Tutto iniziò con una mistica visione; l’apparizione nel 1867, nel borgo montano calabrese di Bocchigliero, dell’Arcangelo Michele che preannunciò al giovane contadino Leonardo Filippelli una prossima discesa in terra per sconfiggere le forze del male.
In breve, di bocca in bocca, la straordinaria buona novella si diffuse e di lì a poco un gruppo di fedeli si raccolse in fiduciosa attesa sotto la guida del bracciante Matteo Renzo e del contadino Gabriele Donnici, incantati dalle visioni della Madonna da parte della piccola Rachela Berardi che, una volta raggiunti i vent’anni, si credeva dovesse partorire un nuovo Messia pur restando vergine. 1)
Fu in questo modo che nacquero i “Santi” di Bocchigliero, la cui storia presenta curiose similitudini con la vicenda piemontese di alcuni anni prima, quando il sacerdote Francesco Grignaschi capeggiò una rivolta religiosa contadina, proclamandosi “Cristo in seconda venuta” tra mistiche visioni e predicazioni millenariste. 2)

Bocchigliero (foto di Maurizio Mirabelli).

Più singolare appare la contemporaneità dell’emergere del misticismo calabrese con le prime manifestazioni di profetismo apocalittico del barrocciaio toscano Davide Lazzaretti, il quale negli stessi mesi alzava la bandiera della giustizia sociale e annunciava gli ultimi tempi dell’Apocalisse, rivelando anch’egli di essere “Cristo in seconda venuta”.
Nell’Italia dell’Ottocento unita con la forza dalla violenza militare del Risorgimento, Davide Lazzaretti fu lo straordinario, originale e meraviglioso personaggio che diede voce e corpo alle aspirazioni “altre” dei ceti subalterni, 3) finché il 18 agosto 1878 venne ammazzato da un carabiniere mentre capeggiava inerme una pacifica processione religiosa. Assassinato, come scrisse Antonio Gramsci, con “una crudeltà feroce e freddamente premeditata”. 4)
Anche la rivolta religiosa calabrese ebbe un esito drammatico.
L’episodio dei Santi fu oggetto di studio da parte del medico, anch’egli calabrese e noto esponente socialista, Pasquale Rossi. 5) Nel 1899 in un saggio dal titolo Mistici e settari egli chiariva come “ogni movimento mistico collettivo […] è fatto da una credenza catastrofica, per la quale si attende che il presente ruini, da una ricostruzione nell’avvenire, (momento palingenico), alle quali tre cose si crede con fede e religiosità”. 6) E dunque quanto accaduto a Bocchigliero, dove l’arroccamento popolare attorno a valori “di fede e virtù” si contrapponeva a un mondo corrotto e cadente, confermava questo carattere di moto spontaneo di massa di fronte a una profonda crisi della società, com’era effettivamente accaduto a quella meridionale con l’invasione italiana.
Pubblicando nel 1901 Psicologia collettiva morbosa, il dottor Rossi non poteva disinteressarsi di Bocchigliero:

