Quella di innescare conflitti interni tra formazioni politiche appartenenti comunque allo stesso popolo è un classico da manuale delle guerre a bassa (in questo caso molto relativamente “bassa”) intensità. Basti pensare ai tentativi operati in Sudafrica dal regime di Pretoria per armare una contro l’altra formazioni politiche come l’ANC e il PAC, entrambe espressione della lotta contro l’apartheid.
Nel Kurdistan del Sud, in territorio amministrativamente iracheno, il 5 giugno scorso cinque combattenti del PDK (peshmerga) venivano uccisi e almeno altri quattro feriti per l’esplosione del loro veicolo blindato sul monte Metina (Dohouk).
A caldo, il PDK aveva accusato le HPG, le forze armate del PKK, dell’attacco mortale. Da parte loro le HPG rigettavano tale versione chiedendo la costituzione di una commissione indipendente di esperti per indagare sul tragico evento.
La smentita è poi venuta da una fonte insospettabile, il comandante dei peshmerga in persona. Qadir Khorani ha dichiarato che il veicolo era stato colpito da una attacco aereo, aggiungendo che si trattava di “un attacco pianificato”. Lo scopo sarebbe stato di “provocare una guerra tra i curdi [ossia tra il PDK e il PKK] per innescare un genocidio curdo e distruggere il Kurdistan”. Più chiaro e lucido di così!
Per Qadir Khorani, esperto militare e attualmente a capo del ministero dei peshmerga, “il veicolo è stato bombardato da aerei F-16 (in dotazione alla Turchia) o da droni armati”. Questo almeno si leggeva sulla sua pagina Facebook (messaggio in seguito scomparso). Egli spiegava anche di aver spesso viaggiato a sua volta in un veicolo blindato e che si tratta di mezzi “solidi e robusti” – sui rottami del veicolo “non ci sono tracce di pallottole” – ed escludeva anche l’impiego di un lanciagranate.
Inoltre, stando al racconto dei sopravvissuti “non c’era stato alcun combattimento e l’attacco era venuto dal cielo”. Anche alcune foto confermerebbero che il veicolo è stato colpito da F-16 o da un aereo senza pilota.