La costruzione delle piramidi, il sito neolitico dei megaliti di Stonehenge, la scomparsa della civiltà di Atlantide, sono alcuni degli enigmi più indecifrabili ma seducenti della storia, a cavallo tra dati concreti e reali accompagnati da una montagna di miti, leggende ed elementi tanto suggestivi quanto azzardati e fantasiosi. Altrettanto affascinante è l’oscura genesi del popolo basco, ancor oggi incerta e da indagare tra le fitte nebbie degli albori del genere umano.
La criptica origine di questo popolo, ufficialmente sconosciuta, è avvolta da un vero e proprio mistero: esistono pertanto svariate teorie, accompagnate da numerose leggende, ma nessuna è riuscita a stabilire con certezza la reale provenienza del gruppo etnico. Questo fatto, già di per sé, ha da sempre contribuito ad alimentare il fascino e la curiosità per questa popolazione, che appare veramente come una realtà “altra” non solo all’interno del contesto nazionale spagnolo, ma anche nel panorama continentale. Numerosi studiosi, archeologi ed etnografi ma anche giornalisti o semplici appassionati dell’ignoto, si sono sfidati nella ricerca della verità, elaborando e proponendo soluzioni più o meno strutturate e plausibili, per provare a svelare l’arcano. Tutta questa attenzione mediatica nei confronti degli abitanti di Euskal Herria non ha fatto altro che incrementare l’interesse della gente per questo particolarissimo e unico caso di studio storico ed antropologico.
Tante teorie dalla differente natura
Le teorie sviluppate per spiegare la nascita dell’etnia basca sono numerose, e vanno da quella più tradizionale preistorica che li vede originari dell’Età della Pietra e autoctoni nell’area dei Pirenei occidentali, a quella che li definisce diretti eredi degli iberi, passando per la versione mitica che li vedrebbe discendere da Aitor, il primo uomo basco; o quelle espansive che presuppongono collegamenti con linguaggi di popoli lontani quali tribù nord-africane, genti caucasiche o persino etnie native americane; fino a quella misteriosofica che individuerebbe proprio nei baschi i discendenti dei superstiti abitanti di Atlantide, l’isola inabissatasi in tempi remoti senza lasciare apparenti tracce.
Spesso alcune di queste teorie sono correlate o vengono perfino combinate da alcuni studiosi in modo da far combaciare diversi elementi e provare a dare una spiegazione, solamente in determinati casi razionale, alle numerose sfaccettature del problema. Per trovare una risposta soddisfacente all’enigma sono stati prodotti notevoli sforzi tradotti, come detto, in molteplici ipotesi di lavoro, più o meno accreditate. Lo studioso francese di origini basche Philippe Veyrin le ha raggruppate in tre grandi blocchi tematici generali: teorie di natura teologica, metafisica e scientifica.
Tra le ipotesi raggruppabili nell’area teologica, sviluppate prevalentemente verso la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, una delle più note è quella che identifica il basco nel linguaggio originario parlato prima della frammentazione linguistica imposta da Dio durante la costruzione della Torre di Babele, conferendo alla popolazione basca una connotazione mitologica di popolo “primordiale”, assoluto protagonista dell’inizio della storia dell’umanità. La lingua basca sarebbe dunque stata quella parlata dai più antichi uomini sulla Terra, prima che un gruppo di costoro iniziasse il tracotante progetto di costruire una torre tanto alta da giungere fino ai cieli e costringesse Dio a opporsi alla sua realizzazione, introducendo una vasta gamma di linguaggi differenti per evitare che i lavoratori della torre potessero comunicare tra loro e terminarne l’edificazione. Questa teoria fu sostenuta e approfondita dall’abate Diharce de Bidassouet il quale contribuì alla sua diffusione con un lavoro etimologico decisamente fantasioso, fondato sulla convinzione che il termine Gu-iz-puzk-ko-ak (antico nome in euskera dell’attuale provincia basco-spagnola di Guipuzcoa e uno dei sette territori storici di Euskal Herria) simboleggiasse e significasse “quelli il cui linguaggio fu spezzato”, facendo riferimento al celebre episodio biblico appena descritto. Manuel de Larramendi, che scrisse il primo libro di grammatica basca, attribuì invece all’euskera un posto tra le sessantacinque lingue che derivarono dalla caduta della Torre di Babele dopo la frammentazione.
