Un saggio straordinariamente approfondito e sugli aspetti storici, musicologici e tecnici delle danze elleniche, sia nel loro complesso, sia nelle numerosissime varianti regionali.

Prima di affrontare e illustrare nei suoi particolari il mondo moderno e contemporaneo della danza tradizionale in Grecia, non sarà ozioso soffermarci brevemente su alcuni parametri generali che propedeuticamente ne definiscono l’essenziale formazione e formalizzazione fissandone gli organismi vitali, le funzioni costitutive e la loro entità spaziale e temporale.
Il popolo greco può certamente essere annoverato tra i popoli più inclini alla pratica della danza, addirittura quello presso cui la danza sembra costituisca per così dire una vera e propria dote genetica, danza intesa quasi come liberatoria complessione di movimenti del corpo e degli arti espressi nell’impulso di opportune sollecitazioni ritmico-musicali. La specificante particolarità della danza in Grecia sta nel fatto che la medesima consiste in una manifestazione a carattere prevalentemente collettivo entro la quale svanisce, o meglio, automaticamente si elide e quasi mai ha modo di emergere, qualsiasi pretesa di individualità e individualismo. Pertanto, nei precisi termini di tale ambito funzionale l’uomo greco può esprimere, nella comunanza della gestualità e della concorrenza orchestica, il proprio mondo interiore in una interpretazione autentica di sentimenti e sensazioni.
Detto pertanto della “collettività” della danza, viene spontaneo il riferimento a ricorrenze nelle quali la molteplicità dei partecipanti risponde alla prescrizione di una assoluta consuetudine, in tal modo traducendo e avverando il fine e il significato della manifestazione stessa. Si allude ovviamente alle danze di Carnevale, alle feste danzanti della Pasqua, alle danze nuziali, ai balli nelle sagre paesane, eccetera.
D’altra parte, nel contesto di festeggiamenti dell’usanza storica popolare, la danza è collegata (o almeno lo era sino alla fine del XIX secolo) a tipiche cerimonie propiziatorie, teleturgiche o anatematiche, come per provocare la pioggia, per scongiurare la siccità, per favorire la fecondità della terra, per auspicare l’abbondanza di frutti, eccetera. 1)
L’elemento discriminante della danza è pertanto il poter vivere di propria vita, essere eseguita isolata e continuare a mantenere la propria valenza nel complesso dei gesti e dei movimenti che la caratterizzano e la interpretano. 2)
Entro tale prospettiva le danze fondamentali nella Grecia moderna sono il Kalamatianòs, il Sirtòs, il Tsàmikos, il Balos, la Susta, il Chassàpikos, il Pendosàlis, il Singathistòs, il Kangheli, danze, queste, nazionali e regionali locali; e, giova aggiungere, danze del patrimonio popolare tradizionale non raramente risalenti a originarie invenzioni antiche o bizantine.

La forma coreutica

S’è dianzi ricordata la maniera collettiva di espressione della danza in Grecia, un aspetto della tipologia della danza stessa che, pur non interferendo nella dinamica della medesima, ne definisce nondimeno il sostrato e i contenuti antropologici.
La più frequente posizione dei danzatori nelle danze greche è quella a circolo aperto, un partecipante accanto all’altro, con la possibilità che il corifeo si trovi a capo del circolo o a chiusura di esso. Per lo più tutti i danzatori, dal primo all’ultimo, eseguono la medesima successione di passi. Accade però delle volte che a danzare sia solo il primo, il corifeo, o i primi due, mentre tutti gli altri seguono semplicemente con una serie ripetitiva di passi ritmici sino al termine della musica. Così, il corifeo può dimostrare tutta la sua valentia e fantasia e le sue conoscenze attraverso varie sequenze di passi complicati, difficili o acrobatici secondo l’estro del momento.
Una seconda forma di danza è quella a circolo chiuso: non vi è nessun corifeo e la danza ha luogo intorno a un punto centrale prefissato. Nei villaggi càpita che il circolo dei danzatori sia così ampio da circondare addirittura la chiesa, ovviamente di modeste dimensioni. È un tipo di danza, questo, non molto praticata, è vero, pur essendo esteticamente e nella pratica davvero impressionante quando il numero dei danzatori è notevole e il circolo, talora, anche di due o tre file parallele, esprime un senso di grandiosità e forza umana.
La danza può essere eseguita a coppie, diverse, e talvolta molte coppie che però non costituiscono separate unità, ma formano un unico autonomo complesso nel quale tuttavia ciascuna di esse possiede ed esplica una totale indipendenza di movimento, gesti e passi rispetto alle altre, improvvisando figure nella libertà dell’immaginazione.
Infine, la danza può essere interpretata anche da un solo danzatore, quindi danza individuale nella quale il soggetto ha la possibilità, anzi si direbbe anche il dovere, di svolgere disparate varianti sia come rapidità di movimenti che come varietà nei gesti. Si tratta di eccezioni che confermano la regola della collettività delle danze.
Dopodiché va comunque opportunamente ricordato che nell’ambito delle forme di danza or ora passate in rassegna, in linea generale nessuna discriminante esiste al giorno d’oggi circa posizioni, priorità, diritti, obblighi tra danzatori uomini e danzatrici donne. E ove si consideri, come già segnalato, che in Grecia la maggior parte delle danze possiede carattere e vocazione collettivi, la commistione tra donne e uomini nella medesima manifestazione non è minimamente soggetta a norme o predisposizioni o pregiudiziali.
Tuttavia non era così fino ai primi del XX secolo e più addietro, quando ben fissate gerarchie – naturalmente imposte e “codificate” dagli uomini pro domo sua – di sesso e di stato, sociale e anagrafico, vigevano senza possibilità di deroga: così erano gli uomini ad aprire la danza, ai quali seguivano le donne sposate e i parenti più anziani, e solo dopo poteva essere la volta delle donne giovani e di quelle non sposate.

La musica nella danza

Le danze tradizionali non possono che avere una musica tradizionale espressa sia da un organico strumentale, sia dalla voce umana, sia dalla combinazione delle due produzioni.
Vi sono musiche conosciute ed eseguite in un ampio spazio territoriale, anche regionale e perfino nazionale; altre invece sono limitate a una validità locale, cittadina o di villaggio. In quest’ultima categoria, notevole è la varietà di canzoni che presentano le distinte comunità di popolazioni: canzoni per il fidanzamento, per il matrimonio, per la Pasqua, per il Natale, per altre festività maggiori…
Storicamente il più antico modo di accompagnamento della danza era quello unicamente vocale, a opera degli stessi danzatori. Concerti del genere avevano luogo principalmente in luoghi chiusi, circoscritti. Al contrario, danze con accompagnamento strumentale si tenevano all’aperto, di solito nella piazza del paese o nelle strade o sul sagrato di una chiesa o durante una sagra campestre o, infine – e in circostanze più strettamente familiari – nelle aie. Naturalmente insieme con gli strumenti musicali nulla vietava che si aggiungesse anche la voce di uno o più cantanti.
Considerevole è la molteplicità delle combinazioni strumentali a sostegno della danza. Due di queste posseggono il privilegio della maggior frequenza: la zighià (ζυγιά) 3) e la kompanìa (κομπανία). 4)
La prima consiste nell’accoppiamento di uno strumento ritmico con uno melodico. A seconda della regione, può essere il daùli (νταούλι), il tamburo con il zurnàs (ζουρνάς), una specie di clarinetto (Macedonia); o il dacharè (νταχαρέ), un grosso tamburello con la lira (λύρα), una specie di piccolo violino che si suona tenuto verticale sul ginocchio (ugualmente in Macedonia); oppure il lagùto (λαγούτο), specie di liuto con la lira (a Creta e nel Dodecanneso). La formazione zighià s’incontra in prevalenza nelle isole e nelle regioni che stanno sul mare. Nella Grecia continentale invece la struttura strumentale più frequente è la kompanìa, sia nel suo organico classico (clarinetto, violino, sandùri – una specie di cetra – e lagùto), sia in diverse altre varianti, sempre comunque aventi quale strumento principale il clarinetto.
A questi strumenti non raramente si aggiungono, utilizzati anche come solisti, la gàida (γκάιντα), la tsabuna (τσαμπούνα), entrambe simili alla cornamusa, il kemenzès (κεμεντζές), un tipo di piccolo violino a tre corde, assai simile alla lira, utilizzato in prevalenza da musicisti del Ponto (la lira è invece tipica di Creta) e l’akkordeòn (ακκορντεόν), la fisarmonica. 5)
Quanto agli strumentisti, sono solitamente anche i fabbricanti dei loro strumenti. Peraltro, sono membri della comunità entro la quale nascono e vivono.
Per concludere, non si può parlare di danza e musica senza coinvolgervi gli spettatori che assistono, i quali, oltre a essere i fruitori dell’evento musicale, ne sono sempre anche attori, trasformando l’attività della danza in un fenomeno di collettiva comunione dello spettacolo, che in tal modo eleva il proprio tasso d’intensità accrescendo di gran lunga il clima di ricreazione.

La danza nel tempo

È naturale, anzi è indubitabile, che in un Paese nel corso dei secoli si sia formato un plesso di consuetudini corèutiche variamente ricco e testimoniale: consuetudini legate a fattori sociali, territoriali, sentimentali, climatici, ambientali, psicologici, storici.
Non poche danze greche, così come trasmesse e attualmente in atto nelle tradizionali forme eseguite da complessi artistici professionali, sembra che riflettano, talora con estrema eloquenza, analoghe danze di epoche antiche come sono rappresentate su vasi, pitture murali, statuette e affreschi. Per esempio, il moderno Sirtòs (συρτός) 6)6 coincide sorprendentemente con la tipica, costituzionale danza antica del συρτός χορός, danza sirtòs, sulla base della forma e formazione ciclica nella quale il cerchio, cioè la linea di sviluppo circolare, chiusa o aperta, costituisce l’intuitiva rappresentazione del movimento della vita in sé conchiusa epperò disserrata all’esterno macrocosmico creato.
Al I sec. d.C. appartiene un’epigrafe di Epaminonda facente riferimento alla danza sirtòs choròs: “con devozione compì le grandi patrie processioni e la patria danza sirtòs”. 7) Ma forse la più nota e “viva” raffigurazione del sirtòs s’incontra nella descrizione murale di una “danza a catena” trovata in una tomba ellenica del 400 a.C. a Ruvo di Puglia, ora presso il Museo Nazionale di Napoli; mentre ancor più risalendo nel tempo s’incontra un complesso di statuette, rinvenuto a Paleòkastro di Iraklion a Creta e datato circa nel 1600 a.C., in cui delle danzatrici eseguono una danza nella quale le stesse si muovono con le braccia aperte e posate una sulla spalla dell’altra, in una posizione che ha tutta l’aria di essere un vero e proprio classico sirtòs.
E non sarebbe forse azzardato ribadire che, se non tutte (purtroppo non si posseggono sufficienti e del tutto convincenti elementi al riguardo), almeno una buona parte delle attuali danze popolari neogreche risalgono all’antichità, tra il periodo classico e quello ellenistico e in parte immediatamente bizantino. È quanto si può desumere con una accettabile, ragionevole approssimazione considerando sia la posizione statica sia l’insito movimento che ne traspare nelle opere pittoriche o scultoree antiche sinora venute alla luce, pur col beneficio d’inventario del fatto che si tratta solo di istantanee del gesto motorio nel marmo o nel disegno, senza la cognizione delle figure corèutiche precedenti e seguenti a tale momento. Peraltro – va detto – i movimenti che precederebbero e seguirebbero quello fermato nell’opera d’arte non potrebbero fondamentalmente essere molto diversi da quelli dell’odierna sequenza della danza, nella quale i gesti seguono una naturale concatenazione senza iati e fratture di mosse, cosa che è ugualmente presumibile avvenisse nella rappresentazione antica.

grecia danze tradizionali
La Tomba delle Danzatrici, a Ruvo di Puglia, è di fattura iapigia ma si ispira alla mitologia greca: le nove fanciulle ateniesi raffigurate festeggiano, danzando, la liberazione dal labirinto del Minotauro.