Non più in là del 1862 al 1886 la Calabria cosentina fu spettatrice d’un epidemia religiosa, la quale, sorta in Bocchiglieri – un grosso borgo perduto nell’altipiano della Sila in mezzo a folti boschi – si diffuse all’intorno fino a toccare le provincie di Catanzaro e Reggio, ed ebbe tutti i fenomeni di suggestione, di proselitismo proprii d’ogni epidemia e il suo doloroso epilogo giudiziario, che donò per un istante una celebrità “retentissante” agli oscuri millenari.
Noi non potremmo comprendere appieno questa risorgenza mistica – propria d’altre età – ove non pensassimo alle condizioni d’arresto e d’ambiente, nel quale il fenomeno si svolse. Giacchè l’endemia religiosa sorse in un paese montano, circondato da pinete, con vie impervie anche oggi, tanto più impervie allora. Paese solitario, vivente della vita d’altri tempi, con lo spettacolo immenso dell’altipiano Silano, dove il sublime del panorama s’alterna con l’infinita quiete e con l’altissimo silenzio che tiene il luogo. Lontano o vicino, la linea uniforme della pianura è rotta da una picchiettatura nera, che si allunga talora in una gran macchia, che sfuma nell’orizzonte: sono i piccoli gruppi o le grandi foreste sconfinate di abeti o di pini; mentre dei burroni, dei fiumi, dei ruscelli d’una freschezza cristallina mettono nell’anima una nota di gioia, come di risa argentine di fanciulli.
E poi, per dove volgiate lo sguardo, vi colpiscono lo sguardo mandrie di pecore e di buoi, che, viste da lontano, pigliano l’aspetto di pietre o di macigni e, accanto ad esse, la figura immobile del mandriano, poggiato sul lungo bastone che gli fa da puntello, con gli occhi erranti nel vuoto e come mezzo addormentato.
Nessuno può dire fino a qual punto questa natura così fatta, questo altipiano che l’inverno ricopre la neve col suo bianco lenzuolo, in cui le stelle di notte han dei tremolii e delle dolcezze indefinite, invitino al sogno, alla revérie.
Per queste ragioni appunto è fiorito sempre, là in mezzo, il misticismo: è la natura che rende incline all’estasi, al trascedente, ad una vita che non è della terra. Là è fiorita la profetica e mistica parola di Gioacchino del Fiore; là si incontrano da per tutto gli avanzi d’eremi e cenobi; là l’animo, contristato dallo spettacolo di ferocia del brigante, si risolleva a Dio, onde ogni pastore, specie s’è vecchio, è un veggente e in pochi luoghi vivono tante leggende di revenant quanto nella Sila, cui dànno materia le croci che s’incontrano ad ogni istante o conflitte al suolo o segnate sui pini, indicanti che in quel punto un uomo fu ucciso.
L’animo vive di tutti questi ricordi, noti nei più intimi particolari, tramandati spesso nella leggenda; e da questa molteplice suggestione dell’infinito, del sublime, della solitudine, della inerte vita dello spirito, l’animo assurge a Dio.
I pastori, più degli altri, sono il soggetto di siffatto procedimento psichico; ed è spettacolo imponente imbattersi in codesti uomini, che sono di vita quasi centenaria, giovani a sessanta anni, gravi e solenni come un’antico archimandita, per i quali gli anni scorsero in un mezzo assopimento dello spirito e sentir da loro avvenimenti strani e meravigliosi di scene allucinatorie vissute in una vita, direi quasi di trance.
Il moto vertiginoso della civiltà ha, in gran parte, dissolto questo largo vestigio di società patriarcale; ma ciò non toglie che, nel 1862, fu proprio un pastore, tal Leonardo Filippelli, che, pascolando le greggi ebbe la prima allucinazione mistica. Egli vide Gesù, Giuseppe e Maria, onde cadde per terra in estasi. mentre delle armonie celesti, delle luci sfolgoranti, un senso pieno di delizia gli invasero i sensi.
Sorse, così, la prima setta religiosa, la quale non uscì dall’ambito della dottrina cattolica. Un prete ne pigliò la direzione, tal Giuseppe Maria Donnici, e, morto costui. gli successe un tal Giovanni Nicoletti, che poi finì nel convento dei frati bigi del deserto di Sorrento, dove assunse il nome più mistico che immaginare si possa, di Fra Matteo della Passione e Morte di Nostro Signore.
Due avvenimenti frattanto si maturarono durante gli anni nei quali la novella associazione si veniva formando: una seconda visione del Filippelli, secondo la quale S. Michele Arcangelo disse di voler venire in Bocchiglieri per sconfiggere il demonio che sarebbe per fare sua comparsa in paese; e ne rimane a testimone la statua dell’Arcangelo, fatta venire in questa evenienza; e la lettura della vita dei santi fatta di sera al focolare, nelle notti invernali, dinanzi alla setta riunita. Questo fu un fatto di grande germinazione sicologica, quando si pensi alle lunghe sere invernali, nelle quali d’attorno al fuoco, al lume d’una teda di pino – chè allora non si conoscevano nei paesi montani altra specie di lumi – gli animi degli uomini, delle donne, dei bambini si protendevano verso quei racconti meravigliosi di martiri, di demoni, di angeli, di santi. Alla lettura si alternavano le preci che finivano a sera tardi, onde le immagini gettate là, in quella folla racolta e statica, ingigantite al lume, ora scialbo ora vivo, della teda, che metteva strani contrasti di ombre e di luce, accompagnavano gli individui nei sogni, si continuavano nei discorsi e nelle meditazioni del domani, per accendersi di novella suggestione la sera di poi.