Dopo la loro diffusione, per qualche decennio queste suggestive credenze furono considerate seriamente: il sacerdote gipuzkoano Erroa elaborò addirittura un’istanza che presentò al Collegio di ecclesiastici della Cattedrale di Pamplona, il quale, dopo mesi di delibere, sembrò accettare la sua stravagante soluzione, ovvero che l’euskera fosse l’idioma parlato nel Giardino dell’Eden. Tutte queste teorie di natura teologica si basano su presupposti bislacchi, ma lasciano emergere chiaramente come l’origine del popolo basco sia strettamente correlata con l’altrettanto misteriosa origine della lingua basca, l’euskera, anch’essa ancora sconosciuta.
Nel corso del XIX e del XX secolo sono state elaborate altre teorie formulate su ipotesi più concrete, incentrate su caratteri scientifici: nessuna di queste tuttavia ha permesso di giungere ad una verità oggettiva scientificamente provata, svelando il mistero che avvolge questa particolare popolazione.
Discendenti degli “uomini della pietra”
La teoria che ha riscosso i maggiori consensi sostiene che i baschi siano i diretti discendenti dell’Uomo di Cro-Magnon, che si stabilì nel nord della penisola iberica circa 40.000 anni fa e si sarebbe evoluto in loco nel corso di migliaia di anni. Più tardi infatti fece la comparsa nella regione un gruppo etnico che, secondo le più accreditate tesi antro pologiche, può essere considerato il progenitore delle popolazioni basche, un gruppo umano denominato pirenaico-occidentale che abitava appunto questo territorio fin dal neolitico nel 3000 a.C. e sarebbe stato l’evoluzione locale dell’Uomo di Cro-Magnon.
Senza entrare in discussioni dettagliate, possiamo dire, con José Miguel de Barandiaràn, il padre della preistoria e dell’etnologia basche, che le caratteristiche fisiche che contrassegnano il tipo fisico attuale dei baschi, sono le stesse che compaiono negli uomini del neolitico e dell’eneolitico che abitavano i Pirenei centro-occidentali, il che induce a pensare che l’uomo basco abitava in quell’epoca gli stessi luoghi che oggi occupa… Tutto fa pensare che gli attuali baschi siano discendenti di quegli uomini, che sono il risultato di un’evoluzione nettamente indigena e locale dei Cro-Magnon. 1)
Rodney Gallop nel 1930 seguì l’ipotesi proposta da Bosch Gimpera il quale, notando una successione lineare che portava dagli abitanti paleolitici della regione ai moderni baschi, formulò la sua idea basandosi su somiglianze fisiche. I resti ritrovati in diverse grotte nell’area del Paese Basco presenterebbero infatti notevoli somiglianze cranio-facciali con i baschi moderni. I baschi sarebbero quindi l’amalgama di queste tribù di popoli primitivi e da considerarsi autoctoni, in quanto il loro insediamento risale alla preistoria, periodo antecedente a quello delle altre popolazioni della regione. Accettando questa tesi, si può affermare che il gruppo etno-linguistico basco sia il più antico di tutto il continente europeo: le sue caratteristiche linguistiche, perdurate fino ai giorni nostri, conserverebbero ancora l’antica origine pre-indoeuropea. Successivamente il gruppo entrò in contatto con le popolazioni indoeuropee insediatesi in Europa e nella Penisola iberica. I progenitori dei baschi subirono l’influenza degli iberi (da cui appresero l’uso del bronzo), dei celti (dai quali impararono la tecnica del ferro) ed entrarono in contatto con i greci e i fenici, ma non furono mai assimilati da nessuna di queste popolazioni. Cominciò invece a delinearsi una situazione di resistenza culturale di questo popolo pre-indoeuropeo che ha permesso la conservazione e la trasmissione di numerosi caratteri culturali peculiari, tra cui su tutti l’euskera.