Le danze tradizionali della Grecia moderna

Per molti versi è assodato che l’evoluzione delle danze tradizionali è andata di pari passo con lo sviluppo e la consistenza del tessuto sociale di base. È sempre stato del tutto spontaneo e naturale che, nel corso dei tempi e secondo le situazioni storiche, la struttura sociale abbia conformato le condizioni culturali necessarie e idonee alla formazione, manutenzione ed espressione delle più diverse formulazioni di danza in una diacronica funzionalità e condotta.
I più significativi comportamenti delle tradizionali danze, in Grecia come ovunque, sono strettamente collegati con i comportamenti e le reazioni sociali delle varie epoche. Così, in Grecia, si può dire con la massima certezza che le danze hanno attraversato sino a oggi, subendo piccole o rilevanti modificazioni o indirizzi, gli sviluppi e le contingenze di cinque distinte stagioni storiche: il periodo greco antico, quello romano, il periodo bizantino, quello dell’occupazione turca e l’attuale periodo moderno dal 1850 in poi. Ove si calcolino le generazioni che ne hanno tramandato la forma e il contenuto, non si può non mettere in rilievo la molteplicità di un’esperienza storico-culturale che le danze portano con sé ed esprimono, oltre che ovviamente il significato della memoria che conservano nella varietà delle loro successive sopravvivenze ed evoluzioni.
In questo senso e contesto le danze tradizionali sono state definite storiche 8) in quanto direttamente proporzionate con gli eventi storici che ne hanno scandito il corso creativo. Alla storicità di queste danze si aggiunge il contenuto comunicativo che le stesse emanano nel loro manifestarsi, così da porre in essere un vero e proprio sentimento di identità regionale e nazionale presso la popolazione che le recepisce o le evolve e se ne fa interprete.
Entro simile cornice le danze tradizionali costituiscono certamente un incontrovertibile elemento di coesione, particolarmente attivo nell’ambito della cosiddetta Grecità (Ρωμιοσύνη) e sopra tutto nei periodi in cui più insistente è l’oppressione straniera e più sensibile la mancanza di libertà. Così in Grecia la danza popolare s’è sempre posta sin dall’inizio come punto d’incontro del sentimento artistico della società con le istanze libertarie nella lotta per l’indipendenza, almeno dal XVII secolo in poi.
Tutto ciò considerato, emerge l’esistenza di una caratteristica che permette una seconda definizione delle danze tradizionali greche moderne: esse sono, cioè, anche nazionali, nutrici della coscienza collettiva nel tempo e pertanto diacroniche, forza e cemento connettivo di sopravvivenza in una condizione di emergenza senza visibili limiti terminali. E infine altresì “sfogo” di una vitalità culturale e razziale per molti aspetti compressa e sminuita, se non disprezzata.
In un altro ordine di idee, perfino in ambito ecclesiastico, dopo la persecuzione e l’eliminazione delle danze nei primi secoli dell’èra cristiana, 9) per alcuni specifici cerimoniali della liturgia ortodossa viene lentamente reintrodotta, in epoca bizantina, qualche forma più o meno stilizzata di danza, sia quale memoria di antiche e addirittura bibliche figurazioni orchestiche 10) (vedi la danza circolare intorno al tavolo dei serti nuziali nell’intonazione del salmo “Danza Isaia” durante la celebrazione del matrimonio, e la danza pure circolare intorno al fonte battesimale nell’intonazione del canto “Quanti battezzati in Cristo” nel corso della cerimonia del battesimo), sia come tipicizzata adozione di danze pudiche popolari sopra tutto nella comunità monastica di Ajon Oros (Monte Santo – Monte Athos) nella penisola della Calcidica (la danza Sirtòs nel monastero di Mejìsti Lavra, la danza Kalamatianòs nel monastero Grigorìu, la danza Tsàmikos nel monastero Ivìron, la Danza della sciàbica 11) nel monastero Kutlumussìu). 12)
Tutto ciò comunque non significa che in epoca bizantina le danze tramandate nella “versione” espressa negli ultimi secoli dell’impero romano d’occidente non abbiano incontrato una sempre crescente avversità e spesso una vera e propria ostilità, per lo più concretata in divieti assoluti e non indifferenti pene, in particolare le danze guerresche (i vari Pirrichi), ormai decaduti spettacoli volgari e licenziosi tanto da essere definitivamente aboliti nell’esercito per ordine dell’imperatore Leone VI il Saggio (sec. IX-X).
Non così invece per le danze puramente popolari, danze eseguite entro i canoni della decenza e nella loro funzione di sano divertimento durante le più svariate manifestazioni sociali: nozze, festività personali o pubbliche, simposi, partenze per la guerra, anniversari della città, Giornata dell’Impero, inaugurazione di chiese, festeggiamenti per una vittoria. 13) Naturalmente, data la loro natura, le danze più amate e praticate erano quelle circolari come appunto il Sirtòs, il Jèranos, il Mandil, oltre che il Chassàpikos, con la sua ben distinta, del tutto originale morfologia, in origine creato in seno alla corporazione dei macellai (χασάπηδες – chassàpides) a Costantinopoli: tutte danze che vengono eseguite ancora nei giorni nostri.

La danza nei tempi recenti

La tradizione dei balli popolari in Grecia si è mantenuta e si è sviluppata in maniera più capillare e, per così dire, compensativa proprio rispetto alla perduta libertà nel periodo dell’occupazione ottomana, dal XV al XIX secolo.
In sostanza, attraverso e nelle forme della danza popolare nelle sue varie diramazioni espressive, si pone e si consolida l’elemento protestatario e oppositivo avverso la pesante presenza straniera, così che la danza stessa diventa coscienza rivoluzionaria ed estrinsecazione dell’indomabile spirito guerriero, spirito di lotta a oltranza, dell’uomo greco (in realtà di tutto il ceto popolare nelle sue diverse stratificazioni sociali) nei confronti dell’invasore.
In questa esaltazione della Grecità risaltano di singolare luce le leggendarie e mitiche caratterizzazioni che i Pontiaci, gli abitanti del Ponto (nome della vasta regione nel nord della Turchia bagnata dall’attuale Mar Nero, nell’antichità chiamato Πόντος (Εύξινος), in greco, e Pontus, in latino), nel conservare intatta la loto entità e discendenza ellenica, le loro tradizioni e il loro antichissimo linguaggio, riservano al popolo, o meglio alla stirpe, degli Elleni: questi sono υπερέλληνεν, τραντέλλενοι, δρακέλλενοι, metafore per dire “superelleni”, ”grandelleni”, Elleni al massimo coefficiente. 14)
Questo fattore fondamentale di grandezza storica, spirituale e psichica ma anche fisica dell’essere greco trova modo e fertile terreno per rifulgere negli anni della rivoluzione contro l’oppressore turco. E la danza esplica un ruolo forse unico nella storia non solo europea, ma fors’anche mondiale: riverbera nei movimenti delle mani e del corpo il reattivo comportamento di resistenza dell’uomo greco vessato e perseguitato fino alla morte dall’abusivo e allodosso occupante.
Così l’eroismo nella vita e lo spregio della morte diventano i punti cruciali di molte canzoni demotiche e delle danze che le accompagnano (completano) e ne concretano il significato testuale. Un eroismo che si fa vissuto e sublime sacrificio sull’altare della libertà, come quello delle donne di Suli nel 1803 e di Nàussa nel 1822, che preferiscono, insieme ai loro figli, piombare nel precipizio e morire piuttosto che cadere in mano dei turchi; fornendo poi l’ispirazione alla creazione delle due danze, divenute storiche, rispettivamente il Zàlongos e la Makrinìtsa che le donne dell’olocausto e dell’eroismo danzarono, e danzando si lanciarono nel vuoto.15) Davvero scene di indicibile tragicità e grandezza.
È noto che il periodo moderno della storia della cultura neogreca si colloca sotto il segno dell’occupazione ottomana, sia pure nella sua fase finale degli ultimi 90 anni, dal 1821 al 1912.
È comunque nei precedenti tre secoli e mezzo di turcocrazia che vengono a porsi le basi iniziali di una produzione popolare (tradizionale) incentrata nell’insopprimibile sentimento di opposizione, rivolta, ostilità dell’elemento autoctono contro l’invadente incombenza e imposizione turco-musulmana.
Si constata pertanto nelle canzoni e nelle danze popolari una spontanea tendenza a esprimere una, altrimenti improponibile, insurrezionalità insieme a una costante celebrazione del valore ρωμέικος nell’orizzonte di una generalizzazione di condotte collettive.
Entro tale prospettiva va collocata in particolare anche la nascita e la formazione della danza cretese Pendosalis (πεντοζάλις) durante la rivolta dell’isola contro i turchi nel 1770, la quinta rivolta a essere tentata, donde il termine πέντο, da πέντε=cinque, il che si spiega ugualmente nell’espressione πέμπτο ζάλο, dove ζάλο=passo, quindi quinto passo, cinque passi, che nella danza si moltiplicano per due diventando 10 passi insieme a 12 svolte in onore dei dodici capi della rivolta. 16) E il Pendosalis è appunto una danza con una fortissima connotazione militare e virile.
Sempre nello spirito guerriero del rivoltoso sono note altre danze ispirate ad avvenimenti di felice memoria o luttuosi. Tra di esse famosa è la danza chiamata Kanghelleftòs (καγκελλευτός), eseguita a Ierissòs in Calcidica il terzo giorno di Pasqua in onore dei greci giustiziati nel luglio 1821 perché si erano rifiutati di passare sotto un arco di sottomissione formato dalle spade di due soldati turchi; un’altra è quella che va sotto il nome di Smaìlogos (σμαήλογος) a Dotsikò per ricordare la vittoria militare degli abitanti di quella città contro i turchi di Ismail Agà. 17)
Oltre alle canzoni kleftike, riferite ai kleftes, inizialmente squadre di ladri e rapinatori greci poi trasformatisi in combattenti per la libertà contro il dominio turco, vi sono certamente anche le danze kleftike, aventi un carattere militaresco, spregiudicato e maschio, che i kleftes solevano eseguire prima o dopo gli scontri con le truppe ottomane. 18) Tra queste è nota la danza Kleftes di Àgrafa, esempio di danza di esemplare valenza sociale.
In ultima analisi, non si può disconoscere il fatto o fenomeno, se si preferisce, che durante l’epoca di occupazione turca le danze popolari, accostate alle canzoni demotiche, consentirono alle popolazioni greche sottomesse di mantenere e rinvigorire il sentimento della patria elladica e la forza di coesione per resistere e perseverare nella ribellione.
L’Ottocento è l’epoca storica dell’eroismo ellenico contro l’invasore allodosso turco, ed è appunto nell’Ottocento che le danze popolari acquisiscono a livello panellenico il principale e determinante carattere di unificante coscienza nazionale e patriottica. Nei risvolti di tale fine verranno poi inquadrate molte sagre, feste popolari, manifestazioni fieristiche paesane che ancor oggi sono organizzate in molte regioni della Grecia. Si tratta di eventi per lo più di impronta militaresca, ma delle volte anche storico-religiosa.
Di eccezionale celebrità è l’azione orchestico-musicale dei Jenìtsari e Bules (vedi nota 15) che ogni anno, durante il periodo di Carnevale, ha luogo a Nàussa, nella Macedonia centrale, dove gruppi di uomini armati di tutto punto nei loro costumi tradizionali attraversano strade e rioni della città eseguendo di corsa danze della consuetudine popolare. È una forma di danza inventata e consolidata, secondo storiche testimonianze, poco dopo la battaglia combattuta sulla riva del fiume Aràpitsa nel 1705, dopo di che viene ogni anno ripetuta a commemorazione dei rivoltosi greci caduti insieme al loro comandante Tsamis Karatàssos. Le danze che vengono eseguite simbolizzano anche le “discese” in massa dei kleftes in città sia per incontrare i propri familiari sia per assoldare i giovani volontari. In tali “discese” 19) i kleftes coprivano il volto con una maschera chiamata pròssopos (πρόσωπος), cioè “volto”, “faccia”, e vestivano il costume degli armatolì (αρματωλοί) con il tipico gonnellino, fustanella (φουστανέλα) a pieghe, i calzettoni bianchi in stile collant e le scarpe nere con una nappa sulla punta. Sul petto pendevano molte monete metalliche e protezione dalle pallottole e dai colpi di spada. 20)
Ugualmente in periodo di Carnevale ha luogo a Sochòs, una cittadina in Calcidica, la manifestazione di danza chiamata Carnevale di Sochòs 21) durante il quale squadre di uomini mascherati e vestiti con pelli di caproni neri eseguono nelle strade delle danze parimenti di carattere militaresco, in ciò collegandosi alla credenza per cui San Teodoro 22) insieme a 40 uomini, suoi soldati mascherati, costrinsero i turchi a sciogliere l’assedio alla città stessa di Sochòs. In memoria di questo avvenimento, peraltro, il gruppo di mascherati assiste alla Messa nella cappella dei Santi Quaranta nel giorno della loro festa. 23)
Di antica data risulta anche l’evento popolare detto Momòera (Μωμόερα) o dei Momòeri (Μωμόεροι) nella regione del Ponto (nel nord della attuale Turchia, sulle coste del Mar Nero), un evento storicamente tra i più importanti. Nella sua iniziale e fors’anche più genuina forma, brigate di giovani mascherati andavano da una casa all’altra nel periodo tra Capodanno ed Epifania a cantare canzoni auspicali per augurare una buona annata e fertilità dei terreni coltivati e del bestiame in vista della rinascita primaverile, talvolta dando particolare enfasi al fatto del risuscitamento, dopo una simulata uccisione in combattimento, mediante gesti e parole rituali e magiche volentieri accompagnate da atteggiamenti e discorsi osceni. 24) Nel XVII secolo l’azione scenica assume una connotazione maggiormente storico-sociale, con l’acquisizione di elementi di scherno nei confronti dell’occupante turco e di sfida quando i Mamòeri danzavano come inquadrati in formazioni militari agli ordini di un comandante secondo una stretta disciplina di battaglia.
Come per i citati Janìtsari e Bules, anche i Mamòeri rispondono a un simbolismo chiaramente rivoluzionario, presupponendo e anticipando la realtà che seguirà dopo il 1821.
Al contrario, di carattere prettamente storico e religioso è la Sagra di Aràchova che ha luogo in questa città della Grecia centrale ogni anno durante la festa di San Giorgio. Le diverse fasi della manifestazione vogliono ricordare e commemorare la vittoria di Jorgos Karaiskàkis il 24 novembre 1826 sui turchi di Mustafà Bey durante la quale dei 2000 soldati turchi sopravissero solo in 300, fatti prigionieri o fuggiti. Si tratta pertanto di una riproduzione della battaglia in forma di danze e gare atletiche eseguite sul sagrato della chiesa 25) (lotta, salto in lungo da fermo, gare ippiche, getto del masso, tiro alla fune: tutte espressioni di particolare possanza fisica). Certamente tali danze hanno carattere e fine trionfali, come d’altra parte trionfale è la danza a Neo Sùli, in provincia di Serres nella Grecia del Nord, durante la quale San Giorgio uccide il Drago, una palese lontana memoria dell’uccisione del Drago da parte di Apollo rappresentata nelle Pizie, feste delfiche e successivi ludi ippici, ginnici, corse e gare musicali.
Tra le sagre storico-religiose di maggior impatto sociale e sentimentale sono da annoverare quelle che si svolgono a Messolonghi 26) e a Etolikò, entrambi nella medesima regione della Grecia centrale, che continuano tutt’oggi a mantenere intatta la loro genuinità tradizionale e fascino rappresentativo. A Messolònghi è la Sagra di Ais-Simios, durante la Pentecoste, mentre a Etolikò la Sagra di Aji-Agathì (Sant’Agata) il 23 settembre. Nella prima, viene celebrata la processione degli assediati al monastero di Ais Simios (San Simios) e la gloriosa sortita contro i turchi il 10 aprile 1826; mentre nella seconda vengono commemorati due eventi di generale e locale incidenza, rispettivamente l’Assemblea di Etoilikò (7-24 dicembre 1824) che scongiurò la guerra civile fra le fazioni greche, e la cattura delle donne e dei bambini da parte dei turchi avvenuta tra il 28 febbraio e il 1° marzo 1826 nella chiesa di Aji-Agathì. 27)
Nota distintiva di entrambe le Sagre sono i gruppi di Armati la cui condotta è soggetta a un austero ordine procedurale: vestizione e meditazione, missione in gruppo e partenza per i monasteri e le chiese, ritorno in formazione militare e festeggiamento. 28) L’evento trova identificazione psicologica in analoghi contegni dei kleftes dopo lo scoppio della rivolta nel 1821 quando le loro azioni prevedevano la preliminare relazione con la benedicente presenza della Chiesa.
Insieme con gli Armati, gruppi di Cavalieri agiscono contestualmente costituendo elementi centrali delle Sagre. Squadre di Cavalieri s’incontrano anche in altre Sagre, a Siàtista e a Kosàni.
Non si può infine passar sotto silenzio, nell’ambito delle manifestazioni che si svolgono a Messolònghi, la Danza del Morto eseguita dagli Armati, che – come viene descritta in modo conciso ma eloquente – “comincia con una danza Kalamatianòs, prosegue con un virtuale combattimento con pugnali da parte di due Armati e finisce con una danza Tsàmikos solo per strumenti, che si conclude con una rapida danza sirtòs che realizzano i due contendenti insieme a tutti gli altri membri del gruppo”. 29)
Vi è comunque una seconda parte, maggiormente spettacolare: in seguito a un litigio tra i due Armati, uno di essi viene ucciso, mentre l’uccisore esprime il proprio pentimento in un lamento funebre riuscendo a produrre la resurrezione del defunto con l’aspersione di acqua. Il finale consiste in festeggiamenti e danze da parte di tutti gli astanti. 30)

