“Contrordine, compagni!”, avrebbe sarcasticamente chiosato il grande Giovannino Guareschi. Ve lo ricordate l’accordo di Malta sull’immigrazione siglato lunedì? E soprattutto ve la ricordate la grancassa politica e mediatica – a testate quasi unificate – sul presunto successo del nuovo governo italiano? Giusto a titolo di veloce ripasso, ecco l’esultanza sfrenata di Giuseppe Conte, forse un omonimo del premier che aveva governato fianco a fianco con la Lega per 14 mesi: “Abbiamo fatto più a Malta in un giorno che Salvini in un anno. Se non si litiga, si ottiene. Parigi e Berlino aprono, un tempo era impensabile. Provocarli non pagava”.
E la neo ministro Luciana Lamorgese? Euforica pure lei: “Ora l’Italia non è più sola”. Stentoreo Nicola Zingaretti: “Salvini cavalca o inventa i problemi, noi li risolviamo”. In versione triumphans anche Dario Franceschini: “Ora è più facile capire che le minacce di Salvini all’UE hanno prodotto solo danni, mentre l’azione politica e la credibilità di questo governo hanno portato a un accordo vero per la redistribuzione dei migranti”. E poi Repubblica: “L’Europa s’è desta”; “Prima lezione al saivinismo”, catoneggiava un fiammeggiante Claudio Tito. “Migranti, primo patto europeo”, aggiungeva il Corriere.
E via – un po’ dappertutto – con melassa e zucchero in abbondanza: il ministro degli Interni tedesco Horst Seehofer descritto come un amicone, il francese Christophe Castaner come un parente stretto. Sparito il cattivo Salvini, ci si raccontava, i cugini francesi e tedeschi non aspettavano altro che venire in soccorso dell’amatissima Italia.
Purtroppo, sono bastate appena 36-48 ore affinché la cortina fumogena si diradasse, e apparisse la triste verità: solo due (piccoli) elementi positivi e per il resto una maxi fregatura, praticamente un buco con la fuffa intorno. Primo elemento positivo: l’accordo riguarderebbe non solo chi ha effettivamente diritto all’asilo, ma anche i migranti che si limitano a presentare la relativa domanda. Secondo elemento positivo: queste domande sarebbero esaminate anche dagli altri Paesi firmatari, non solo da noi. Fin qui, bene. Male tutto il resto, però. Al punto da rendere quasi ridicola l’esultanza che abbiamo ricapitolato poco fa. Per almeno sei ragioni.
Primo: l’accordo è temporaneo (“temporary arrangement”). Secondo: è su base volontaria, e non c’è modo di forzare i Paesi UE ad aderirvi. Terzo: riguarda i migranti presi in carico dalle navi ONG (il 9% circa di quelli arrivati quest’anno in Italia: tutti gli altri restano a carico nostro). Quarto: i migranti soccorsi da navi statali saranno sempre sbarcati nello Stato di bandiera (immaginate dove). Quinto (come spiegava ieri Francesco Borgonovo): se aderissero anche Grecia e Spagna, dovremmo farci carico pure delle loro quote, esponenzialmente cresciute nelle ultime due estati. Sesto: la sperimentazione dura sei mesi, ma se in questo semestre i numeri dovessero crescere troppo (“substantially rise”), ci sarebbero consultazioni tra i Paesi firmatari, e nel frattempo l’intero meccanismo potrebbe essere sospeso. È la ragione per cui – senza pietà verso l’Italia e i nostri governanti che ancora brindavano – la stampa francese (Le Figaro in testa) dal primo giorno definiva l’accordo “revocable”. Morale della favola: l’Italia resta il super-hotspot verso cui tutti i flussi sono indirizzati, e poi si vedrà, nei limiti della magnanimità altrui. E soprattutto: con un meccanismo del genere, i trafficanti di esseri umani rischiano di essere incoraggiati e incentivati – anziché sironcati – nel loro orribile business. Davanti a questi elementi fattuali, anche un bambino sarebbe stato cauto, diversamente dai nostri eroi Pd-M5S.
In più, per sovrammercato, nelle ultime ore è arrivata (sempre da Parigi: e da dove, se no?) un’ulteriore mazzata per mano del solito Emmanuel Macron, che si conferma il più accogliente di tutti: ma solo con i porti degli altri. Che ha detto l’inquilino dell’Eliseo, lo stesso che una settimana sì e una no ci fa la predica, intervistato da Europe 1? Che “la Francia non può accogliere tutti: non dobbiamo essere un Paese che attrae troppo”. E per chi non avesse capito l’antifona, lunedì prossimo inizia al parlamento francese il Grand Débat proprio sull’immigrazione. Immaginate se, dopo la scoppola rimediata alle Europee da Macron, e con Marine Le Pen che ogni giorno gli spara addosso a palle incatenate, il presidente francese vorrà apparire tenero. L’opinione pubblica è inferocita: i due terzi dei francesi pensano che molti immigrati non si vogliano integrare (e quasi la stessa percentuale dichiara di non sentirsi più a casa propria). Non a caso, come La Verità vi ha raccontato per prima, circa una settimana fa, incontrando i parlamentari del suo partito, Macron ha anticipato loro che intende indurire la linea sui migranti, e che non basta il voto borghese, ma serve il consenso dei ceti popolari (ormai in fuga da lui).
È sufficiente fare due più due, e capire che, quando l’8 ottobre i partner europei si vedranno sottoporre le paginette redatte a Malta, non sarà solo il gruppo di Visegrad ad alzare il sopracciglio, ma tutti – pressoché senza eccezioni – risponderanno in primo luogo alla propria opinione pubblica nazionale, che chiede ovunque rigore. Inutile aspettarsi regali e carezze. Italia avvisata, purtroppo.
Daniele Capezzone, “La Verità”.