Le operazioni di genocidio della Turchia nei confronti del popolo curdo non sono certo né di oggi, né di ieri; ma sicuramente dalla metà del 2015 hanno avuto un’impennata. Ora l’opinione pubblica sembra accorgersi di quanto avviene in Rojava, nel Nord della Siria, ma aveva ignorato quasi del tutto gli analoghi massacri in Bakur e Bashur, rispettivamente il Kurdistan “turco” e quello “iracheno”, iniziati – o meglio ripresi – appunto nel luglio 2015.
Quella che potevamo considerare una sorta di “tregua” o almeno un attimo di respiro concesso alla popolazione curda sotto amministrazione turca nei primi anni del XXI secolo, sfumò da un giorno all’altro quando nel giugno 2015 i curdi si rifiutarono di votare Erdogan e il suo progetto autoritario. Votarono invece per il partito HDP che promuoveva alcuni diritti basilari, come un sistema scolastico in lingua curda, l’autogoverno a livello locale, la rinascita della cultura locale.
Dal luglio 2015, come ritorsione, le forze armata turche posero sotto assedio molte città curde e rasero al suolo interi quartieri (come il centro storico di Dijarbakir, la Guernika curda). Oltre a centinaia di vittime civili, la guerra di Ankara causò la partenza di un milione e mezzo di sfollati.
Si calcola che soltanto a Cizre circa 140 curdi siano stati bruciati vivi nelle cantine (febbraio 2016).
E non solo in Bakur. Nella regione di Qandil (Bashur, Kurdistan “iracheno”) dove la Turchia occupa illegalmente una ventina di basi militari, sia i civili sia i guerriglieri del PKK vengono sistematicamente bombardati, da terra e dall’aria. Nelle mire di Ankara soprattutto la regione di Shengal, abitata da yazidi, e quella petrolifera di Mosul-Kirkuk. Regioni su cui rivendica inesistenti diritti in quanto nel passato erano state occupate dall’impero ottomano.
Mentre nel 2018 era toccato al cantone curdo di Afrin di venire invaso, adesso è la volta del Rojava. Qui Ankara sembra voler completare (con il benevolo sostegno di Washington e Mosca e – si ritiene – la muta soddisfazione di Teheran) l’operato criminale di Daesh: esecuzioni extragiudiziali, stupri, torture.
Non per niente da quando, in ottobre, è stata invasa e occupata la regione di Tal Abyad, altri 300mila curdi hanno dovuto lasciare le loro case.
La prossima sarà Kobane? Per ora sono state le donne del vicino villaggio di Jinwar (“Il villaggio delle donne libere”) a scegliere di allontanarsi prima dell’arrivo delle milizie jihadiste al servizio di Ankara.