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Funzione sociale delle danze storiche in epoca moderna

La funzione sociale delle danze storiche in epoca moderna si riferisce, com’è ovvio, all’evoluzione sociale del popolo in rapporto alle consolidate espressioni consuetudinarie. Si tratta comunque di danze aventi un prevalente carattere o aspetto guerresco o almeno militareggiante, eseguite in occasione non solo di eventi bellici, quali azioni preparatorie o dopo una battaglia, ma anche come rituali, prove di forza psichica prima di una esecuzione in carcere.
Così, le danze kleftike venivano danzate dai combattenti della Resistenza durante l’occupazione germanica negli anni 1941-1945, prima e dopo ogni azione di sabotaggio o di attacco a formazioni naziste. In particolare la Danza di Zàlongo ha ritrovato frequente pratica nei campi di concentramento tedeschi prima di ogni fucilazione di partigiani.
Più tardi, nelle prigioni e nell’esilio dei detenuti politici prima, durante e dopo la guerra civile (1947-1951) la danza tradizionale e storica acquisisce fondamentale valenza sociale nell’affrontare condanne a morte, torture e tormenti vari: veniva certamente sentita come un atto che rinforzava il credo politico, la saldezza della sopportazione e l’opposizione alla violenza politica pianificata.
Ma anche in precedenza, negli anni della prima guerra mondiale e in ambito puramente militare la danza aveva svolto funzioni di coesione, solidità e solidarietà nazionale: è famosa la danza Lasòtis creata dai combattenti cretesi nel nord della Grecia durante le azioni di guerra ivi avvenute.
Di conseguenza è più che assodato che le danze tradizionali in ambito storico e con funzioni e fini sociali fanno ormai parte integrante della memoria nazionale dei Greci e ne costituiscono importante patrimonio culturale, manifestazione di costume, nonché funzionale incentivo psicologico di fronte a situazioni contingenti di emergenza, di lotta e di resistenza.
Ciò malgrado non si può non riconoscere attualmente una sensibile attenuazione delle finalità funzionali delle danze tradizionali come sinora descritte; anche, crediamo, a causa di una sempre più ridotta accoglienza culturale presso una cittadinanza sempre più distante da usi e costumi popolari, attratta da maniere e mode straniere importate.
In tal modo il ruolo sociale della danza popolare viene progressivamente a perdere parte della sua importanza e significato negli ultimi 60 anni, sì che la danza stessa, rispetto a epoche neanche troppo remote, va restringendosi via via a determinati settori più propriamente di spettacolo pubblico, avendo smarrito (sicuramente anche per le diametrali mutazioni delle condizioni socio-culturali avvenute nel corso dell’ultimo secolo) i primitivi e focali caratteri teleturgici, coinvolgenti intere strutture sociali e intime convinzioni politico-religiose collegate ad avvenimenti storici.
È vero che, come già ricordato, molte danze popolari posseggono evidenti punti di riferimento con analoghe danze dell’antichità greca o del periodo ellenistico-romano. Nelle attuali mutate condizioni storico-sociali anche queste danze, prive adesso dell’originario temperamento e fomite (religioso, marziale, culturale, educativo, eccetera), si propongono come lontano ricordo di altri tempi e altre (forse ora incomprensibili) esigenze.
Così, danze come il Tsakònikos, la Susta a Creta, il Pirrichio, il Kalamatianòs, il pontiaco Sera, dopo essere state vere e proprie leggende in ambito socio-militare due e più secoli fa, nei tempi odierni declinano in semplici mezzi di ricreazione o di svago, individuale o collettivo, spesso da esibizione concertistica o per scopi turistici o simposiali.

Le danze nella Grecia contemporanea

In Grecia la canzone demotica (popolare) procede sempre, e da sempre, di pari passo con la danza tradizionale: due “funzioni culturali” che quasi immuni hanno attraversato secoli di dominio e occupazione turca, dapprima, e possenti interferenze estere negli ultimi duecento anni.
Certo, le danze hanno subìto alcune secondarie modificazioni e alterazioni, né comunque avrebbe potuto essere diversamente. Le loro sostanziali caratteristiche però sono rimaste inalterate sin dalla antichità, come è possibile riscontrare confrontando le attuali figurazioni con quelle che vengono raffigurate sopra vasi e in altre rappresentazioni.
Accanto alla insita resistenza dell’elemento popolare a dannose commistioni e influenze estranee alla cultura greca, è stato pertinentemente rilevato che la singolare integrità delle danze in Grecia, malgrado la presenza di non indifferenti fattori di deviazione e di sregolamento formale, sia da ascriversi anche al fatto, tecnicamente non trascurabile, che tali danze, dalle più antiche alle più recenti, obbediscono alle combinazioni ritmiche dei 7/8 e 5/8, tempi asimmetrici di difficile contraffazione.
D’altra parte – ed è questo un fattore di non minor rilievo – le canzoni vengono danzate e le danze vengono cantate, e questo senza nessuna eccezione. Va da sé che la danza, che costituisce parte integrante della canzone demotica, nella stragrande maggioranza dei casi non si esegue in forma pantomimica, nell’astrazione di gesti e atteggiamenti stilizzati, ma bensì secondo un preciso, si direbbe “scientifico” magistero di movimenti dei piedi, del corpo e delle mani, codificato con validità nazionale.
Attualmente, il complesso delle danze popolari greche può essere, in relazione al suo originario contenuto, ripartito in quattro principali categorie:

  • danze religiose
  • danze guerriere (le diverse varianti di Pirrichio)
  • danze d’amore
  • danze d’amore e di guerra.

Quanto alla posizione dei danzatori, due sono i principali tipi:

  • danze circolari o cicliche
  • danze frontali (ad es. il Karsilamàs, dove l’espressione karsi in turco significa di fronte, o il Balos).

Relativamente poi al modo di danzare, si distinguono in:

  • danze “strisciate” o piane
  • danze a salti
  • danze miste, che utilizzano alternativamente i due predetti modi.

A loro volta, le danze circolari o cicliche si suddividono in:

  • danze a circolo chiuso
  • danze a circolo aperto, in sostanza più o meno mezzo circolo, di gran lunga prevalenti nella danza tradizionale greca.

Infine, giova ricordare il sistema metrico musicale che regge l’edificio della danza tradizionale, la sezione ritmica fornita da strumenti a precussione (timpano, tamburo, tamburello, una specie di tammorra, tamburino) che costituiscono la base sulla quale “camminano” i passi delle danze e le melodie degli strumenti e delle voci.
Pertanto, i metri sono i seguenti:

1)  2/4  semplice:  υ –
2)  2/4  composto: υ- –
3)  2/4  isolano: υ – – –    (Sirtòs, Ballos)
4)  2/4  baiao(ma anche 4/4): υ – – υ –   (Karaguna,  Pagonìssios)
5)  3/4  (ma anche 3/8 e 6/8): υ – – – – -(Tsàmikos – ritmo unico al mondo)
6)  5/4  (ma anche 5/8): υ – – –    (Tsakònikos, Baiduska)
7)  7/8  : υ – – υ – υ –    (Kalamatianòs, Sirtòs)
8)  9/8  : υ – – υ – υ – υ -(Èndeka, Karsilamàs)
9)  9/8  (ma anche 6/8, 2/4, 4/4): υ – – -(Zonaràdikos).
 
Nelle danze a circolo chiuso tutti i danzatori hanno la medesima posizione di danza in una generale uniformità di valori. Nelle danze invece a ciclo aperto, il primo della fila è il corifeo (da κορυφή, cima, capo), la cui danza si svolge attraverso una continua esecuzione di improvvisazioni, variazioni, salti, giravolte avendo per appoggio il secondo danzatore che regge le “figure” del corifeo utilizzando un fazzoletto che entrambi stringono, mentre tutti gli altri danzano semplicemente i passi che la danza prevede.
La maggior parte delle danze hanno carattere locale, originario nelle singole regioni greche, comprese le isole dello Ionio e dell’Egeo. Due sono invece le danze nazionali o panelleniche: il Kalamatianòs, una danza “strisciata” (συρτός) e il Tsàmikos o klèftikos, appartenente alle danze a salti, particolarmente virili e faticose.
Si è ripetutamente detto che in Grecia la danza popolare o tradizionale coinvolge indistintamente tutte le classi sociali, dalla più bassa alla più elevata, mentre praticamente tutte le occasioni sono favorevoli per mettersi a danzare, senza alcuna necessità di particolari ragioni o incitamenti. Si danza in città, come in campagna, nel villaggio. Sopra tutto le festività cristiane sono specialmente propizie per una buona “seduta” di danze una volta concluso il pranzo, ma anche prima, a mo’ di intermezzo; altresì però la danza occupa il primo posto del divertimento in occasione di matrimoni, battesimi, feste familiari e feste onomastiche, nei ristoranti e nelle taverne, ma anche in casa e all’aperto.