Questa soluzione proposta spiegherebbe dunque l’unicità dell’elemento linguistico che, nonostante alcune contaminazioni, è riuscito a resistere nella sua interezza e unità all’assorbimento culturale di popoli stranieri, così come la stessa etnia basca. L’euskera appare oggi come un idioma unico nel suo genere per forma e struttura, profondamente differente da tutti gli altri linguaggi diffusi nel continente europeo: per questa ragione si è affermato come il più importante e caratteristico tratto distintivo dell’intera popolazione.
Oltre ad argomentazioni storiche, antropologiche e strettamente fenotipiche, vi sono anche altre fondate motivazioni scientifico-genetiche che supportano la tesi dei baschi come “pronipoti” degli uomini della pietra: parliamo soprattutto di dna. Tra i baschi infatti è stata riscontrata un’altissima concentrazione di individui con gruppo sanguigno 0, tra le più alte al mondo. In particolare la percentuale più elevata si trova in Iparralde nella Provincia di Sola (79%), ma in generale risulta elevatissima anche in tutta Hegoalde (71,7%), ed è altrettanto significativo che il gruppo sanguigno B sia praticamente inesistente. 2) Complessivamente, i rilevamenti effettuati in tutta Euskal Herria hanno dato i seguenti risultati genetici: l’allele 0 è presente dal 70 al 75% tra la popolazione, l’allele A tra il 20 e il 25% e il B tra lo 0 e il 3%. È altresì importante che tra la popolazione basca vi sia la più alta concentrazione terrestre di individui con fattore Rh negativo, percentuale che oltrepassa il doppio della media mondiale. I motivi di queste peculiarità genetiche sono proprio da ricercare nel rapporto di discendenza diretta con i cromagnoidi (poiché altre popolazioni evolutesi dall’Uomo di Cro-Magnon presentano numerosi individui di gruppo 0, anche se in percentuali non elevatissime come i baschi): questo fatto costituisce un’ulteriore prova della possibile origine preistorica di questo popolo.
Secondo Bertrand Petit e Francesc Calafell, antropologi dell’Università di Barcellona, la differenziazione genetica basca si è originata circa 18.000 anni fa, durante il periodo più freddo dell’ultima glaciazione. La spiegazione della resistenza nel corso dei secoli di questa particolarità è da attribuirsi alla notevole chiusura della società basca nei confronti dell’esterno, nonché alla tendenza a evitare l’esogamia, preferendo invece matrimoni con persone appartenenti al proprio gruppo etnico. Tuttavia questo discorso non è applicabile alla realtà degli ultimi secoli che ha visto la cultura e la società basche in continua evoluzione e apertura verso l’esterno. Oggi, nell’èra della globalizzazione, la mescolanza genetica tra baschi, spagnoli e altri gruppi è un fenomeno all’ordine del giorno.
La tesi basco-iberista
Secondo la “teoria preistorica” appena descritta, gli antenati dei baschi entrarono in contatto solamente con gli iberi, popolazione originaria dell’Africa settentrionale che era emigrata in Europa e occupava la parte meridionale della penisola iberica, instaurando rapporti di “vicinato” senza scambio. I baschi sarebbero stati influenzati dagli iberi (assimilando probabilmente parte del loro linguaggio), ma erano comunque distinti da essi.