Da questo momento il cenacolo è sorto e le due circostanze – l’apparizione di San Michele, le letture e le germinazioni meravigliose – agiranno ancora quando, scomparsi il Filippelli e il Nicoletti, la setta piglia una nuova piega ascetico-pazzesca, eterodossa.
Un altro elemento psicologico piglia rilievo in questo momento: la folla che ha accolto queste rivelazioni, è in gran parte di massari (fittavoli), gente dal cuore semplice e dalla mente ignorante, e per ciò stesso capace di vivere dell’ingenua fede religiosa e degli esaltamenti mistici d’altri tempi. Ma gente ancora che nei frequenti matrimoni consanguinei, resi necessari dalla piccolezza del paese, dal suo isolamento e dalla rigida divisione in caste; e nella abitudine diffusa dell’ubbriachezza, nei mesi invernali, quando il lavoro dei campi tace: presenta quelle condizioni da cui può assurgere l’iniziale squilibrio psichico, così propizio ai moti collettivi in genere, ai mistici in ispecie.
È con lo scomparire del Nicoletti, che finisce nel chiostro, che sorge la più tipica figura di meneur che si possa immaginare, attorno a cui si muovono altre minori – e donne e uomini – che i fenomeni più dilaganti del proselitismo s’iniziano, insieme con il fermento delirante religioso mimetico ed interpretativo, che dànno la più vera e genuina fisonomia alla setta, che viene, così, divelta dal tronco cattolico e, per tanti aspetti, si assomiglia ai movimenti mistici pazzeschi della Russia.
Da questo momento la setta religiosa piglia nome de “I Santi di Bocchiglieri”; tutti quelli che vi appartengono non sdegnano di preporre tal predicato al proprio nome e si mettono sotto la direzione di un massaro (fittavolo), S. Matteo Renzo, uomo sulla trentina, di ingegno acuto, penetrante, dotato di larga onda profetica, estatico, veggente, eloquente sino al delirio, colto mezzanamente, o che fosse tale da prima o lo fosse diventato dopo.
Di questo singolare meneur noi possediamo una larga difesa della setta, da lui scritta, nella quale rivivono molti usi e costumi di quella e molte scene di psicologia collettiva – d’esaltamento, d’estasi, di suggestione – che riportiamo con le parole stesse dell’apologeta.
Scrive, infatti, S. Matteo Renzo che ai nuovi iniziati si amministrava un battesimo: dei bacini contenevano rispettivamente dell’acqua, dell’olio, del sale, del miele; un altare sorgeva in mezzo alla stanza con delle figure di S. Michele.
Allora – lasciamo a lui la parola – “io, Matteo, facevo la predica esortando ad essere fedele osservante di Dio, casto, umile, perseverante: poi intingevo il dito destro nell’acqua e facevo il segno della croce, per significare purezza e nuovo nascimento alla virtù ed alla grazia di Dio; lo ungevo nello stesso modo con l’olio, per significare la purezza e la castità che doveva avere: col sale, per introdurre nell’anima la sapienza della divina parola e conservarla, cacciando fuori l’insipidezza del corrotto secolo. indi facendo stendere la mano destra sull’altarino, praticavo le medesime croci. Le stesse cose operavo sul piede destro. Tutto ciò era una legazione del battezzato con Dio, mentre scioglievasi dal demonio e dal mondo”.
L’epidemia di conversione era così grande che in un sol giorno in Longobucco, altro paese per tante condizioni simile a Bocchiglieri, se ne convertirono – dice l’apologeta – 800. Nè questo accadeva solo all’intorno, chè il moto riformista si spandeva lungi, guadagnando paesi della provincia di Catanzaro e Reggio, dove, non infrequentemente, quelle popolazioni di contadini accorrenti alla voce del profeta, lo garantivano dagli insulti e dai divieti delle autorità, e lo accoglievano al grido di “Viva i Santi di Bocchigliero”. “Ed eravamo io Matteo, Gabriele Donnici e Santa Rachele Berardi. Il regolatore ero io, che, come l’Arcangelo S. Michele, facevo guerra agli spiriti ribelli ed insegnavo ad ammirare Dio”.
Ma di quali esaltanti mistici, di quale forza di suggestione questo umile massaro fosse dotato, appare da quello ch’egli dice della sua eloquenza. “Le mie prediche – egli scrive – si inspiravano alla viva contemplazione dei fioriti prati e della varietà dei volatili e formavo quei sermoni eccelsi e toccavo il paradiso come dilettante eterna primavera; mentre nello squallore dell’inverno, ignudo e desolante, trattavo dell’inferno, baratro orrendo di morte”.