Le danze tradizionali nazionali

Come or ora precisato, due sono le danze tradizionali a valenza nazionale: il Kalamatianòs (καλαματιανός συρτός) e il Tsàmikos o Klèftikos (τσάμικος, κλέφτικος).
Certamente la danza più antica del patrimonio orchestico greco, o almeno una delle due-tre danze più antiche, è il Kalamatianòs, nella quale i passi dei danzatori seguono un andamento piano, lineare, sul pavimento, senza balzi né saltelli. È una danza di grande equilibrio stilistico, eminentemente armoniosa, con una gestualità appunto semplice e morbida nella quale il corifeo o la corifea esegue il medesimo svolgimento di passi di tutti gli altri danzatori che seguono, senza alcun atteggiamento da primattore o solista, senza con ciò tuttavia escludere che, volendo, possa inventare ad libitum anche passi e salti preclusi a tutti gli altri (come le sforbiciate).
Per primo ne parla Omero 31) nel descriverne una scena incisa sullo scudo di Achille apprestato da Efesto (Vulcano). In quell’epoca la danza veniva chiamata συρτός oppure όρμος, termine quest’ultimo avente il significato di “golfo” e “collana”, forse alludendo alla sua forma semicircolare o alla fila dei danzatori come perle di collana. A esso si riferisce altresì Senofonte 32) e, più tardi, Luciano ne fa diverse descrizioni 33). Si potrebbe arguire che il Sirtòs fosse la danza che anticamente si eseguiva intorno all’ara nelle cerimonie cultuali, ove si ponga mente a tutte le rappresentazioni di danza ciclica con il medesimo allacciamento delle mani (braccia), che si possono vedere in una molteplicità di vasi e perfino in moltissimi affreschi in conventi che riproducono danze antiche.
Inizialmente, nel secolo XIX, il nome della danza era Sirtòs o Peloponìssios, cioè del Peloponneso. In un secondo momento si consolidò, e rimase, il nome di kalamatianòs, essendo incerto però se ciò derivasse dal nome della città di Kalamata (situata appunto nel sud del Peloponneso) o se invece riflettesse semplicemente l’indicazione di Kalamata nella più nota canzone scritta a proposito.
Il ritmo del Sirtòs-Kalamatianòs è di 7/8, un ritmo ternario articolato in 3/8+2/8+2/8, il quale nella sua forma-base si presenta come  in una combinazione di sillabe lunghe e brevi, secondo un rapporto matematico che risale all’antichità greca, definito da Aristòxenos e Dionissios di Alicarnasso come χορείο άλογο a norma della relazione 1,5:2 (= ), a significare che la costituzione ritmica del Sirtòs-Kalamatianòs corrisponde all’antico dàttilo (-υυ), avendo però l’iniziale lunga un po’ più breve della regolare lunga ( ). Tutto ciò quindi rende palese l’antica discendenza di questa danza eseguita ancor oggi in ogni occasione.
Non ne mancano le varianti ritmiche, anzi il loro numero è piuttosto consistente. Per quanto concerne la prima parte lunga e ferme restando le altre due parti brevi, risultano le seguenti varianti:  –  –  – , mentre invece le variazioni dei due gruppi di 2/8, fermo restando l’iniziale , possono essere  –  –  –  – .
A questa molteplicità ritmica, che chiameremmo “di base”, si aggiungono tutte le possibili combinazioni fra le due varianti tra la prima parte lunga del nucleo ritmico e la seconda parte dei due gruppi di brevi.
La danza consiste in una successione di 12 passi fondamentali eseguiti nell’arco di quattro misure musicali. 34) Il primo danzatore muove a piacimento la mano destra libera, potendo anche sventolare un fazzoletto bianco, mentre l’ultimo danzatore può poggiare sul fianco la mano sinistra libera. Tutti i danzatori si muovono in senso antiorario, in una libera disposizione uomo-donna, la mano sinistra di ognuno stringendo la mano destra del successivo leggermente abbassate a livello di anca. Naturalmente il Sirtòs-Kalamatianòs è una danza circolare aperta.
La seconda danza a carattere nazionale è il Tsàmikos o Klèftikos, che gode di molto favore dopo la definitiva liberazione della Grecia dal giogo turco.
Mentre la derivazione del nome del Sirtòs-Kalamatianòs è incerta, quella del Tsàmikos non v’è nessun dubbio che provenga dal nome degli abitanti della regione chiamata Tsamurià nel sud Epiro, detti tsàmides (singolare tsàmis), una regione attraversata dal fiume Tsami, l’attuale Kalamàs.
Ancora in Omero, 35) nella descrizione dello scudo di Achille, la prima rappresentazione nulla vieta che possa riferirsi a una danza guerriera, una specie di Pirrichio, l’esecuzione della quale, nelle parole del poeta, si avvicinerebbe al modo di danzare il tradizionale Tsàmikos: una danza riservata ai soli uomini, 36) con non pochi elementi di forza fisica, resistenza e perfino violenza.
Durante l’occupazione ottomana e sopra tutto dopo il 1821 il tsàmikos divenne la danza tipica e preferita dei kleftes, e in genere dei rivoluzionari, donde la sua denominazione di Klèftikos, cioè appartenente ai kleftes, quale espressione di valorosità, forza d’animo e spirito di vittoria.
Il ritmo del Tsàmikos-Kleftikos è di 3/4, con la variante dei 3/8 o dei 6/8 per le danze eseguite più vivacemente.
Gesto caratteristico della danza è il battere dei piedi sul piano di danza, selciato nel cortile di una chiesa o piazza del villaggio o parquet d’un salone di edificio pubblico.
Anche il tsàmikos è una delle danze cicliche aperte e parimenti in senso antiorario. Ogni danzatore stringe la mano di colui che lo precede e di chi lo segue, in una posizione a livello di spalla così da formare una W con i gomiti all’altezza della cintura.
I passi fondamentali della danza sono 16, ma viene eseguita anche una forma abbreviata di 12 passi, in sostanza i primi dodici dei precedenti 16, mentre altre forme più semplici prevedono solo 10 e perfino 8 passi. 37)
Le danze marziali sono in prevalenza rapide e convulse. Il Tsàmikos al contrario è assai lento, si direbbe pesante, grave, ciò che permette e richiede un portamento altero, la possibilità di straordinarie acrobatiche giravolte e balzi a notevole altezza dal suolo, immediata rappresentazione di fierezza razziale, possanza fisica e virile prodezza. Nel Tsàmikos il primo danzatore (corifeo) ha modo di esporre e sciorinare tutta la gamma della sua abilità e fantasia stringendo nella sua mano sinistra un capo del fazzoletto, l’altro capo del quale viene stretto dalla mano destra del secondo danzatore che deve aver la forza di reggere le pesanti e successive volute del corifeo.

grecia danze tradizionali
Le regioni amministrative della Grecia: 1) Attica, 2) Grecia Centrale, 3) Macedonia Centrale, 4) Creta, 5) Macedonia Orientale e Tracia, 6) Epiro, 7) Isole Ioniche, 8) Egeo Settentrionale, 9) Peloponneso, 10) Egeo Meridionale, 11) Tessaglia, 12) Grecia Occidentale, 13) Macedonia Occidentale.

Le danze tradizionali locali

Accanto alle due danze di estensione panellenica, non si può non ricordare, almeno in parte, le più note danze regionali o locali, alcune delle quali non meno celebri di quelle nazionali.

a) Danze del Peloponneso

Nel descrivere dianzi il Sirtòs-Kalamatianòs si è accennato al suo originario nome di Peloponìssios, ossia del Peloponneso. Ma non è questa l’unica danza popolare (tradizionale) della regione. Un’altra danza molto praticata nel territorio peloponnesiaco è il Tsakònikos (τσακώνικος), proveniente dalla zone chiamata Tsakonià in Arcadia.
Anche questa danza ha origini antichissime se si considera che costituisce il diretto discendente della antica danza Jèranos (γέρανος), la danza elicoidale nella forma del movimento del serpente, divinità il cui culto era molto diffuso nella Creta minoica dalla quale poi si estese in molte regioni della Grecia continentale e insulare. Non dimentichiamo peraltro che alla civiltà minoica successe quella micenea, fiorita appunto nel Peloponneso settentrionale.
Secondo la tradizione, la danza rappresenta il percorso dedalico di Teseo per raggiungere e uccidere il Minotauro e di seguito uscire sano e salvo superando tutti i tranelli del Labirinto. L’eroe attico sbarcato a Dilos, isola sacra ad Apollo e Artemide, inventò ed eseguì per la prima volta una danza, chiamata Jèranos, 38) il cui svolgimento imita appunto un andamento labirintico, le diverse direzioni di un cammino serpeggiante, si direbbe anche per linee spezzate, come quello che deve aver compiuto Teseo nella complessità dell’edificio costruito da Dedalo.
Il corifeo prende il nome di jeranulkòs (γερανουλκός), cioè “colui che trascina il jèranos”, ed è sempre un uomo. La danza è scritta in 5/4 o 5/8. Si compone di due parti distinte: una iniziale, lenta (5 passi) e una seconda saltellante e vivace (5 passi). Comincia come circolare aperta, successivamente si trasforma in elicoidale, con libera e variabile direzione. I danzatori si tengono stretti a braccetto con le dita allacciate in modo da far applicare le palme una sull’altra.
Uniche nel loro genere sono le direzioni danzanti che possono essere attuate, come ad esempio
 

 
secondo le proposte avanzate da J. Ch. Likessàs in Le danze greche – considerazioni storiche, culturali e del movimento musicale, Thessaloniki 1993, sulla base della relativa elaborazione di Dora Stratu in Danze tradizionali greche, Atene 1979.
Nell’Ottocento la madre del poeta francese André Chenier, nelle lettere in cui descriveva usi e costumi dei greci di Costantinopoli, si riferisce a una danza all’epoca chiamata Candiote o danza greca, nome proveniente dal termine Candia, secondo la denominazione che i Veneziani avevano dato all’isola di Creta occupandola nel XIII secolo, forse sulla base della parola Χάνδαξ, Chandax, il fosso perimetrico che proteggeva il Κάστρο, Castello, nucleo centrale della capitale dell’isola, Iràklio. Così, essendo Cnosso e il Labirinto molto vicini appunto a Iràklio, non può escludersi il collegamento a questi della predetta danza Candiote i cui passi e movimenti sono identici a quelli dell’attuale Tsakònikos. 39)