Altre ipotesi, in particolare quella denominata basco-iberista, vedono invece gli iberi profondamente legati al mistero basco: esse ipotizzano che i baschi siano i diretti discendenti degli iberi, tra i primi popoli ad aver abitato la regione spagnola. I baschi sarebbero così l’unica popolazione iberica sopravvissuta e le prove a sostegno di questo si possono riscontrare nelle numerose affinità tra l’antico idioma parlato da questa popolazione e l’euskera. L’interpretazione dello studioso Garibay venne condivisa anche dal tedesco Wilhelm Von Humboldt (1767-1835), fratello maggiore del più noto geografo Alexander, che per primo la tradusse in un’opera scientifica nel 1821 intitolata Villaggi primitivi di Spagna e lingua basca. Una leggera variante è rappresentata dall’associazione di baschi e cantabri, popolazione che riuscì a resistere all’invasione romana, circostanza che spiegherebbe meglio il perdurare dei diversi caratteri della cultura basca, in quanto rimasti estranei alla contaminazione.
Le teorie che in generale fanno riferimento alla pista iberista sono strettamente connesse con le medesime che riguardano la genesi dell’euskera. In campo linguistico l’ipotesi basco-iberista, per decenni ritenuta una delle più valide, era basata principalmente su analisi toponomastiche: accanto a somiglianze lessicali, fonetiche e strutturali esistono infatti anche numerose similitudini nei nomi di località. Nel corso degli anni tuttavia questa tesi ha perso valore in quanto le presunte affinità sono state spiegate come il frutto di una possibile parentela culturale oppure semplicemente il prodotto della convivenza di due popoli vicini con inevitabili scambi e prestiti, circostanze che non implicano però necessariamente una diretta derivazione idiomatica né tanto meno etnica.
I legami con il Caucaso
Un’altra variante della principale ipotesi basco-iberista, sostenuta da diversi archeologi delle migrazioni, coinvolge in primo piano la regione del Caucaso: sarebbe stato individuato un consistente gruppo iberico a forte componente basca, o di baschi a forte componente iberica, stanziato nei Pirenei occidentali intorno all’anno 1025 a.C. Un periodo di forte siccità causata dall’intensa attività vulcanica nell’area dell’attuale Provincia di Girona portò la dispersione delle popolazioni del luogo che migrarono verso oriente fino al Caucaso, dove fondarono diverse città e diedero il nome di Iberia (caucasica o orientale) alla regione. Dopo la fine del periodo di siccità alcuni gruppi avrebbero fatto ritorno ai luoghi di origine, mentre la maggioranza sarebbe rimasta nella nuova terra. Questa ipotesi fornirebbe una spiegazione all’esistenza di toponimi baschi nel Caucaso e l’apparente provenienza caucasica – citata anche in altre teorie – dei baschi.
Accanto a questa che deriva dalla questione degli iberi, vi è un’altra soluzione non completamente distante che vede il Caucaso come assoluto protagonista: la differenza sta nell’assunto che i baschi sarebbero – sorprendentemente – indoeuropei. Per spiegare infatti la notevole presenza di toponimi baschi nell’area caucasica, si parte da questa considerazione decisamente controcorrente: i baschi sarebbero emigrati raggiungendo l’Europa occidentale trentamila anni fa spargendosi su buona parte del territorio continentale e vivendo isolati in piccoli gruppi. Esisterebbe quindi una notevole affinità e una parentela molto stretta tra aquitani, guasconi e cantabri; e l’euskera, prima parlato su un territorio molto più vasto rispetto all’attuale, sarebbe scomparso nella maggior parte delle zone in seguito alla progressiva commistione di questi gruppi con altre popolazioni e con i loro linguaggi. Vi sarebbero stati stretti rapporti anche con altri popoli iberici confinanti, e il popolo basco, mescolatosi con essi e loro unico superstite, rappresenterebbe solamente un’appendice del gruppo originario iberico.