Egli cercava lungamente l’ispirazione di quei sermoni al cuore della notte, ora tremulante di stelle, ora velata e tempestosa: in quelle lunghe ore d’estasi si venivano componendo nella mente quei sermoni, dei quali egli scrive: “fanno sorridere i dotti, ma richiamavano globi di gente”, che faceano prorompere in quelle esclamazioni nelle quali si versa tutta l’anima della folla.
“Tutti dopo i miei sermoni gridavano ad unanime voce: Viva padre Calma, perchè calma i tempestosi e tristi nostri cuori; viva padre Miele, perchè addolcisce l’amaro calice che ci dà il mondo; e l’ossessa di Longobucco, Maria Smuzzo, mi appellò padre Calvario, perchè in me si sarebbero conficcate tutte le croci che il mondo può dare”.
E continua: “A cagione degli inviti che avevamo, tutte le sere si facevano prediche nelle case. Colà le genti accorrevano da tutte le parti e non erano mai satolle d’ascoltarci”. Alle prediche succedevano le penitenze strane, fra cui la più strana – rievocazione delle pratiche erotiche dei primitivi cristiani, riviventi in parte negli Skoptzi – era la penitenza della coricata, per la quale uomini e donne giacevano ignudi sulla paglia per punire l’ardore della carne, la quale veniva ancora debellata con le sanguinanti fustigazioni. con lo scarso riposo, coi frequenti digiuni.
In queste condizioni di saltamento, le allucinazioni, le estasi, il profetismo gli esorcismi doveano essere gran parte della vita quotidiana. S. Matteo era quegli che più degli altri vivea di questa esigitata fenomenologia dello spirito, che da lui si espandeva all’intorno fra quella folla di santi, di cui e donne e fanciulli erano tanta parte.
Così due comete egli scorge in cielo, l’una sorgente la sera e l’altra il mattino, le quali all’animo di lui, capace di squarciare il futuro, presagiscono due avvenimenti di grande importanza: la morte di Vittorio Emanuele II e quella di Pio IX. Altra volta egli è visitato dallo Spirito Santo in forma di colomba candida, splendidissima; altre volte è il crocefisso che si presenta a lui: ma talora ancora è il demonio.
E mentre le visioni infernali lo riempiono di spavento, quelle celestiali lo fanno nuotare in un mare di armonie e di sogni.
Altre volte ancora sono gli ossessi che corrono a lui per essere esorcizzati: ed ora è una certa Antonia Maria Smuzzo che è posseduta da un demone – l’angelo Augurio, detto così, perchè un giorno tornerà nel paradiso, donde venne scacciato – ora è Maria Pugliese, alias Lavinia.
L’onda profetica, al pari del potere allucinatorio, da lui si diffondeva all’intorno; infatti, Santa Rachela Berardi, una giovinetta ventenne. la meneuse più stimata della setta. come quella che dovea partorire una seconda volta il Messia; Santa Rachela Berardi, il povero fiore che dovea soccombere sotto la dura disciplina delle preci e delle privazioni, fin dalla età di cinque anni avea sorpreso tutti per le sue visioni; a venti era diventata una profetessa e partiva spesso per le missioni.
Ma dove rifulge il lato pazzesco della setta, è nella costituzione della trinità: se il Messia dovea venir una seconda volta al mondo dal seno di una vergine, vi era ben bisogno – per una specie di mimetismo dottrinale religioso – che nella setta fosse chi tenesse vece di padre eterno, e chi di S. Giuseppe. E questi furono Gabriele Donnici, che si appellò il Padre Eterno e S. Matteo Renzo, che si appellò il padre putativo del novello Messia. Messi su questa via, il delirio tomaniaco si ingigantì a segno di non aver più limiti, giacchè il padre eterno si circondò di due schiere di giovinette che lo seguivano sempre, una alla sua destra, un’altra alla sua sinistra, e con le quali non sdegnava discendere a baci e a toccamenti. Spesso il grottesco s’alternava con la follia: così un giorno, saputosi in paese che i Santi volevano evocare il diavolo per legarlo ed incatenarlo definitivamente, alcuni buontemponi gittarono in mezzo ad essi, nel momento delle maggiori preci, un gatto, che venne preso, legato e portato in giro per il paese al chiaror delle tede, giacchè si era di sera, e al canto degli inni sacri, mentre i monelli vi si accompagnavano con fischi, urli, al rumor di pentole battute.
Ma un fatto nuovo avvenne che sconvolse la setta e questo fu un crimine, giacchè, essendosi la moglie del padre eterno – del Donnici – rifiutata di far parte della setta, ne ebbe tali maltrattamenti che ne morì.
I Santi furono tradotti due volte dinanzi alle Assisie e fu ampiamente riconosciuta la loro natura squilibrata. Si era ormai nell’82, l’opera della civiltà aveva smagato nella Calabria molti errori: i tempi non erano più propizi alle epidemie religiose. A poco a poco dei Santi di Bocchiglieri non si parlò più e di essi non rimase che un lontano e sbiadito ricordo: pure, all’occhio di chi vi guardi dentro, non isfuggirà mai come, in questa rivivente forma mistica, vi sieno tutti quegli elementi, di cui ci siamo venuti occupando, e che sono tanta parte di questi morbi della folla. 7)