b) Danze isolane

Una danza di ampia diffusione ugualmente a Creta è il Sirtòs, 40) la cui esecuzione è sempre accompagnata dal canto di interminabili mantinades. Il sirtòs cretese pur essendo in linea generale affine al tipico Sirtòs isolano, soprattutto a quello delle isole ionie, presenta non poche varianti nella progressione dei passi. In ogni modo è una danza di piacevole effetto scenico, con movimenti piani e armoniosi, passi tranquilli e stabili, privi di gesti a scatto come invece nel Pendosalis.
Si esegue in circolo aperto, in direzione antioraria. Le mani sono posate sulle spalle, non orizzontalmente ma formando con quelle del danzatore precedente e successivo una W. La serie comprende 11 passi 41) nello spazio musicale di 8 quarti. La sua struttura ritmica è di 2/4, mentre i due strumenti principali, per la melodia e l’armonia, sono la lira cretese e il lagùto o laùto (liuto). 42)
La danza, però, di maggior impatto e notorietà a Creta è davvero il citato Pendosalis, che viene danzato indifferentemente da uomini e donne, che si tengono allacciati con le mani distese appoggiate sulle spalle. La serie è composta da dieci passi, gli otto dei quali consistono in un ritmico sollevarsi dei piedi, come un saltellar continuo a poca altezza dal suolo interrotto da due movimenti dei piedi in aria.
In merito, poi, alla sua origine e significato e per i particolari, vedi il precedente capitolo La danza nei tempi recenti.
Trattandosi di danza veloce e a saltelli il Pendosalis viene inserito da alcuni studiosi laògrafi nella categoria dei Pirrichi, notoriamente danze guerriere sin dall’antichità. Non mancano tuttavia altri che gli negano tale carattere (Jorgos Chazidakis, Musica cretese).
Un’altra isola dove la danza popolare mantiene integre le proprie tradizioni è Corfù, le cui risorse culturali sono per gran parte influenzate dalla osmosi con molteplici elementi di provenienza europeo-occidentale, nella maggioranza italiana.
In linea generale le danze corfiote appartengono al diffuso genere Sirtòs con una buona articolazione di varianti. Sono danze naturalmente cicliche con particolare grazia e armonia, gentilezza ed eleganza. Il loro nome deriva per lo più dalla città o regione nella quale la danza viene praticata. Così, innanzi tutto ricordiamo la danza Kerkiraikòs (κερκυραϊκός), chiamata anche ruga (ρούγα), cioè strada, 43) danza che viene eseguita sopra tutto a Corfù (Κέρκυρα), capitale dell’isola. Può essere lenta o veloce, a seconda del ritmo che s’intende assegnarle. È scritta di solito in 2/4.
La particolarità della danza Kerkiraikòs è che viene eseguita solo da donne, in circolo aperto, con l’intervento di due uomini, uno che si pone come corifeo o primo danzatore e l’altro che fa la κούδα, kuda, cioè rappresenta la coda, chiudendo la linea della danza. I due uomini si alternano nelle due predette posizioni. Il corso della danza è antiorario, le mani dei danzatori si stringono formando una V. Il Kerkiraikòs è costituito da 12 passi che si esauriscono in 4 misure musicali.
Chiaramente l’esistenza e soprattutto le funzioni dei due uomini in un “corpo di ballo” essenzialmente famminile la dice lunga, volendo, come allusione a una certa “supremazia” maschile e comunque una “necessità” di “guida” assegnata d’ufficio all’uomo!
Dalla cittadina di Korakianà, situata a nord-est di Corfù, prende il nome un’altra danza molto corrente e familiare, il Korakianìtikos (κορακιανίτικος), anch’essa eseguita solo da donne. La particolarità che contraddistingue questa danza esclusivamente femminile è la disposizione delle partecipanti: per tradizione la danza veniva condotta dalle donne anziane, seguite dalle sposate in ordine di età e poi dalle più giovani e nubili. Una consuetudine, questa, che oggigiorno viene in parte obliterata perdendo così la manifestazione orchestica un simpatico, interessante aspetto tipologico e pittoresco. A ciò contribuisce anche il lato coreografico: le danzatrici tengono spillato alla vita un fazzolettone dai colori e disegni sgargianti mentre lo stesso viene sventolato dalle corifee nel corso della danza.
Il Korakianìtikos si esegue al ritmo di 2/4, ugualmente in senso antiorario, in circolo aperto, con le mani allacciate in forma di V oppure posate sulle spalle delle danzatrici laterali. La prima parte della danza è lenta, “camminata”, alla quale segue una seconda a passi veloci e saltellanti. Sono 8 i passi nello spazio musicale di quattro minime ripetute quattro volte nella prima parte e altre quattro volte nella seconda parte. 44)
Un’altra danza ancora femminile è l’Ai-jorghìtikos, letteralmente “di San Giorgio”, nome che deriva dalle notissima canzone corfiota Kato ston Ai-Jorghi (Κάτω στον Αη-Γιώργη), appartenente al ciclo akrìtiko. Viene eseguita nel sud dell’isola e, secondo la tradizione, si rifà a una danza portata dai Suliotes, abitanti di Suli, regione e città dell’Epiro, sfuggiti alla persecuzione turca durante i primi anni della rivolta e, da profughi, rifugiatisi all’isola di Paxì, a sud di Corfù.
È una danza intensamente lirica nella grazia e levità dei movimenti muliebri. Il ritmo è di 2/4, la direzione sempre quella antioraria, le mani tenute alzate in forma di V rovesciata con una mano a stringere un angolo di un grande fazzoletto multicolore il cui angolo opposto viene stretto dalla danzatrice precedente e successiva, così formando un lungo tratto di colori sopra le teste delle partecipanti.
La danza si svolge in 10 passi nella durata di cinque misure musicali. 45)
Una forma di Sirtòs viene danzata anche a Rodi, un ballo misto nel quale i danzatori si tengono per le mani con i gomiti leggermente piegati. Si esegue in 11 passi. Nella stessa isola, ma praticamente in tutto il Dodecanneso, uomini e donne danzano altresì la Susta, a 6 passi svolti in un movimento caratterizzato da leggere flessioni del corpo e sulle ginocchia a mo’ di molla. La presa delle mani è incrociata, con la destra del danzatore posta sotto la sinistra del successivo.
A Skiathos, nelle Sporadi occidentali nel Mar Egeo, viene eseguita la danza Kamara, al tempo di 2/4. I passi sono pressoché analoghi a quelli della Kamara danzata a Mègara, nella Grecia centrale, mentre l’allacciamento delle mani è quello caratteristico delle cosiddette Danze del peschereccio, in cui i corpi costituiscono una catena di stretto contatto con le mani a formare incroci romboidali: la mano destra del primo danzatore allacciata alla destra del secondo e la sinistra alla destra del terzo, mentre la sinistra del secondo danzatore si allaccia alla destra del quarto, e così di seguito.
La stessa danza Kamara trova ampia esecuzione ad Aliveri, nell’isola di Eubea, in special modo ogni anno nel secondo giorno dopo la Pasqua, festa di San Giorgio, sul sagrato dell’omonima chiesa. È una danza molto lenta a sei passi fondamentali.
All’isola di Thassos, nel nord Egeo di fronte a Kavàla, viene danzato un particolare Sirtòs, in passato eseguito principalmente intorno alla dote della futura sposa. Al ritmo di 2/4, il ballo procede in circolo aperto formato da donne e uomini che si tengono per mano a forma di X. Una variazione dello stesso prevede invece un movimento di avanti-indietro delle mani allacciate come sopra.
Nelle Cicladi meridionali, poi, nell’isola di Ikarìa la danza principale è l’omonimo Ikariòtikos, una danza mista, a 9 passi al ritmo di 2/4. La sua particolarità consiste nel fatto che i passi 1, 4 e 7 vengono eseguiti lentamente, mentre i rimanenti 2, 3, 5, 6, 8 e 9 a movimenti veloci. L’Ikariòtikos, comunque, viene praticato anche in altre regioni greche.
Ancora a Creta altre due danze trovano un grande numero di praticanti: la citata Susta e il Malevisiòtis, entrambe danze a saltelli.
La prima, danza caratteristica della città di Rèthimno, in Creta occidentale, viene eseguita da uomini e donne indistintamente nel ritmo di 2/4 con le mani allacciate all’insù a mo’ di W. Sei ne sono i passi ripetuti in un iniziale giro circolare dopo il quale i danzatori si separano formando due squadre, con gli uomini di fronte alle donne, che mantenendo il medesimo fraseggio di passi iniziano un “dialogo” danzante pieno di simbolismi mìmici a carattere amoroso.
Il secondo, invece, pur esso danza mista, è tipico della regione della capitale Iraklio e viene eseguito in circolo aperto, sempre al ritmo di 2/4, con una sequenza di 16 passi, 8 in direzione avanti e 8 in direzione indietro, con le mani allacciate ad altezza di spalle piegate a W.

c) Danze dell’Epiro

Sin dai tempi della Turcocrazia ma anche nei secoli precedenti, l’Epiro si distinse per l’elevato grado del livello culturale e commerciale, in particolare costituendosi luogo privilegiato per lo sviluppo della canzone demòtica. È nell’Epiro che si trova la zona chiamata Zagòri, 46) alla quale appartiene un complesso di cittadine e grossi borghi particolarmente pittoreschi che va sotto la generale denominazione di Zagòria o Zagorochòria, cioè villaggi di Zagòri.
Proprio negli anni dell’occupazione turca il nucleo abitativo di Zagori divenne rilevante e frequentatissimo centro di smistamento di merci e trasporto di passeggeri, provenienti dall’intero territorio greco e diretti verso i paesi del nord, i Balcani in particolare. Tale movimento di viaggi era assicurato, mediante l’organizzazione di “carovane”, da parte di abitanti locali proprietari di cavalli e carrozze. Erano questi i cosiddetti karavaniàrides (καραβανιάρηδες), ossia conduttori di carovane. Alcuni di essi rimasero famosi e addirittura leggendari per le loro imprese di trasporto. Fra tutti il più celebre è stato il nominato Rovas.
E Rovas è pure il nome della danza che la popolazione locale inventò e la canzone demotica rese insigne. È una danza a tutt’oggi viva ed eseguita nella regione. Viene danzata sia da donne sia da uomini, con maggiore frequenza in occasione di sagre e feste popolari a Zagori. Numerose sono altresì le varianti che vengono danzate in tutto l’Epiro. Ritmicamente la sua musica è scritta ugualmente in 2/4.
Viene danzata in circolo aperto, in senso antiorario, Le mani, piegate ai gomiti, si allacciano all’altezza delle spalle formando una W.
Il Rovas è costituito da 32 passi, suddiviso in quattro parti di 8 passi ciascuna. 47)
Sempre nel compendio territoriale di Zagori un’altra danza, molto nota e familiare, viene eseguita: lo Zagorìssios (ζαγορίσιος), danza circolare aperta, per uomini e donne in due cicli separati. In essa viene posta in evidenza da una parte la gagliardia e la forza virile, dall’altra la dolcezza e mitezza femminile. La musica è scritta in 5/8 e 5/4 suddivisa in due parti: rispettivamente 3/8+2/8 oppure 3/4+2/4. Con direzione antioraria, è composta da 16 passi in quattro gruppi di 4 passi ciascuno. La particolarità della danza sta nel fatto che i passi delle donne differiscono leggermente da quelli degli uomini. 48)
Nella regione di Prèvesa infine viene invece danzato il Fissùni (φισούνι), che prende il nome da un leggero venticello chiamato appunto Fissùni o, per altri, dal fruscio delle lunghe gonne durante la danza rapida e vivace. Originariamente si trattava di una danza solo per donne; oggi viene eseguita anche da uomini. Ed è l’unica di ritmo veloce che si riscontra in Epiro, dove tutte le danze vengono caratterizzate da un andamento solenne, dignitoso, si direbbe addirittura grandioso.
Il Fissùni viene danzato in 9/8. le mani si posano sulle spalle, mentre sono 16 i passi di ogni serie secondo la seguente disposizione: i primi quattro nella direzione della danza, i secondi quattro in direzione opposta e gli ultimi otto sul posto. 49)
Danza tipica dell’Epiro è il Pagonìssios (Παγωνίσιος), sui tempi di 2/4 e 4/4, un nome proveniente dalla regione di Pagoni. Viene eseguita a circolo aperto da donne e uomini indifferentemente, con le mani allacciate a gomito. Secondo le movenze del Pagonissios comunque si concludono molte altre danze epirote.
Un’altra danza di frequente esecuzione nell’Epiro è certamente il Koftòs (Κοφτός), in un tempo di 2/4 e allacciamento delle mani a W. È vivace e saltellante con la particolarità di un arresto, un “taglio” (donde il nome) dopo 22 passi: al 22esimo i danzatori si pongono sull’attenti alzando le braccia con un grido. L’effetto è senz’altro sorprendente. Nell’Epiro il Koftòs viene considerato la danza dei prodi e dei forti.
Peraltro, la danza Kaghèli eseguita in Tessaglia, sembra che tragga la propria origine nell’Epiro dove un’altra danza propone esecuzioni di sicuro successo presso ogni ceto sociale: si tratta di Menùssis (Μενούσης), una danza “mista”, con 10 passi nel tempo di 4/4. Si svolge in circolo aperto con le mani dei danzatori incrociate sulle spalle.

d) Danze della Macedonia

Tipico della città di Ierissòs, in Calcidica nord-orientale, è il Kanghelotòs (καγκελωτός) o Kanghelleftòs (καγκελευτός), una danza di tipo labirintico che si esprime in volute o serpentine. La sua origine si allaccia agli eventi della Rivoluzione del 1821 contro i turchi, durante la quale la città di Ierissòs dovette pagare un durissimo tributo di sangue quale punizione per la sua insubordinazione.
Secondo la tradizione, la danza in passato veniva eseguita in memoria del gran numero di abitanti di Ierissòs che, costretti a raccogliersi in località oggi chiamata aloni (αλώνι), cioè aia, dovettero formare una catena umana tenendosi per mano e sfilare così, uno dopo l’altro, davanti al plotone di esecuzione che decapitava uno a uno quelli che gli passavano davanti. Attualmente viene eseguita a conclusione di una cerimonia religiosa che ha luogo ogni Martedì Santo. La danza viene condotta dagli uomini più anziani, seguono i più giovani e in seguito le donne in ordine di età.
È una danza assai spettacolare che si svolge entro una sequenza di scenografie di immediato effetto. Nel corso dell’esecuzione, i partecipanti si separano e con le mani alzate formano un arco sotto il quale passano tutti i danzatori, in modo però tale da creare molte spirali una di fronte all’altra sì da presentare una estesa immagine di labirinto.
Il Kanghelleftòs fa parte della categoria delle danze storiche. Oltre all’accompagnamento strumentale (violino, liuto, percussioni), vi è sempre anche un accompagnamento vocale: in tal modo la danza viene contemporaneamente cantata. Il ritmo è di 2/4, la direzione al solito antioraria. La parte iniziale viene eseguita a circolo aperto, per proseguire poi in forma labirintica. I danzatori si allacciano a braccetto. La danza è costituita da una serie di 5 passi.
Nelle cittadine di Epanomì e di Trìlofos 50) è consuetudine eseguire, specie in occasione di matrimoni, la danza chiamata Protòpsomo (πρωτόψωμο), ovvero “primo pane” del matrimonio. Si esegue in casa della futura sposa e del futuro sposo separatamente, di solito il sabato pomeriggio. Precede la cottura del pane che la sera i parenti e le amiche della sposa adornano con foglie di ulivo, collocando nel centro, legata a un filo rosso, la vera nuziale della donna e la vera nuziale dell’uomo. Nella danza che segue il pane viene portato in giro dalla prima danzatrice (corifèa), mentre la seconda porta un piatto con miele o mosto dolce. Alla fine della danza il pane viene tagliato e distribuito ai danzatori che lo bagnano nel miele o mosto prima di mangiarlo. Rimane solo la parte centrale, chiamata “mela”, contenente la vera, che viene consegnata alla futura sposa e futuro sposo.
Il Protòpsomo si danza in ciclo aperto e in senso antiorario. Le mani si allacciano all’altezza delle spalle formando una W. Sono 6 i passi di ogni serie. La canzone che accompagna la danza è scritta in 2/4. È una danza solitamente per sole donne. Non vi è accompagnamento strumentale, 51) ma solo l’accompagnamento vocale della canzone.
Nella regione di Kosani è molto amata la danza Èndeka (Έντεκα), alla lettera 11, una danza in passato eseguita presso gli strati popolari, all’aria aperta, intorno a grandi fuochi accesi, specialmente durante il cosiddetto Dodekaìmero (Δωδεκαήμερο), ossia i dodici giorni che vanno dal 25 dicembre al 6 gennaio successivo. Oggi trova felice esecuzione nelle grandi festività del Carnevale e in numerose circostanze della vita di società.
Contrariamente alla maggior parte delle danze tradizionali greche, la danza Endeka non viene eseguita in circolo, ma a coppie, uomo e donna, due donne, due uomini, uno di fronte all’altro, in una sequenza di 8 passi secondo il tempo di 9/8, tipico della forma Karsilamàs.
Il nome della danza (Undici) ha a che fare con l’epoca della turcocrazia durante la quale ai greci era vietato circolare dopo le 11 di sera. Così, nei caffè dell’epoca per concludere la giornata questa veniva eseguita come ultima danza appunto poco prima delle 23, prima di tornare a casa.
Anche in Macedonia è usuale la danza Sirtòs aperto, con una serie di 12 passi. A differenza tuttavia del Sirtòs in altre regioni, in Macedonia l’ultimo incrocio dei passi avviene all’indietro anziché in avanti, mentre l’allacciamento delle mani è a gomito piegato a W invece che abbassate a mo’ di V rovesciata.