Sulla scia delle ultime considerazioni ancora una volta si inserisce a pennello il discorso filo-linguistico, in quanto un’ipotesi che sta riscuotendo discreto successo negli ultimi anni è quella che stabilisce proprio una relazione tra il basco e le lingue caucasiche. Il primo a individuare il possibile collegamento era stato A. Trombetti, che nel 1925 aveva pubblicato Le origini della lingua basca. Anche qui, somiglianze lessicali e coincidenze etimologiche riguardanti soprattutto alcuni termini di origine primitiva nell’àmbito dell’agricoltura e dell’allevamento, mentre mancano invece corrispondenze in parole più moderne: è possibile quindi che esistesse una lingua proto-basca e i suoi parlanti abbiano lasciato le aree caucasiche prima che cominciasse il neolitico e si sviluppasse la cultura dei metalli e in particolare del ferro. Inoltre sono state evidenziate anche somiglianze di tipo strutturale nella costruzione del verbo e nell’articolazione della frase. È stata dunque ipotizzata l’esistenza di un primitivo gruppo idiomatico basco-caucasico che costituirebbe il nucleo originario di un altrettanto ipotetico gruppo di lingue dene-caucasiche con il basco al suo interno.
Antonio Tovar sosteneva invece che l’euskera e le altre lingue caucasiche rappresentassero isole di un antico continente linguistico euroasiatico che successivamente aveva subìto l’invasione indoeuropea. Secondo Tovar in seguito alla migrazione indoeuropea sopravvissero solo alcune lingue, tra cui il basco e alcuni idiomi caucasici, che conserverebbero quindi strutture similari che si ricollegano a un substrato primitivo comune. L’euskera rappresenterebbe l’ultimo residuato di questa antica famiglia: tuttavia la principale difficoltà nello stabilire una relazione concreta e certa tra basco e idiomi caucasici è determinata dalla mancanza di unità tra le differenti lingue caucasiche, che arrivano a formare ben 22 idiomi diversi. Anche quest’ultima tuttavia è solamente una mera ipotesi, più concreta di altre, che però non è riuscita a dipanare in modo esaustivo e definitivo il quesito storico.
Popoli e mondi lontani: tra mitologia e suggestioni eccentriche
Le affinità con gli iberi hanno spinto altri studiosi a cercare legami tra i baschi e altre popolazioni: ne sono nate diverse teorie, spesso molto fantasiose, fondate su presunte somiglianze ancora una volta fisiche o linguistiche, sul loro collegamento con tribù nordafricane, celti, fenici, egizi, ma anche finnici e ungheresi e addirittura con i nativi americani. Collegamenti tra l’origine dei baschi e il coinvolgimento di popoli del Nordafrica sono stati fatti esclusivamente per sottili motivazioni di carattere linguistico. È stata infatti sostenuta, peraltro senza troppa convinzione, un’eventuale parentela dell’euskera con lingue camitico-semitiche dell’Africa settentrionale: anche in questo caso vi sono somiglianze lessicali con i dialetti berberi del Sahara occidentale, tuttavia questa ipotesi non è suffragata da prove certe ed evidenti, ma dimostra solamente l’esistenza di qualche parziale analogia.
Altri ancor più deboli dettagli linguistici hanno portato a ipotizzare legami con i popoli finnici e gli ungheresi. Questa situazione è spiegabile con il fatto che il finlandese, l’estone e l’ungherese, come il basco, non appartengono al ceppo indoeuropeo e appaiono come piccole macchie di colore diverso in un mare compatto rappresentato dalla carta linguistica europea. In realtà questi tre idiomi, tra loro imparentati e sviluppatesi dopo la migrazione indoeuropea, appartengono al gruppo ugro-finnico che, insieme a quello samoiedo, costituisce la più ampia famiglia linguistica uralica. Ma il fatto di non appartenere all’enorme contenitore indoeuropeo non implica di fatto un’altrettanta correlazione con l’euskera o con la genesi del popolo di Euskal Herria.
