L’attentato del 22 maggio in un mercato all’aperto di Urumqi, capoluogo della regione autonoma nord-occidentale dello Xinjiang, è l’ultimo di una serie di attacchi a obiettivi sensibili portati dai movimenti separatisti di etnia uighura sul territorio cinese. Il bilancio della giornata parla di 31 morti nella serie di esplosioni che si sono sviluppate nel luogo dove si tenevano le attività del mercato, e di 94 feriti. Il governo cinese non ha ancora attribuito ufficialmente ad alcuna sigla separatista la responsabilità delle esplosioni di oggi, ma lo Xinjiang, l’area piu’ irrequieta della Cina, è da tempo sotto la sorveglianza del governo, che fatica a mantenere la stabilità nella regione. Lo scorso anno, negli scontri etnici tra uighuri, di fede musulmana e di lingua turcofona, e han, l’etnia maggioritaria in Cina, si cono stati almeno 110 morti, 72 dei quali nella sola area di Kahgar, nel sud-ovest dello Xinjiang, dove si concentra un forte popolazione uighura: Kahsgar è uno dei poli che il governo centrale sta cercando di ammodernare, trasformandolo in un hub commerciale che funga da ponte con l’Asia centrale e meridionale, a scapito della città antica, di forte impronta uighura. Di recente, per contrastare il terrorismo che si è fatto sentire anche al di fuori dei confini dello Xinjiang, il governo ha dato il via a controlli serrati e spiegamenti di forze speciali nelle principali città della Cina e nella stessa capitale, Pechino. Agi China 24 ha tracciato una cronologia degli ultimi attentati che hanno sconvolto lo Xinjiang e la Cina, e che hanno riportato di prepotenza nel vocabolario della politica cinese i “tre mali” , come li definisce Pechino, del terrorismo del separatismo e dell’estremismo. L’attentato al mercato all’aperto di Urumqi arriva a poche ore dagli appelli del presidente cinese Xi Jinping all’unità tra i Paesi asiatici per sconfiggere il terrorismo pronunciati ieri a Shanghai durante un summit sulla sicurezza in Asia.
28 ottobre 2013 – Verso mezzogiorno, ora locale, un Suv con a bordo tre persone di etnia uighura − un uomo di nome Usmen Hasan, con la moglie e la madre − travolge la folla di passanti su piazza Tian’anmen a Pechino, cuore storico e politico della capitale cinese, e termina la corsa schiantandosi contro le barriere della Città Proibita, prendendo fuoco. Muoiono cinque persone, tra cui le tre a bordo del Suv, che secondo successive indagini si sarebbero cosparse di benzina prima di salire sull’auto. Altre quaranta persone rimangono ferite. A quarantotto ore dall’attentato, vengono arrestati otto sospettati, tutti di etnia uighura, per coinvolgimento nell’attentato. Pechino attribuisce la responsabilità dell’attacco kamikaze di piazza Tian’anmen alla sigla separatista ETIM − East Turkestan Islmic Movement − che rivendica l’indipendenza dello Xinjiang come Turkestan Orientale. In un tweet comparso sull’account Twitter ufficiale di CCTV, emergono ulteriori dettagli riguardo all’attentato, la cui realizzazione sarebbe costata, in totale, poco meno di cinquemila euro e avrebbe coinvolto otto persone, arrivate a Pechino dalla città di Hotan, nello Xinjiang, alcune settimane prima. Nell’abitazione usata come nascondiglio, sul versante ovest della capitale, sono stati ritrovati coltelli e circa 400 litri di carburante.
25 novembre 2013 – L’attentato in piazza Tian’anmen viene rivendicato dal gruppo separatista TIP, Turkestan Islmic Party, altro nome con cui viene definito l’ETIM. In un video diffuso dalla società di intelligence SITE, il leader del movimento, Abdullah Mansour, definisce il gesto come una “operazione jihadista”. Le dimensioni del TIP e il numero di membri rimangono incerte. Inserito dagli Stati Uniti nella lista nera delle organizzazioni terroristiche da tenere sotto sorveglianza, nel 2002, era stato successivamente depennato.
Nel messaggio contenuto nel video, Mansour minaccia la realizzazione di altri attentati.
27 gennaio – 14 febbraio 2014 – Tre esplosioni in un a località di frontiera con il Kirghizistan prendono di mira popolari luoghi di ritrovo di una cittadina, Xinhe. Principale responsabile degli attacchi un cittadini di etnia uighura, di nome Ibrahim Qahar. Nelle esplosioni e nel successivo scontro a fuoco con le forze dell’ordine perdono la vita dodici persone.