e) Danze della Tracia

A est della Macedonia si trova la regione della Tracia occidentale, di antichissime origini, tradizioni e cultura popolare, di riti, misteri e consuetudini che si perdono nella notte dei tempi in primordiali memorie di una semantica commistione di divino e umano…
La danza di maggior spicco, a carattere pantracico, che vi si riscontra è il Zonaràdikos (ζωναράδικος) o anche Znaràdikos, nel ritmo di 6/8 suddivisi in 3/8+3/8. Durante la danza è assolutamente caratteristica e unica la posizione delle mani, le quali non sono allacciate tra i danzatori, come in tutte le danze tradizionali, ma stringono le cinghie dei calzoni, ζωνάρια, ζουνάρια, ζνάρια (zonària, zunària, znària; con la z pronunciata come la s di rosa), cioè appunto “cinture”, mentre il movimento dei piedi è rapido e corredato da molti saltelli, vivacemente eseguiti.
Possono parteciparvi sia uomini sia donne, alternati o no. 52) Come al solito la danza si svolge in senso antiorario e in circolo aperto. Ogni serie comprende 6 passi nel corso di tre misure musicali. Vi sono però località dove la danza si esprime in 12 passi, ossia 2 volte 6. 53)
Una danza invece del tutto diversa da quelle sinora passate in rassegna, che viene eseguita in Tracia, è il Mandilàtos (μαντηλάτος), nome proveniente dal termine μαντήλι, fazzoletto, che i danzatori stringono in una o entrambe le mani: e gli stessi, anziché allacciati per le mani, danzano a due a due, uno di fronte all’altro, in disposizioni miste, donna con donna, uomo con uomo, donna con uomo. È anche possibile che il Mandilatos venga danzato in forma ciclica o in linea retta, in una fila dove si alternano uomini e donne, sempre però uno di fronte all’altra, come avviene in un’altra famosa danza, il Karsilamàs, più sopra menzionato.
La danza può essere accompagnata dal canto e in tale circostanza è più lenta, non potendo i cantanti/danzatori sostenere un ritmo veloce della canzone. Con l’accompagnamento strumentale la danza recupera il proprio ritmo veloce sollevando l’entusiasmo dei partecipanti,
Il Mandilàtos viene danzato in 7/8 (4/8 + 3/8), ritmicamente pertanto opposto rispetto al Kalamatianòs, pure in 7/8, ma suddivisi in 3/8+2/8+2/8. Viene ugualmente danzato in senso antiorario. Le mani rimangono libere: le donne stringono in una mano un fazzoletto, mentre l’altra è appoggiata sull’anca, oppure con entrambe le mani alzate stringono i due angoli del fazzoletto; gli uomini invece tengono le mani dietro la schiena o leggermente alzate a livello di gomito.
Ogni serie di passi ne contiene 6. 54)
Proveniente dalla Rumelia orientale, regione meridionale della Bulgaria, è la danza Podaraki (ποδαράκι). Consiste in due parti che si alternano al ritmo di 6/8. È una danza mista, in circoloo aperto, con le mani che si stringono tenendosi basse a forma di V. I passi sono 28, ossia 14 passi per ogni parte danzante, con l’ultimo passo di ogni serie di 14 a battere sul pavimento. I danzatori eseguono 2 parti verso destra, 2 parti verso sinistra e 2 parti sul posto.
Un’altra danza tra le preferite è la Baiduska, eseguita anche in Macedonia, pure articolata in tre sezioni: in direzione oraria, sul posto e in direzione antioraria. È chiaramente una danza di natura guerriera, che sembra replicare i movimenti dei combattenti in una battaglia, ancor più accentuata dai gridi emessi dai danzatori, esclusivamente uomini. Contiene una serie di 10 passi eseguiti in circolo aperto al ritmo di 5/4 o 5/8.

f) Danze del Ponto

La zona costiera della Turchia sul Mar Nero, con una profondità nell’entroterra fino a cento chilometri, costituisce quella che sin dall’antichità i Greci chiamavano Pontos (Πόντος), mentre Pontus era nominato dai Romani.
È una regione di plurisecolare stanziamento greco che ebbe modo di creare una esemplare civiltà e umanità anche attraverso un linguaggio di particolare consistenza espressiva, dove a tutt’oggi numerose reminiscenze ed eredità della Grecia antica (specialmente omerismi) continuano a far concreta e pratica parte del modo di intendersi.
La tradizione orchestica pontiaca è ricca e varia. Una danza a carattere generale è il Dipat (διπάτ), chiamato anche Omal di Trapezunda (Normale di Trapezunda), dal nome della città (Trapezunda) dove è stato creato e si rese celebre. Fa parte di un cospicuo gruppo di danze Omal, tra le quali anche il Tripat, il Jentiara e il Tamsara.
È molto probabile che il nome di Dipat derivi dal fatto che esso comprende due complessivi elementi metrici, il 4/8 e il 5/8, cioè due πατ / πατημασιές, ovvero due passi. D’altra parte di tratta di una danza tipicamente tranquilla, posata, armoniosa e perfino solenne, molto vicina alla maggior parte delle pontiache canzoni akrìtike. A comprova di quanto precede va ricordato che il Dipat era la danza preferita, e si direbbe classica, delle persone di venerabile età e dei “padroni di casa”: la specificazione distintiva che lo caratterizza è il κοδεσπενακόν ομάλ (kodespenakòn omal), ossia danza Omal degli οικοδεσπότες, dei padroni di casa. Sembrerebbe infine che provenga da una più antica danza teleturgica in onore della dea Εστία (Estìa), protettrice della famiglia e della casa familiare. È quindi una danza di naturale mitezza ed etica serenità.
Il Dipat costituisce sempre la danza di apertura di ogni manifestazione, familiare, pubblica (in città o in campagna), di festività rurale o religiosa. È naturalmente una danza collettiva, ciclica, in cui i partecipanti possono essere indifferentemente sia donne sia uomini. 55) La canzone e l’accompagnmamento ritmico è di 9/8, articolati in 2/8+2/8+2/8+3/8. La direzione di danza è in senso antiorario, con l’allacciamento delle mani in forma di W, le palme unite a livello di spalle, i gomiti all’altezza delle anche. Comprende 12 passi suddivisi in tre volte quattro passi differenti. 56)
Al secondo posto per celebrità. dopo la danza serra, appartenente alla categoria dell’antico Pirrichio, si trova la Kòtsari (κότσαρι) in tutta la regione del Ponto. Diverse sono le interpretazioni circa il significato del nome di questa danza: forse dal termine κοτς (kots), come si chiama in lingua pontiaca l’ariete, animale sacro del culto a Diòniso; oppure dal termine κότσια, nel senso di “ossa dure”, in quanto ci vogliono potenti ossa per poterla eseguire; oppure dal nome Κωτσάρις (Kotsàris), ovvero Costantino, nomignolo di un ignoto ma sembrerebbe famoso danzatore; oppure infine – e sembra questa la “versione” più accreditata e corretta – dai primi passi della danza che corrispondono a due saltelli, κουτσά βήματα (κοτσά, in linguaggio pontìaco) cioè “passi zopppicanti”, che vengono compiuti nelle prime quattro misure della danza.
Questa era molto in voga nella parte orientale del Ponto, la regione di Kars accanto al Caucaso. Inizialmente era una danza per soli uomini, una danza guerriera; attualmente viene danzata anche dalle donne. Il ritmo è veloce, in 2/4. Il kòtsari viene effettuato in ciclo chiuso o, in prevalenza, in semicerechio, sempre in direzione antioraria. Le mani dei danzatori si posano sulle spalle. La danza consiste in 8 passi suddivisi in due “quartine”. I primi quattro passi sono eseguiti quasi sul posto, mentre i secondi quattro si svolgono con un leggero movimento nel senso della danza. 57)
Nella regione di Trapezunda (Trabsun, ora in turco), nel Ponto centrale, è in voga un’altra danza tradizionale chiamata Trigona (τριγώνα), una danza fondamentalmente semplice nella sequenza dei passi, e simboleggiante il taglio della legna.
La tradizione ricorda una donna, chiamata appunto Trigona (Τριγώνα), un nome peraltro molto corrente nella regione del Ponto, la quale andava nel bosco a tagliar legna per la casa al posto del marito scansafatiche e inetto, donde la composizione della canzone omonima e di seguito la danza. D’altra parte, in un’altra “versione”, il nome della danza si collega direttamente all’uccello τρυγόνα o τριγώνα, la femmina della tortora. Comunque sia, la danza Trigona appartiene alla categoria delle danze femminili, danzate solo dalle donne e, per altro verso, danze naturalmente rurali.
Il ritmo è pure di 2/4, ed è una delle poche eseguite in senso orario, cioè da sinistra verso destra, con le mani allacciate all’altezza delle spalle e i gomiti piegati a W. La serie danzata è costituita da 8 passi divisi in due parti di quattro passi ciascuna. 58)
Un’altra danza pontiaca di notevole successo è quella chiamata Tik, sul ritmo di 2/4 e 6 passi per ogni serie. Contrariamente al modo “tremolante” dei passi delle più note danze del Ponto, il Tik presenta la caratteristica delle ginocchia che si piegano leggermente in una specie di molleggio, mentre le mani allacciate in direzione del pavimento si muovono a pendolo avanti/indietro.

g) Danze della Grecia centrale

Tra le più familiari e frequenti danze della regione troviamo quella chiamata Luluvikos (λουλουβίκος). Viene danzata a Mègara nell’Attica, soprattutto nel periodo di Carnevale, ma anche molto spesso nei festeggiamenti nuziali.
Per alcuni, il nome pare risalire a “Ludovikos”, per tradizione nome di nave; per altri, si riferisce a un Ludovico, re di Francia, quale invocazione di aiuto da parte dei greci in epoca prerivoluzionaria (ante 1821) per liberarsi dal giogo ottomano.
È una danza tipicamente femminile, al ritmo di 2/4 e con un accompagnamento strumentale analogo a quello del complesso musicale smirniota o micrasiatico: sandùri, clarinetto, violino, lagùto, percussioni. 59) Viene danzata in circolo aperto, in senso antiorario, mentre le mani aperte poggiano sulle spalle della danzatrice di destra e di sinistra. È costituita da due parti distinte: una prima di 6 passi, piani ma gioiosi, e una seconda di altri 6 passi a salto e flessioni delle ginocchia. 60)
Nella stessa città di Mègara viene eseguita un’altra danza che riscuote grande favore e che il popolo balla il primo martedi dopo la Pasqua sul sagrato della chiesa di San Giovanni il Galileo, soprannominato Danzatore, seguendo il detto popolare όσο είναι ο Ανέστης στη γη, cioè “fintanto che il Risorto sta sulla terra”: 61) è la danza Καμάρα, Kamàra, alla lettera “arco”, accompagnata dal canto esclusivo di quattro cantanti donne, senza intervento di strumenti musicali.
Il particolare della parte cantata consiste nel fatto che le quattro cantanti stanno in coda alle danzatrici e la canzone viene interpretata in una specie di proposta e risposta, alternativamente dalle prime due cantanti e poi dalle altre due. Un’altra particolarità concerne poi la buona intonazione delle voci e la loro potenza, dovendo aver la capacità di condurre il ritmo della danza di tutti i partecipanti.
Anche Kamàra è pertanto una danza “femminile”, senza limiti di età, con la precisazione però che a guida della danza si pongono donne di mezza età ed esperte, mentre le più giovani chiudono il ciclo. Interessante caratteristica è quella della tipologia vestimentaria tenuta dalle danzatrici: nei primi posti della fila stanno le donne che vestono i tradizionali vestiti nuziali, e seguono quelle con i normali vestiti quotidiani, 62) il che tradisce altresì una palese, intenzionale indicazione del censo e della consistenza economica di ogni partecipante alla danza.
L’allacciamento delle mani è unico nel suo genere e non si riscontrra in nessun’altra danza tradizionale. Le mani si tengono incrociate, con la prima danzatrice a tener la mano della terza danzatrice davanti alla seconda danzatrice la quale stringe la mano della quarta danzatrice davanti al corpo della terza, e così di seguito. I passi della serie sono 8, cinque in avanti e tre indietro. Le danzatrici danzano in gruppi composti da non meno di quindici persone.
La Kamàra appartiene al genere delle cosiddette Danze del Peschereccio o della sciabica.
Sembrerebbe infatti che un tipo di Danza del Peschereccio, simile a Kamàra, fosse danzata durante l’antichità. Come già innanzi menzionato, a Ruvo di Puglia, sulle pareti di una tomba del 400 a.C. circa, è stata scoperta la figurazione di una danza di donne greche con le mani allacciate nel modo dianzi esposto e analogo movimento dei piedi. L’insieme dei gesti e comportamenti sarebbe la rappresentazione dei movimenti dei pescatori nell’atto di tirar su le reti. Donde, quindi, la denominazione di Danza del Peschereccio o della Sciabica. 63)

h) Danze della Tessaglia.