Un’ultima ipotesi di matrice linguistica riguarda la connessione con popolazioni nativo-americane: Severino Vater per primo accennò ad analogie tra euskera e lingue parlate dagli amerindi, che avrebbe in qualche modo dovuto presuppore un’arcaica quanto piuttosto fantasiosa origine comune. Questa tesi non risulta pertanto suffragata da alcuna prova valida.
Giungiamo così alle ipotesi più “esoteriche”, che risultano sicuramente affascinanti ma palesemente inverosimili. La prima riguarda una leggenda assai importante dal punto di vista folklorico secondo la quale i baschi discenderebbero dal primo mitico uomo basco, Aitor, figura creata nel XIX secolo dallo scrittore originario di Sola, Augustin Chaho. Aitor, primo padre del popolo basco, era a sua volta diretto discendente di Tubal, patriarca biblico e primo abitante della penisola iberica, quinto figlio di Jafet, uno dei tre figli di Noè. Tubal, giunto in Spagna risalendo le acque del fiume Ebro, sarebbe approdato in territorio basco dove sarebbe rimasto insieme al suo equipaggio, completamente incantato dalla bellezza dei paesaggi locali: l’intera spedizione avrebbe così deciso di fermarsi per sempre in questi incantevoli luoghi.
Ma la teoria più spinta, tanto seducente quanto improbabile, vede il coinvolgimento della già citata isola perduta di Atlantide. A fare da fragile base a questa impalcatura vi sarebbe anche in questo caso il fattore genetico, lo stesso che ironicamente supporta quella che risulta oggi l’ipotesi più accreditata, ovvero i baschi discendenti dell’uomo preistorico. La mitica terra descritta nei celebri dialoghi Timeo e Crizia dal filosofo greco Platone nel IV sec. a.C., culla di un’antica quanto enormemente sviluppata e ricca civiltà, sarebbe sprofondata negli abissi in un giorno e una notte. Il filosofo aveva ripreso il racconto di Solone il quale aveva a sua volta udito la storia, databile circa novemila anni prima, in Egitto. A prescindere dalla veridicità del racconto, probabilmente descritto in forma mitologica per illustrare idee politiche, stiamo comunque parlando di epoche antichissime delle quali non si possono avere informazioni precise: nonostante le più svariate ricerche e teorie (che hanno ipotizzato l’isola sommersa nel Mediterraneo, nell’Atlantico e addirittura nel Pacifico, o l’hanno identificata con Santorini, le Azzorre, svariate isole caraibiche, l’Antartide e la Sardegna), nessuno ha mai scoperto né tanto meno provato l’iniziale collocazione geografica.
Ma cosa hanno dunque a che fare i baschi e la loro peculiarità genetica con l’isola descritta da Platone? Secondo questa teoria, la nutrita presenza di individui con gruppo sanguigno 0 e fattore Rh negativo sarebbe da ricondurre a una possibile origine atlantidea: i baschi, insieme ad altri gruppi etnici, sarebbero i discendenti dei pochi sopravvissuti al cataclisma che avrebbe inghiottito l’intera isola-continente nell’oceano. È stato infatti verificato che una serie di popolazioni costiere lontane tra loro, con diversi gradi di intensità, presenterebbero questa eccezionalità genetica, spiegata con un’origine comune, quella di Atlantide. Oltre ai baschi stiamo parlando dei berberi dell’Atlante marocchino, gruppi costieri stanziati in Galles, Scozia, Irlanda e Olanda, abitanti delle Canarie e alcune tribù di nativi americani. Queste popolazioni, ora tutte localizzate lungo o nei pressi delle coste dell’Atlantico, sarebbero quindi i superstiti e i discendenti degli abitanti di Atlantide. Inoltre il fattore Rhesus viene considerato una sorta di punto di partenza della storia ematica dell’umanità, un’anomalia che troverebbe quindi spiegazione come caratteristica propria, secondo la versione mitologica, dei superuomini atlantidei. I baschi, grazie alla loro unione e al loro stretto isolamento, avrebbero mantenuto per secoli queste peculiarità genetiche con le quantità di Rh negativo più elevate.
