La vicenda catalana rischia di avere ripercussioni importanti in Africa. Il tema secessionista è ormai sempre più spesso sollevato o invocato. Un parziale elenco conta già diversi casi potenziali, e altri vanno formandosi: il Sahara Occidentale, che non vuol sentirsi marocchino; Zanzibar, che lascerebbe volentieri la Tanzania; la parte anglofona del Camerun, in aperto contrasto con il governo di Yaoundé; la Casamance, che da decenni aspira a staccarsi dal Senegal; l’enclave petrolifera angolana di Cabinda, che farebbe a meno di Luanda; il caso del Biafra e della Nigeria, che cinquant’anni fa furono protagonisti della prima grande guerra africana dopo l’epoca di speranze della decolonizzazione. Senza dimenticare il Somaliland, che da molti anni chiede alla comunità internazionale di essere riconosciuto indipendente dalla Somalia.
Due precedenti
Un tempo, i confini africani erano intangibili: erano il lascito del sistema coloniale, ma soprattutto fotografavano gli equilibri usciti dalla Seconda guerra mondiale e la divisione del mondo tra i blocchi sovietico e occidentale. La prima modifica, non a caso, risale agli anni immediatamente successivi alla caduta del muro di Berlino: nel 1993, con un referendum l’Eritrea diventava il 53° Paese del continente. Ci sono voluti quasi vent’anni per registrare la nascita di un altro Paese, il Sud Sudan, che con il referendum del 2011 diveniva il 54° Paese africano.
In Eritrea e in Sud Sudan i referendum si sono svolti con il pieno appoggio della comunità internazionale, e in entrambi i Paesi, a differenza della Catalogna, ha votato una larghissima maggioranza della popolazione. Ovunque il sì all’indipendenza ha ottenuto consensi plebiscitari.
Nuovi protagonisti
I confini che credevamo granitici non lo sono affatto. Prima o poi altri Stati si sfalderanno. La previsione può apparire azzardata, ma il fatto è che l’equilibrio che ha prodotto i confini attuali è obsoleto e, in molti casi, non rispetta più equilibri e interessi attuali.
Un tempo l’Africa era semplice, praticamente spartita tra le due maggiori potenze coloniali, Francia e Gran Bretagna. Oggi, nell’arena degli “interessati” all’Africa c’è grande affollamento. Il caso della Cina è solo il più appariscente: un miliardo e trecento milioni di cinesi nello scorso trentennio hanno lavorato duro – senza diritti, con un costo del lavoro infimo, senza sindacati – per far diventare il Regno di Mezzo una Grande Potenza. Ora quelle moltitudini esigono un benessere di livello occidentale. La Cina è grande, ma non ha terra né risorse per tutti i suoi abitanti, ecco perché l’Africa è diventata la sua nuova frontiera. Pechino ha un bisogno assoluto di cibo, acqua, energia, risorse con le quali si costruisce il benessere.
Come la Cina ci sono svariati Paesi, e non solo economie emergenti asiatiche come Malaysia, Indonesia, India, ma anche tutti quelli senza terra sufficiente da cui ricavare le risorse cruciali: Corea del Sud (80 milioni di abitanti e un territorio come i due terzi dell’Italia), Brasile, Turchia, Russia… e soprattutto le potenze del mondo arabo, a cominciare dalle fortissime monarchie del Golfo (Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi, Bahrein).
Interessi esterni
Questa grande confusione e l’assenza di un equilibrio stabile sotto il cielo africano sarà nel futuro uno dei propellenti con i quali si metteranno in discussione confini e appartenenze. La Storia lo insegna: gli interessi economici e gli equilibri di potenza modellano il mondo, talvolta con grandi conflitti mondiali, talaltra con devastanti guerre locali. Da quella degli anni Novanta nei Balcani è uscita una nuova geografia europea.
In tale quadro, la Catalogna potrebbe diventare un precedente per quanti si metteranno su questa strada. Di solito le rivendicazioni di indipendenza si fondano su reali affermazioni locali di differenze culturali e linguistiche, ma su queste si innestano poi degli interessi esterni. Non è un caso che in Africa siano nate rivendicazioni di indipendenza nelle regioni più ricche, quali il Biafra oppure, nell’enorme e ricchissima Rd Congo, il Katanga o il Kasai. Quei confini congelati che hanno caratterizzato l’Africa moderna potrebbero essere rimodellati o, meglio, adattati ai tempi. C’è da scommetterci: tra cinquant’anni la carta del continente sarà assai diversa da quella attuale.
Raffaele Masto, “Africa”.