Danza caratteristica della Tessaglia, sino a poco tempo fa esclusivamente femminile, ma da alcuni anni in qua divenuta “mista” con l’aggiunta di un secondo circolo maschile esterno a quello delle donne, è la Karaguna. Il significato del nome per alcuni si riferisce a καρά-γκούνα (pelliccia nera), mentre per altri a κάρα-κούνα (muovi il capo).
Al ritmo di 4/4 o 2/4, la Karaguna si danza con i ballerini che si tengono per le mani con gomiti alzati a forma di W.
Sempre nella Tessaglia, ancora una danza al femminile è Ta Kukià (Τα Κουκιά). Nel tempo di 2/4, si compone di due parti che si ripetono: la prima con le mani allacciate a W, mentre nella seconda le mani libere mimano gesti diversi come se piantassero semi, sarchiassero la terra, raccogliessero le fave (κουκιά) e le caricassero sulle spalle.
Un’altra danza familiare (con molta probabilità originaria dell’Epiro) è il Kagheli (καγκέλι), per uomini e donne, con i passi del Kalamatianòs a saltelli liberi di eseguire diverse figurazioni. All’inizio è a circolo chiuso e andatura lenta, ma successivamente “spezzandosi” vengono a formarsi coppie che danzano a tema libero. Al ritmo di 7/8 della prima parte della danza succede il più rapido 2/4 della seconda e conclusiva.

i) Danze dei griki dell’Italia meridionale

Com’è noto, nell’antichità ellenica l’intera regione che oggi comprende la Puglia, la Calabria e la Sicilia costituiva la Magna Graecia, la Grande Grecia, dove le principali città-stato del territorio metropolitano greco avevano fondato molte colonie andate poi famose nella storia (Metaponto, Crotone, Sìbari, Taranto, Reggio, Nasso, Leontini, Catana, Messina).
Attualmente in Puglia e in Calabria sono vive, quali minoranze etniche protette da apposita legislazione, diverse comunità, per alcuni (G. Rohlfs) di discendenti dagli antichi greci ivi giunti nell’VIII sec. a.C., e per altri (G. Morosi e A. Pellegrini) provenienti da popolazioni bizantine stanziatesi molto più tardi nei sec. VI-IX d.C.: sono i Griki in Puglia e i Grecani o Grecanici in Calabria, che parlano rispettivamente il dialetto greco-salentino e greco-calabro, nei quali ai primordiali elementi etimologici ellenici in parte evoluti nel corso del tempo sono venute a mescolarsi interferenze dialettali locali (pugliesi e calabresi) in un linguaggio di delicata tessitura estremamente espressivo.
Nel sud della Puglia viene danzata la Pizzica Pizzica o Pizzica tarantata, variante della Tarantella (o quest’ultima variante della prima), sul ritmo musicale della stessa. Chiaramente la sua derivazione si riferisce al morso del ragno Lycosa tarantula, un tempo molto frequente nella zona di Taranto.
È una danza a carattere esorcistico e terapeutico, eseguita principalmente da donne 64) con accompagnamento di violino, organetto e tamburello (delle volte anche fisarmonica). Tradizionalmente il complesso musicale deve essere in grado di suonare almeno 12 differenti motivi su altrettanti scale diverse, pertanto con diversa colorazione tonale e sonora, sì da offrire alla donna “tarantata” la possibilità di “trovare” il motivo a lei più consono che attiverà quindi l’inizio della danza i cui movimenti, insieme al “colore” della musica, provocheranno l’espulsione del veleno attraverso il sudore (ciò che può avvenire fino al completo esaurimento della danzatrice, perfino distesa sul suolo, quando perviene alla guarigione).
La Pizzica Tarantata costituisce pertanto una specie di cerimonia teleturgica di tipo dionisiaco, come si riscontra nelle antiche rappresentazioni di baccanti in delirio di danza, soprattutto quando la donna danzando scuote un tamburello. Nell’antichità, pur con ovviamente diversa valenza simbolica, le Mènadi danzanti scuotevano dei tirsi.
In occasione di festeggiamenti nuziali viene altresì danzata la Pizzica de core, danza di corteggiamento nella quale i ballerini, sempre un uomo e una donna, si avvicinano e si allontanano tra di loro senza mai sfiorarsi, esprimendo sentimenti d’amore, passione ed erotismo. La donna sventola un fazzoletto rosso al ritmo frenetico dei tamburelli e di altri strumenti.
È un ballo a passi liberi, cadenzati unicamente secondo il ritmo della musica adottata.
Risalente a epoche lontane, nella provincia di Lecce, innanzi tutto, ma anche in quelle di Brindisi e Taranto, viene danzata la Pizzica-scherma o schermata, nota anche come Danza delle Spade. I danzatori, solo uomini, simulano un combattimento in una sfida “mortale”. In luogo dei coltelli o pugnali, originariamente utilizzati, adesso sono le dita delle mani (l’indice e il medio) che fungono da strumenti di offesa.
Nel Salento leccese, in località Torrepaduli, la Pizzica-scherma viene ancor oggi eseguita in occasione della festa di San Rocco i giorni 15 e 16 agosto. Nella manifestazione è possibile riscontrare due stili esecutivi diversi, uno detto “leccese” e uno chiamato “zingaro”, distinte espressioni di un complesso dizionario gestuale riservato a soli iniziati.
La ripetizione dei passi obbedisce a precise codificazioni al suono di armoniche a bocca e tamburelli disposti, insieme agli astanti, in cerchio (ronda), con regole fisse da rispettare (i duellanti non possono voltarsi le spalle, devono stare sempre vigili, devono osservare le distanze prestabilite).
A proposito è d’uopo ricordare che, ai suoi inizi, la Pizzica-scherma era riservata a uomini in prevalenza malavitosi, già esperti delle procedure di ballo e addirittura “presentati” in pubblico da un “compare” in veste di “garante”. Oggidì la danza ha assunto volentieri una carattere a contenuto amoroso, una specie di sfida tra contendenti la stessa donna.
Una analoga versione chiamata Tarantella schermata viene eseguita in provincia di Reggio Calabria: danza esclusivamente maschile, forse anch’essa originaria degli ambienti della ‘ndrangheta.
Detto questo per opportuna memoria delle risorse coreutiche della regione, non è possibile, d’altra parte, non porsi la domanda sino a che punto tali danze possano o debbano o meno considerarsi moderni addentellati di antiche tradizioni risalenti alle originarie genti greche o bizantine che siano, oppure se invece si tratti di preesistenti forme danzanti presso le allora originarie popolazioni.

grecia danze tradizionali
Pizzica eseguita dal gruppo Canzoniere Grecanico Salentino.

l) Danze di Cipro

Estrema propaggine dell’Ellenismo nel Mediterraneo orientale, Cipro sin dal 1200-1100 a.C. nutre e conserva la lingua e la cultura greca arricchendola con le proprie tradizioni ed esperienze linguistiche in un millenario processo di assimilazione ed evoluzione.
Quanto all’arte orchestica delle danze tradizionali, oltre a determinate forme di origine ellàdica e micrasiatica (Kalamatianòs, Sirtòs, Balos), ereditate in prevalenza nei secoli XVII e XVIII, fioriscono vivamente a Cipro numerose autoctone espressioni di danza differenziate a seconda della regione e dell’epoca di creazione. 65)
Fondamentale caratteristica delle danze demotiche cipriote è quella di essere frontali, nel senso in cui i danzatori (sempre in due) si pongono uno di fronte all’altro. Non meno importante particolarità altresì è la separazione dei sessi: vi sono cioè rigorosamente danze di soli uomini e danze di sole donne, il che significa pertanto inesistenza di danze miste. Infine, un non trascurabile terzo elemento discriminante consiste nella individualità delle danze, per cui anche se sono in due a danzare, come detto dianzi, ciascuno di essi esegue passi e gesti che nulla hanno a che vedere con quelli dell’altro. Accade anche che, mentre la danza viene eseguita da un singolo danzatore, questi è talora “coadiuvato” da una seconda figura con il compito di costituire una specie di “danzatore passivo” per far in tal modo risaltare la bravura e l’abilità del protagonista. Mancano quindi del tutto le “danze collettive”, preponderante caratteristica invece dell’orchestica demotica in Grecia.
Per quanto riguarda i gesti e i movimenti dei piedi e delle mani, le danze cipriote tecnicamente si accostano a quelle proprie delle isole dell’Egeo, dello Ionio e delle coste dell’Asia Minore, senza con questo escludere la presenza di movenze particolari di esclusiva genesi e appartenenaza cipriota, come per esempio il battere dei piedi sul suolo o i passi incrociati sul posto.
Ulteriore segno distintivo dell’orchestica tradizionale cipriota è l’improvvisazione, possibile proprio per il fatto che i danzatori sono sempre in due, in tutte le danze, ciò che implica uno spontaneo e intenso confronto emulativo pur tuttavia sottoposto all’esame critico del circostante contesto sociale, che funge in una certa maniera da “filtro” giudicante per ogni ipotesi di eccessi espressivi.
Dato quanto precede, se ne deduce la totale assenza a Cipro di danze circolari, aperte o chiuse, contrariamente, in modo diametrale, a quanto avviene in ambito ellàdico.
Danza primaria per uomini e donne è il Kartsilamàs (in Grecia chiamato Karsilamàs): danza naturalmente frontale a coppie, costituita in sostanza da una catena di danze successive, sezioni di un complesso organico e fisso. Così, al Kartsilamàs o Primo seguono il Secondo, il Terzo, il Quarto, il Quinto o Mandra: un ciclo, una serie di sei danze che vengono completate con un finale Kalamatianòs, di panellenica valenza, che permette, una tantum, la partecipazione di tutti i ballerini in una esibizione circolare.
Alla bipolarità delle danze popolari cipriote corrisponde quindi la logica partizione in danze femminili e danze maschili, alle quali si aggiunge una terza categoria, le danze individuali, di solito eseguite da uomini.

Danze femminili

Ovviamente il Kartsilamàs, in sole quattro parti però, e il Sirtòs sono le danze più praticate. In alcune zone viene eseguita la Danza Arma, comunque appartenente al genere Sirtòs, mentre in altre la preferenza va al Balos, una danza, come sappiamo, prettamente isolana, collocata come ultima parte della “tetralogia orchestica”, prima del sirtòs, e in altre zone ancora lo arapiès e altrove infine la Susta, anch’essa tipica del repertorio isolano egeo.
Tutte le danze femminili vengono eseguite in maniera pacata, ”morbida”, armoniosa e fluida, quasi grave, spesso praticamente sul posto, con le mani appoggiate sui fianchi o alzate a mezza altezza a forma di U oppure pendenti sui fianchi o unite davanti al corpo o protese a tener disteso un fazzoletto, nel qual caso la danza prende il nome di Mandilin (μαντήλιν), ossia fazzoletto.
La sequenza dei passi del Primo concorda con quella del Quarto, mentre la sequenza del Secondo è la stessa con quella del Terzo e del conslusivo Sirtòs.