Poche ore prima, altri undici cittadini uighuri erano morti, dopo uno scontro a fuoco con le guardie di frontiera kirghise, mentre cercavano di attraversare il confine con la Cina. Fonti ufficiali di Bishkek hanno attribuito al gruppo alcuni attentati dinamitardi in una zona a nord-est del Paese, dove vive una piccola minoranza di etnia uighura. Pochi giorni dopo, il 14 febbraio, in un altro attacco con le forze dell’ordine, nella cittadina di Aksu, sempre vicino al confine con il Kirghizistan, muoiono undici persone e altre quattro rimangono ferite dopo un attacco portato ad alcune auto della polizia.
1 marzo 2014 – Un gruppo di uomini armati di lunghi coltelli entra nella stazione di Kunming, capoluogo della provincia meridionale cinese dello Yunnan, e uccide 29 persone prima dell’internvento delle forze dell’ordine, che nello scontro a fuco con gli attentatori, ne uccidono quattro. Altri quattro, tutti di etnia uighura, secondo quanto riferito dalla polizia locale, verranno successivamente arrestati. A capo del gruppo che ha commesso l’attentato, le forze dell’ordine riconoscono un uomo di nome Abdurehim Kurban. Si tratta del piu’ grande attentato di un gruppo separatista dello Xinjiang al di fuori della regione autonoma, a circa quattromila chilometri dal capoluogo Urumqi. Anche in questo caso, un video diffuso dalla SITE, mostra Abdullah Mansour che elogia gli attentatori, senza pero’ rivendicare apertamente il gesto. “Se i combattenti del Turkestan Orientale stanno combattendo con spade, coltelli e mazze – dice Mansour nel video – il nostro caro Allah ci darà l’opportunità di combattere i cinesi usando armi automatiche”. Sempre a marzo scorso, da una località del Pakistan, dove vive in questo momento, Mansour ha poi rilasciato un’intervista esclusiva all’agenzia Reuters in cui dichiarava che combattere i cinesi era un suo “dovere sacro” e che la Cina “non è solo nostra nemica, ma di tutti i musulmani”.
30 aprile 2014 – A poche ore dalla fine della visita del presidente cinese Xi Jinping nello Xinjiang, un esplosione e un attacco a colpi di coltello nella stazione di Urumqi provocano la morte di tre persone, tra cui due degli attentatori, e altri 79 feriti. Principale sospettato dell’attentato è un uomo di 39 anni, Sedirdin Sawut. Sabato scorso, durante un blitz della polizia di Urumqi, sono state arrestate sette persone in relazione all’attentato alla stazione, tra cui due fratelli, la moglie e il cugino dello stesso Sawut. Settimana scorsa, il governo di Pechino aveva deciso di inviare una squadra di trenta agenti speciali per l’addestramento delle forze dell’ordine locali, sulle modalità di risposta agli attentati terroristici. Il Ministero della Pubblica Sicurezza ha poi aumentato le misure di sicurezza nelle maggiori città della Cina: A Pechino, sono stati inviati 150 gruppi di agenti delle squadre anti-terrorismo, per un totale di 1300 agenti paramilitari con il compito di sorvegliare le aree di maggiore traffico e segnalare tempestivamente i casi o gli individui sospetti.
6 maggio 2014 – Un uomo armato di un coltello ferisce sei persone nella stazione di Canton, capoluogo della provincia sud-orientale cinese del Guangdong. Principale sospettato dell’attacco un uomo solo. Un altro uomo, che stava attaccando la folla è stato invece affrontato da un lavoratore migrante che vive a Canton, che lo ha disarmato e consegnato alle forze dell’ordine. L’uomo, Wang Fengwu, proveniente dalla provincia settentrionale del Gansu, ha poi ricevuto una ricompensa di cinquemila yuan (circa seicento euro) da una fondazione che fa capo alla municipalità di Canton.
22 maggio 2014 – Due veicoli irrompono in un’area dove si tiene un mercato all’aperto nella città di Urumqi, poco prima delle otto del mattino, ora locale, e provocano circa una dozzina di esplosioni, con materiale esplosivo fuoriuscito dalle vetture. Una delle due auto esplode. Il bilancio dell’attentato è di 31 morti e 94 feriti. Il presidente cinese Xi Jinping chiede alle forze dell’ordine locali il massimo impegno nella risoluzione del caso e offre le condoglianze del governo alle famiglie delle vittime. Il Ministero della Pubblica Sicurezza invia una delegazione a Urumqi, capeggiata dallo stesso ministro, Guo Shengkun, per coordinare i soccorsi.
Si tratta del secondo attacco terroristico nel capoluogo regionale dello Xinjiang in meno di un mese.
Fonte: AGI