Analogamente a quanto era già accaduto in Piemonte, 8) “la congrega si staccò progressivamente dalla chiesa per vivere un’avventura religiosa parecchio singolare, almeno agli inizi, tendenzialmente mistica: gli adepti presero a chiamarsi l’un l’altro ‘santo’, a riunirsi per cantare inni, recitare  preghiere leggere e rappresentare storie agiografiche” finché “si proclamarono San Giuseppe, il Donnici, Padreterno, il Renzo, Madonna, la Berardi”. 9)
Il movimento calabrese si caratterizzò soprattutto per una pratica religiosa assolutamente singolare, perché

la prova più ardua per poter diventare “santi” era quella della “coricata”: uomini e donne, estranei fra loro, dovevano distendersi nudi sul letto, avvicinare gli ombelichi, dicendo “accucchiamu villicu e villica / pe’ scattari lu malu nimicu [Uniamo ombelico con ombelico / per schiacciare il maligno nemico] e vincere qualsiasi impulso carnale. 10)

La loro nudità rituale cozzava con la demonizzazione ebraico-cristiana della sessualità, ed era particolarmente dirompente in una società come quella montanara della Calabria dell’epoca, che considerava pericolosi e peccaminosi i rapporti fra i due sessi non diretti esclusivamente alla procreazione; perciò suscitò scandalo e avversione, che portarono i “Santi” ad ancor più separarsi dalle gerarchie religiose locali, avverse totalmente a costumi e a una morale che rompevano con i tradizionali rapporti fra i due sessi.
Gli originari riti d’ingresso contrastavano con la liturgia della Chiesa, venivano praticati da adulti consenzienti e non rappresentavano un momento di semplice affiliazione bensì una cerimonia di passaggio iniziatico che predisponeva all’attesa redentrice d’un popolo di eletti da dove il nuovo Salvatore sarebbe tornato in terra.

Uno dei Santi di Bocchigliero.

Inoltre, la sostituzione del clero ufficiale nella guida spirituale con nuove figure carismatiche come la bimba veggente, metteva in crisi l’egemonia spirituale ma anche sociale della casta sacerdotale; e l’attesa messianica d’un nuovo redentore veniva considerato un pericoloso passo verso la creazione di una società separata, basata su regole nuove e quindi contrarie a quelle del potere politico vigente.
Perciò la lotta contro di loro fu subito durissima, vide alleati preti e carabinieri e non bastò scrivere un’ingenua lettera, sincera e filiale, all’arcivescovo per fermare l’accanimento contro dei poveretti che venivano bollati come eretici.
Del resto, il loro dissidentismo religioso era davvero insidioso in quel contesto perché alla base della nascita dello scisma popolare vi era certamente  quella che il socialista Rossi definì un’epidemia religiosa pazzesca; ma con molta probabilità vi influirono

il varo delle leggi che soppressero gli ordini religiosi regolari che non avevano scopi e fini essenziali di beneficienza e vennero nella stessa misura soppressi tutti gli enti secolari non ritenuti indispensabili per l’esercizio del culto, leggi queste del 1865 e 1866. A questo si aggiunga il fatto che il popolo non era più chiamato a eleggere i preti che dovevano reggere le chiese come nei vecchi tempi, poiché nuove leggi incaricavano il Decurionato, per cui le scelte erano politiche. 11)

Lo sconquasso delle antiche tradizioni da parte del laicismo livellatore e disgregatore aveva provocato una reazione popolare in una forma singolare, che ovviamente impensierì le autorità religiose, succubi della borghesia italiana al potere.
A muoversi con la massima energia contro di loro fu in prima persona l’arciprete don Fulvio Barrese, che incitò il tenente dei carabinieri di Bocchigliero ad ammonire formalmente i Santi. Non contento, il pugnace sacerdote il 27 maggio 1876 chiese urgentemente all’arcivescovo di Rossano, monsignor Cilento, di adottare “energiche misure che valgono a reprimere tali scandali che han seminato la zizzania tra i [suoi] parrocchiani” diffondendo apertamente “sciocchezze che preferiscono nelle loro combriccole sulle visioni i discorsi che hanno con la vergine SS, la venuta di un nuovo messia, il trionfo che debbono riportare le loro profezie”. 12)
Dopo soli quattro giorni, l’allarmatissimo presule assicurò il suo subalterno che avrebbe preso le misure necessarie contro quei “veri fanatici” se avessero proseguito nelle loro pratiche e prediche, ma suggerì di tenare un ultimo dialogo assicurando che “se saranno docili a questa [sua] intimazione, saranno benedetti da Dio, diversamente disprezzando il [suo] intimo si dimostreranno seguaci del demonio”.
Com’era prevedibile, il confronto tra le due compagini non sortì alcun effetto, costringendo don Barrese a informare l’arcivescovo del tentativo di pacificazione proprio mentre i Santi scrivevano essi stessi a monsignor Cilento illustrando con grande chiarezza e sincerità il proprio pensiero:

Questo Rev. Arciprete ci ha letto l’intima di V. E. ed il Mattia Renzo uno dei capi della compagnia risponde per tutti, e sottomette alla S.S. Illustrissima la dottrina che professiamo.
Noi siamo stati chiamati da Dio alla vita devota, e poi per formare una nuova Religione, la Religione dei Secolari. Prima colla predicazione di notte abbiamo avuto una concorrenza di circa duecento persone, incominciando i nostri esercizi spirituali da un’ora di notte infino alle sei, e delle volte più a lungo; gli esercizi hanno consentito in massime tutte nuove, ispirateci dallo Spirito Santo, escogitate dalla propria volontà, per andare contro il maledetto vizio del peccato, di chiamare anime al servizio di Dio e alla Religione Cristiana, di fare una società di veri e buoni cristiani, tutta diversa da quella che predica il proprio parroco; ma le cose secondo la nostra volontà sono le stesse ricavate dalla nostra Religione Cattolica Romana.
Questa novella religione ha per prima massima di onorare l’impero della SS. Trinità e della B.V. Maria, e di portare il trionfo della Santa Madre Chiesa, di amare e servire tutta la società divina.
Noi siamo uniti con donne nei nostri esercizi di notte e di giorno, e perché il Signore ci ha chiamati a combattere i nemici, il mondo, la carne e il demonio, noi l’abbiamo combattuto col vincerlo, la carne pura la vinciamo col starci uniti, abbracciandoci e standoci anche nudi innanzi alle medesime, a dormirci pure, ed il Signore ha mortezzato la nostra carne, che non sentiamo stimoli, perché il nostro corpo è morto non esiste che in figura. Il mondo s’inganna quando vede queste nostre azioni e peggio se ne scandalizza.
Noi abbiamo una guida, ch’é una ragazza di cinque in sei anni, dessa è tutta dotata di Dio, dessa guida, ha diverse visioni, é un angelo che porta le notizie della Vergine Maria e ci dice quello che dobbiamo trattare nella compagnia. Essa inoltre ci leva ogni dubbio che noi abbiamo nella nostra mente e ci chiarisce la nostra coscieza e mantiene la pace nel nostro cuore.
I sacerdoti volevano impedire tutte queste opere nostre e fare sciogliere questa nostra società, ma la nostra guida ci ha manifestato, che la Madre SS. Le ha detto: di non ubbidire né i sacerdoti o altri, ma solo alla chiamata di Dio, e perciò noi abbiamo lasciato l’uso dei sacramenti e particolarmente noi capi e molti altri della compagnia non abbiamo fatto il Precetto, né intendiamo farlo, però lo facciamo spiritualmente coll’intenzione. Noi ancora usciamo dalla Chiesa, quante volte il parroco ci urla dal pulpito colla predicazione, anzi una volta un nostro compagno vedendosi cacciato dai sacerdoti dalla Chiesa, noi risposimo: voi dovete essere cacciati dalla Chiesa fra breve, perché noi dobbiamo regolarla, perché il Signore ci ha manifestato, che deve venire il trionfo della Chiesa, e della novella Religione e debbono farlo i Secolari, e questo dovrà venire per mezzo dei Profeti; però noi preghiamo la S.S. Ill. e reverendissima onde prego il signore iddio di farci conoscere la nostra dottrina se sia vera, o falsa.
Inoltre la nostra guida ci ha detto “perché comandata da dio” di stare uomini e donne uniti, per penitenza, notte e giorno e nel paese e nelle campagne come Adamo ed Eva per vincere la nostra vita umana, e conservarci la castità nei pensieri, anche guardandole, toccandole, perché la volontà l’abbiamo consacrata a Dio, con farci tante promesse, e consacrando il corpo coll’unzione dell’olio e col confessarci l’uno coll’altro.
Io Matteo Renzo ed un altro compagno abbiamo avuto un dono da Dio, che cioé senza libri sappiamo tutte le cose della Religione, e per questo da noi stessi ci confessiamo, amministriamo il battesimo e facciamo molte altre cose. che per brevità lasciamo sottomettere all’Ecc. Vostra Illustrissima.
Infine tutti noi le baciamo la mano.
Dev.mo Servo Matteo Renzo, Gabriele Donnici”. 13)