Danze maschili

I danzatori si pongono uno di fronte all’altro, con le braccia alzate di fianco. Di particolare interesse sono gli schiocchi (τσακρίσματα) delle dita delle mani, e per ottenere uno schiocco più forte e sonoro i danzatori prima di iniziare impolverano le dita sfiorando il suolo, la terra o i tacchi delle scarpe!
Come sopra ricordato, la serie delle danze comincia con il Kartsilamàs (καρτσιλαμάς) o Primo seguito dagli altri tre (Secondo, Terzo, Quarto) per finire con il Sirtòs a 6 passi di serie nel tempo di 2/4. Questo viene dapprima eseguito da uno dei due danzatori, mentre il secondo sventola il fazzoletto o batte le mani, dopodiché è la volta del secondo a danzare, mentre il primo tiene il fazzoletto o batte le mani. In alcune regioni di Cipro la serie viene chiusa con la Mandra (μάντρα). In passato tra Sirtòs e Mandra i danzatori eseguivano danze individuali come lo Zeipèkkikos (ζεϊπέκκικος), il Karotseris (καροτσέρης), il Màsceran (μάσαιραν), il Drepànin (δρεπάνιν), la Tatsà (τατσά) con il potìrin (ποτήριν) o l’Arapiès tis kandìlas (αραπιές της καντήλας), quattro danze, queste ultime, ancor oggi praticate, come qui di seguito esposto.

Danze individuali

Il danzatore improvvisa i passi liberamente, dal più semplice al più complesso, in tal modo rivelando la propria abilità, forza fisica e fantasia.
Drepanin. È la danza della falce (δρεπάνιν). E chiaramente è una danza che si esegue d’estate durante la mietitura. Il danzatore, nella piena autonomia dei passi, “giostra” con la falce passandola abilmente sopra la propria testa e intorno al corpo nel contempo piegandosi come a mietere di striscio le spighe. 66)
Tatsà. Danza eminentemente di abilità. Il danzatore pone sulla propria testa un setaccio contenente un bicchiere (ποτήριν) pieno di acqua o di vino: danzando non deve versare neanche una goccia di liquido. Oggidì il danzatore, anche ai fini dell’attrazione turistica, pur continuando a muovere i passi della danza, fa posare su un vassoio, uno sopra l’altro, vari piattini con un bicchiere pieno di acqua che non deve essere versata. Il più capace potrebbe tenere sul capo più di 10-15 piattini con altrettanti bicchieri sovrapposti rendendo oltremodo impressionante il gesto della danza.
Arapiès tis mandìlas. Anche qui il danzatore dopo aver coperto con un fazzoletto un bicchiere semipieno di acqua, di scatto lo capovolge e lo pone sulla propria testa; e senza smettere di danzare cerca di tenerlo in equilibrio senza farlo cadere. Il culmine della suspense sta nei momenti in cui il danzatore si piega all’indietro con la testa in verticale lentamente ritornando poi alla iniziale posizione eretta.
Màsceran. Danza individuale, questa, ma con la presenza di un co-danzatore. Il protagonista stringendo in mano un coltello o un temperino gira danzando intorno alla comparsa. Conficcando poi il coltello nel suolo, vi danza sopra e tutt’intorno, per finire sfiorando col coltello a più riprese il corpo e il viso del passivo “interlocutore” con gesti rapidi e precisi. In alcune regioni la pantomima danzante prevede altresì il simulato “accoltellamento” e “morte” dell’“altro”. Il danzatore se lo carica poi sulle spalle per le batture finali della danza.

Allacciamenti delle mani

In conclusione ci sembra di utile e interessante presentare i vari tipi di allacciamento delle mani come si riscontrano nelle danze tradizionali che abbiamo descritto nell’articolo. 67)

 

 
 
 

N O T E
 
1) In verità, in simili occasioni le danze che vengono espresse non rientrano nel novero delle danze che il greco riconosce e accetta come danze vere e proprie e, per così dire, “classiche”.
2) È chiaro, pertanto, che le danze della tradizione popolare di cui alla precedente nota, se separate dal fine per il quale vengono eseguite, non riflettono nessuna esigenza umana fisica o sentimentale e non posseggono quindi nessuna autonomia di esistenza.
3) In italiano si potrebbe dire duo o duetto.
4) In italiano è possibile definirla complesso, che può essere un quartetto, di solito, ma anche un quintetto o sestetto, più raramente.
5) Come la lira cretese, anche il kemenzès pontiaco si suona poggiato su una coscia dello strumentista seduto.
6) Che è la danza più diffusa in Grecia, essendo la più semplice come passi e quindi più facile e accessibile a chiunque, giovane o vecchio.
7) R. Luzakis, La danza tradizionale in Grecia, ed. Philoxenia ’85 di Hellexpo Thessaloniki 1985, pag. 54.
8) K. G. Sachinidis, Elementi storici e militari nelle danze tradizionali della nostra patria, in riv. “Rivista Aerea” n. 79, sett. 2006, pag. 85.
9) In verità, in quei periodi di decadenza della civiltà greco-romana e di depravazione dei costumi la danza si era ridotta a essere semplicemente uno sfoggio di sfrenata lussuria e libertinaggio.
10) Rimembranza delle danze di David, ma anche dell’epoca classica della Grecia antica.
11) Barca a remi, piccolo peschereccio, così per estensione chiamata in quanto utilizza la rete detta sciabica.
12) S. Kadàs, Il Monte Santo. I monasteri e i loro tesori, Atene 1993, pagg. 188-9; Th. Provatakis, Danze greche – Monte Santo, Thessaloniki, s.d., pagg. 11, 19; F. Kakulès, Vita e civiltà dei Bizantini, vol V, Atene 1948, pag. 216.
13) D. Stratu, Danze tradizionali greche, Atene 1978, pag. 172.
14) St. J. Efstathiadis, Le canzoni del popolo pontiaco, Thessaloniki 1986, pag. 119.
15) T. Bàitsis, Janìtsari e Bules, Nàussa 1968, Thessaloniki 20012; D. Stratu, op, cit., pag. 45; S. G. Dimitrakòpulos, Storia e canzone demotica, Atene 1993, pagg. 32, 34, 135-136.
16) I.Th. Tsuchlarakis, Le danze di Creta. Miti, storia, tradizione, Centro Studi Civiltà Cretese, Atene 2000, pagg. 94-96.
17) G. D. Bazìs, Dotsikò, Atene 1999, pagg. 77-78.
18) È palese l’analogia con le danze che, nell’antichità, solevano eseguire i soldati greci prima di ogni battaglia.
19) “Discese” ovviamente dalle montagne dove i kleftes avevano i loro rifugi, in luoghi di difficile e pericoloso accesso, fuori dal controllo dei turchi.
20) T. Bàitsis, op. cit, pagg. 43-44.
21) G. N. Ekaterinidis, Il Carnevale di Sochòs, Atti III Simposio di Laografia, Atene 1984, pag. 13.
22) Nel culto della Chiesa ortodossa greca è uno dei Santi guerrieri, insieme a San Demetrio e San Giorgio.
23) G. K. Spiridakis, Il numero 40 presso i Bizantini e i Greci moderni, Atene 1939, pag. 80.
24) G. A. Megas, Feste e usanze greche del culto popolare, Atene 1992, pagg. 72-73.
25) S. G. Dimitrakopulos, op. cit., pag. 92.
26) Cittadina della Grecia occidentale, assediata dai turchi e andata famosa per l’eroica uscita degli assediati il 10-4-1826.
27) G. Komsiàs, La sagra di Aji-Agathì, Etolikò 1999, pagg. 49, 53.
28) K. G. Sachinidis, Messolonghi – Etolikò. Storia e tradizione musicale e orchestica, Atene 2002, pag. 55.
29) K. G. Sachinidis, op. cit., pag. 91.
30) K. G. Sachinidis, Danze di lamento e culto dei morti, Atene 1998, pagg. 269-270; K. G. Sachinidis, Elementi storici e militari nelle danze tradizionali della nostra patria, in riv. “Rivista Aerea”, n. 79, set. 2006, pagg. 127-128.
31) Omero, Iliade XVIII, vv. 490-606.
32) Senofonte, Simposio 2, 16.
33) Luciano, La Danza, Venezia 1992.
34) Per una esauriente conoscenza della relazione tra passi eseguiti e tessuto musicale di accompagnamento, v. J. Ch. Likessàs, Le danze greche – Considerazioni storiche, culturali, sociologiche e musicocinetiche, Thessaloniki 1993, pagg. 129-132.
35) Omero, Iliade XVIII, vv. 490-494.
36) Oggi il tsàmikos viene danzato anche dalle donne, con movimenti, tuttavia, molto meno violenti e decisi, con gesti più tranquilli e salti quasi a livello di terreno.
37) v. J. Ch. Likessàs, op. cit., pagg. 137-141.
38) Termine la cui radice jer (γερ) contiene il significato di “girare intorno”, “andare attraversi meandri”. A proposito, v. Plutarco, Vite parallele (Vita di Teseo), 21. Altresì, Omero, Iliade XVIII, v. 590.
39) Lettres de Mme Chenier, Èditions Charavay, Paris 1879.
40) La danza Sirtòs è certamente la più diffusa a livello nazionale in Grecia. In pratica, come s’è già visto, non v’è regione dove non venga eseguita una danza chiamata ”sirtòs”, tutte nondimeno con una identica mens orchestica e nella maggioranza seguendo una pressoché identica consecutio di passi e gesti.
41) v. J. Ch. Likessàs, op. cit., pagg. 186-187. Anche S. Toska-Kambà, Danze tradizionali delle isole, Atene 1991, pag. 80.
42) La prima, simile a un piccolo violino a forma di pera, si suona poggiandola ritta, verticale, sopra un ginocchio con l’archetto utilizzato come nel violoncello; il secondo, una specie di liuto a sei corde e una cassa assai “panciuta”, con l’ultimo segmento del manico leggermente piegato verso l’esterno e contenente i bischeri delle corde.
43) Palese la derivazione dal termine ruga dal francese rue attraverso la modifica di rua.
44) Per lo svolgimento delle serie di passi, v. J. Ch. Likessàs, op.cit., pagg. 193 e 195.
45) Un numero dispari, quindi, in ciò differenziandosi da tutte le altre danze incluse in uno spazio musicale sempre pari.
46) La z iniziale da pronunciarsi coma la s di ”rosa”.
47) Per quanto riguarda il movimento dei passi, v. J. Ch. Likessàs, op. cit., pagg.160-162.
48) v. J. Ch. Likessàs, op. cit., pagg. 164-165.
49) Nelle isole egee di solito tutte le serie di Sirtòs si concludono con un Ballos, la più gentile maniera di “finire in bellezza”.
50) Non lontana da Thessaloniki (Salonicco), nella regione della Macedonia centrale.
51) Per l’analisi dei passi, v. J. Ch. Likessàs, op. cit. , pagg. 152-153.
52) Nel passato, nel circolo della danza gli uomini precedevano le donne e conducevano i passi.
53) v. J. Ch. Likessàs, op. cit., pagg. 144-146. Anche S. Toska-Kambà, Danze tradizionali di Macedonia, Tracia, Asia Minore, Ponto, Atene 1999, pagg. 70 segg.
54) Per lo svolgimento dei passi, v. J. Ch. Likessàs, op,. cit., pag. 149.
55) Enciclopedia dell’Ellenismo Pontìaco, I, Thessaloniki 1988, pag. 274-275.
56) v. J. Ch. Likessàs, op. cit., pagg. 205-206.
57) v. J. Ch. Likessàs, op. cit., pagg. 210-211.
58) Per il movimento dei passi, v. sempre J. Ch. Likessàs, op. cit., pagg. 213-214. Per altre danze tradizionali del Ponto v. K. Sachinidis, Danze del Ponto – Funzioni sociali ed altre, in Atti II Congresso Panellenico di Civiltà Pontìaca, Serres 2/4-11-2001, ed. K. Panopùlu, pagg. 181-193.
59) Il sanduri è uno strumento musicale che, per struttura, si avvicina al cytar; il laguto corrisponde più o meno al nostro liuto.
60) v. J. Ch. Likessàs, op. cit., pagg. 172-173.
61) v. J. Ch. Likessàs, op. cit., pag. 173.
62) Nella lingua locale questi vestiti si chiamano κατιφένια (katifenia), mentre i vestiti di tutti i giorni sono i καπλαμάδες (kaplamàdes).
63) v. J. Ch. Likessàs, op. cit., pag. 178.
64) In origine si riferiva alle contadine che, lavorando nei campi, venivano punte all’interno delle cosce dal ragno il cui veleno provocava una specie di smania che non cessava se non con la danza di esorcizzazione. Al riguardo v. anche K. Sachinidis, La terapeutica danza Pizzica Tarantata presso gli ellenofoni del sud Italia, in riv. Chorostàssi, n. ott.-dic. 2010.
65) S. Toska-Kambà, Danze tradizionali delle isole, Atene 1991, pag. 91. Anche G. Averof, Danze popolari cipriote, Lefkossìa 1978.
66) S. Toska-Kambà, Danze tradizionali delle isole, pagg. 92-93.
67) Le figurazioni sono tratte dal fondamentale compendio op. cit. di J. Ch. Likessàs.