È infine curioso notare come in diverse zone dei territori di questi gruppi citati siano stati rinvenuti i resti o, in alcuni casi siano ancora interamente presenti, particolari siti megaliti: un’altra suggestione di una poco probabile origine collettiva. Questa teoria è infatti molto azzardata se non completamente irrazionale, ma certamente ricca di fascino.
Quale verità?
Le teorie sulla misteriosa origine del popolo basco sono numerose, alcune molto fantasiose o lacunose, altre invece presentano prove che riescono a spiegare determinati aspetti e circostanze ma non a chiarire del tutto la vicenda: nessuno è riuscito pertanto a giungere a una solida verità scientifica. Sicuramente la teoria che presenta maggiori riscontri ed evidenze, la più accreditata dagli studiosi, è quella sull’origine “autoctona” del popolo basco, i cui componenti sarebbero i discendenti dell’uomo di Cro-Magnon e successivamente dei primi gruppi che abitavano i Pirenei occidentali. I baschi non sarebbero quindi indoeuropei, così come non lo è l’euskera, e sarebbero riusciti a resistere per secoli alle invasioni di altri popoli senza mai esserne assorbiti completamente, preservando i caratteri peculiari della loro cultura, tra cui su tutti quello linguistico: l’euskera viene dunque ritenuto un idioma autoctono dei Pirenei occidentali e classificato come uno dei rari casi di lingua-isola, senza legami accertati con nessun’altra.
Gli stessi romani non assimilarono i baschi, ma lasciarono loro una discreta autonomia all’interno dell’impero in cambio di aiuto militare. I baschi hanno comunque subìto in parte la loro influenza, tanto da inserire all’interno del loro complesso universo mitologico alcune divinità appartenenti al pantheon romano. È eccezionale come questo fiero popolo non sia mai capitolato sotto i colpi di avversari generalmente meglio equipaggiati: celti e romani prima, franchi, visigoti e arabi successivamente, hanno tentato di conquistare il territorio basco, in alcuni casi sono arrivati a controllarne alcune parti ma senza mai avere la forza di dominarli completamente. I baschi dal loro canto sono stati da costoro in parte influenzati ma mai corrotti nelle loro tradizioni e credenze, cementando secolo dopo secolo il legame con la propria terra. Per questo possono essere considerati una popolazione superstite dei tempi più arcaici che si è ancorata sempre più attorno al proprio nucleo storico, generando quella nuova entità autocosciente che è ora Euskal Herria.
Nel frattempo i tentativi di comprendere definitivamente le loro origini non cesseranno, tra piste più concrete e assoluti viaggi di fantasia: probabilmente mai si giungerà a una verità storica ma, oltre allo straordinario fascino evocato dall’enigmatica genesi, il caso basco continuerà a intrigare i più proprio per l’assoluta consapevolezza di trovarsi di fronte a una singolare eccezionalità, a un popolo immortale anche nell’attaccamento ai suoi valori cardine.
N O T E
1) De La Fuente e Origlia.
2) Con il termine Iparralde si fa oggi riferimento alle tre province francesi di Labort, Baja Navarra e Sola, appartenenti al Dipartimento dei Pirenei Atlantici nella regione dell’Aquitania, che costituiscono i territori baschi francesi o Paese Basco francese (o settentrionale). Con Hegoalde si fa invece riferimento alle tre province della Comunidad Autonoma Vasca (Alava, Vizcaya e Guipuzcoa) e la Comunidad Foral de Navarra che formano i territori baschi spagnoli o Paese Basco spagnolo (o meridionale). L’insieme di Hegoalde e Iparralde (le cui sette province coincidono con i sette herrialdeak, storici territori baschi) compongono Euskal Herria, il Paese Basco.
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