Di fronte a quest’esaltazione progettuale dello stato paradisiaco anteriore alla caduta, che prefigurava un’esistenza umana gioiosa e dunque ben diversa da quella penitenziale della Chiesa; di fronte alla rivendicazione del diritto dei laici alla predicazione e all’ostinata applicazione d’inusuali pratiche religiose come l’unzione con l’olio, il battesimo da parte dei capi o la reciproca confessione fra “Santi” e una vita comune, l’arcivescovo si convinse che “Renzo e compagnia non solamente sono fanatici, ma Iddio forse per la loro superbia li ha tolto il bene dell’intelletto”. 14)
Intanto però in paese si era arrivati addirittura allo scontro fisico, e un altro prete di Bocchigliero, don Samuele Gallo, aveva preso a bastonate alcuni dei capi dei “Santi”, a suo dire, “venuti in Chiesa a fine di espellerne i sacerdoti”.
La tensione era già alta, quando il 19 giugno 1878 avvenne un fatto tragico e misterioso, mai davvero chiarito ma che provocò la disgregazione della confraternita religioso-sociale. In un casolare isolato venne trovato il corpo senza vita della moglie di Gabriele Donnaci, e poiché presentava evidenti segni di percosse il suo decesso venne subito addebitato dalla voce pubblica più malevola al marito e al fratello Abele,  i quali l’avrebbero prima selvaggiamente picchiata e poi uccisa “per essersi rifiutata di sottoporsi alla prova della ‘coricata’” o per aver sconsideratamente “rivelato in giro i riti che si praticavano durante le riunioni segrete della setta”. 15)

La statua di San Michele fatta rimuovere dalla chiesa del paese.

Arrestati e inquisiti, i fratelli Donnici vennero processati dalla Corte d’Assise di Cosenza la quale il 24 novembre 1880 li condannò entrambi per “percosse volontarie e gravi sevizie” che avrebbero contribuito alla morte della donna, deceduta “per causa preesistente”.
Riconosciuta a entrambi l’attenuante del “vizio di mente”, i due poveri “Santi” furono sanzionati con tre anni di galera per Abele e cinque a Gabriele, “computando per entrambi il carcere precedentemente sofferto”. 16)
Ma per i Donnici i problemi con la giustizia erano solo all’inizio: preso di mira dai carabinieri, Gabriele venne nuovamente arrestato il 25 luglio 1886 accusato di “ricettazione di oggetto furtivo, fucile a due colpi grassato a Bossio Leonardo di Francesco dall’allora latitante Serafino Bruno da Bocchigliero”. 17) Un reato da poco, ma fatto passare per molto grave che dovette pagare caro, anche perché da subito gli venne negata la libertà provvisoria. 18)
Prima però c’erano state già altre disavventure con le autorità, meno gravi dal punto di vista penale, ma che ebbero un peso nel disregare la comunità dei Santi, spaventata allorché l’11 marzo 1882 Gabriele venne ufficialmente richiamato dal pretore di Campana per le sue predicazioni religiose e l’inusuale stile di vita 19) e, dopo qualche settimana, dal sottoprefetto di Rossano e “ammonito a meglio comportarsi, e non dare più sospetti come capo  e promotore della così detta Società dei santi” 20). Che ormai non c’era più anche se, a dispetto delle ottimistiche speranze del socialista dottor Rossi, la Calabria profonda non si era per niente “smagata”.

 

