesi europei più avanzati e da alcuni anni in Veneto, con ottimi risultati), bensì proponiamo una riorganizzazione delle politiche vaccinali, che a livello statale dovrebbe selezionare le priorità epidemiologiche e, a livello territoriale, dovrebbero avere come perno il pediatra, che ha in cura fin dalla nascita il bambino, che verrebbe inserito in finestre di opportunità vaccinale, anche utilizzando i vaccini monodose, in base alle caratteristiche del bambino. Del resto, i genitori dei bambini in età da vaccino, già si sono spontaneamente mossi in questo senso. Come ha documentato la USL 20 di Verona, in un contesto senza obbligo vaccinale come quello veneto, se si controlla la popolazione a 14 anni di età, si nota che, per la poliomielite, la copertura è al 95,51% e, per il morbillo, è al 94%.
Siamo convinti che una politica di promozione attiva, centrata sulla flessibilità dei programmi vaccinali, nel quadro di politiche di protezione della gravidanza e di promozione della salute dell’infanzia, permetterebbe un salto in avanti nella prevenzione primaria, da sempre trascurata nel nostro Paese, e porrebbe su basi nuove le relazioni tra cittadini e scienza e tra curati e curanti.
Il Consiglio direttivo nazionale della Società Italiana di Psiconeuroendocrinoimmunologia