N O T E

1) Il ruolo apicale di questa adolescente é simile a quello avuto dalla giovane Margherita Illuminata Massazza che nello stesso anno [!] in un paese montano del Biellese ebbe celesti visioni, compì diversi prodigi, mostrò di saper parlare diverse lingue e venne creduta santa anche perché, illetterata, dettò un libro profetico “rivelato dallo Spirito Santo”. Il grande seguito da parte della popolazione contadina fece nascere una confraternita tollerata dalle autorità ecclesiastiche che in forma riservata ha continuato a esistere anche dopo la morte prematura della veggente.
Roberto Gremmo, Margherita di Sordevolo e Il libro rivelato dallo Spirito Santo, “Storia Ribelle” n. 28, autunno 2010.
2) Roberto Gremmo, Il nuovo Messia e la Madonna rossa. Francesco Grignaschi e la rivolta religiosa contadina di metà Ottocento fra Ossola e Monferrato, “Storia  Ribelle”, 2022.
3) Non per caso, uno dei primi e più convinti devoti di Lazzaretti fu uno dei pionieri del socialismo politico sull’Amiata.
Roberto Gremmo, Francesco Tommencioni discepolo di Davide Lazzaretti e precursore del Socialismo ad Arcidosso, “Storia Ribelle” n. 6, estate 1998.
4) Roberto Gremmo, Davide Lazzaretti. Un delitto di Stato, “Storia Ribelle”, 2002.
Roberto Gremmo, L’assassinio del Profeta dell’Amiata. La “brillante carriera” del poliziotto che fece sparare a Davide Lazzaretti, “Storia Ribelle” n. 48, estate 2018.
5) In contrasto con altri socialisti, Rossi dava grande importanza “al sentimento religioso, al quale egli attribuiva un peso decisivo nelle dinamiche storiche”.
Andrea Trobbiani, Pasquale Rossi e il Socialismo, Sapienza Università di Roma – Dottorato di ricerca in Storia e Formazione dei Processi Socio-Culturali e Politici dell’Età Contemporanea, 2011.
6) Pasquale Rossi, Mistici e settarii (Studio di psico-patologia collettiva), Riccio, 1899.
7) Pasquale Rossi, Psicologia collettiva morbosa, Bocca, 1901.
8) L’assunzione in pubblico d’una identità sostitutiva era avvenuta in Ossola l’11 agosto 1847 a Vogogna dove “I Santui” di Cimamulera si erano manifestati in corteo attorno a Domenica Lana, la giovane donna che il sacerdote Grignaschi aveva proclamato “Madonna coi capelli rossi”.
Quando i militi avevano cercato d’immobilizzarli, i Santui di Cimamulera s’erano ribellati e il fratello della Lana che pretendeva d’essere “San Pietro” s’era fatto impavidamente avanti e, come testimoniò Lossetti, “animò la compagnia a liberare Maria Santissima e s’avvanzò per primo, quando un altro carabiniere corse a fermarlo, ma S. Pietro gli diede un pugno addosso. Corse tosto un terzo carabiniere che a piattonate di sciabola riuscì a ridurlo alle strette”.
In pochi minuti, tutti i sedicenti “Apostoli” erano stati messi ai ferri mentre continuavano a pretendere d’aver davvero assunto una nuova, celestiale identità. Poi avevano accettato stoicamente d’essere rinchiusi nella torre del castello di Vogogna.
Roberto Gremmo, Il nuovo Messia e la Madonna rossa. Francesco Grignaschi e la rivolta religiosa contadina di metà Ottocento fra Ossola e Monferrato, “Storia  Ribelle”, 2022.
9) Giulio Palange, La Regina dai tre seni. Guida alla Calabria magica e leggendaria, Rubbettino, 1994.
10) Idem.
11) D. Fontana, La Santa Società – Volgarmente chiamata “I Santi di Bocchigliero”, s.d.
Nel culto biellese di Margherita Illuminata i fedeli intingevano un dito in una grande ampolla piena di urina della “Santa” e lo portavano alla bocca.
Roberto Gremmo, Margherita di Sordevolo e Il libro rivelato dallo Spirito Santo, “Storia Ribelle” n. 28, autunno 2010.
La cerimonia silana é simile a quella praticata ancora negli anni Cinquanta sul monte Amiata da Elvira Giro e Leone Fraziani, che si pretendevano eredi di Davide Lazzaretti ed erano a capo della “Setta dei Giurisdavidici” considerata dalla polizia pericolosa per l’ordine pubblico.
Le predicazioni della profetessa Giro venivano ritenute “il delirio d’una mente esaltata” ed erano considerati bizzarri e stravanganti i riti dei suoi seguaci che consistevano nella “celebrazione di una cerimonia, che vorrebbe essere una messa speciale, officiata davanti ad un altare dal sacerdote, coadiuvato da due assistenti, tutti in camice bianco. Il rito prevede[va] la recita di preghiere e la consacrazione eucaristica, per la quale si dispongono sull’altare tre calici, contenenti uno le ostie, l’altro vino e grano ed il terzo incenso, mirra, rosa e gelsomino. Gli aromi ed il grano, tolto dal vino, sono versati dall’assistente su un braciere ardente, poi il sacerdote impartisce la comunione. La funzione si chiude con la lettura dei misteri del Lazzaretti, con la benedizione e col canto di un inno.
Altra funzione solenne [era] quella per la consacrazione sacerdotale, che avv[eniva] mediante l’unzione con olio di olivo, la recita di preghiere speciali e l’abbraccio finale tra l’officiante e lo eletto”. (Archivio Centrale dello Stato).
12) L’intero carteggio in D. Fontana, La Santa Società – Volgarmente chiamata “I Santi di Bocchigliero”, s.d.
13) Idem.
14) Ibidem.
15) Giulio Palange, La Regina dai tre seni. Guida alla Calabria magica e leggendaria, Rubbettino, 1994.
16) Archivio di Stato di Cosenza, Sentenze Corte d’Assise di Cosenza.
17) Archivio di Stato di Cosenza, Fascicolo processuale di Gabriele Donnici.
18) Archivio di Stato di Cosenza, Fascicolo processuale di Gabriele Donnici. Camera di Consiglio del Tribunale di Rossano.
19) Archivio di Stato di Cosenza, Fascicolo processuale di Gabriele Donnici. Arma dei Carabinieri Reali – Legione Bari – Stazione di Bocchigliero “Arresto per ricettazione di oggetti rubati”, 25 luglio 1886.
20) Archivio di Stato di Cosenza, Fascicolo processuale di Gabriele Donnici.

Foto del titolo di Franco Pinna.