La parola ibeji in lingua yoruba significa “gemelli”; e c’è un luogo, Igbo-Ora, nel sud-ovest della Nigeria, dove il tasso delle nascite gemellari è il più alto al mondo. Secondo l’istituto nazionale di studi demografici di Parigi, l’Africa detiene il primato con il 41% dei parti gemellari annui nell’intero pianeta e raggiunge il picco di uno su venti nella zona costiera dell’Africa occidentale, tra Nigeria e Benin.
Chi conosce questo continente e la sua spiritualità, sa che ogni accadimento assume un preciso significato all’interno della comunità, assolvendo funzioni, siano esse positive o negative, legate al divino che ne regola la vita quotidiana.
L’eccezionalità di un parto gemellare ha da sempre incuriosito e affascinato l’essere umano, che vi intravede un messaggio divino, spesso enigmatico, oggetto di interpretazione, ispirazione e a volte venerazione. Nella letteratura e nell’arte troviamo romanzi, sculture, miti, credenze popolari, e interi settori in materia di psicanalisi dedicati all’argomento. Lo stesso Freud collocava i gemelli nel “perturbante” in quanto fenomeno “doppio”, a specchio, qualcosa di profondamente familiare e tuttavia portatore di una zona ombra che turba e spaventa, familiare ed estranea perché volutamente rimossa.

Un tema, quello della rappresentazione del doppio e dei suoi lati oscuri, declinato anche in un genere letterario ben rappresentato da Lo strano caso del Dottor Jeckyll e Mr. Hyde, dove il doppio diventa la copia maligna, violenta e repressa. Questo processo di analisi e il suo sviluppo scientifico hanno contribuito a una certa deriva di “disumanizzazione” del fenomeno delle nascite gemellari, che è stato oggetto di studi e osservazioni anche morbose culminate negli efferati esperimenti nazisti di eugenetica.
Ma l’Africa degli yoruba riserva ai gemelli un culto speciale, tra i più affascinanti e suggestivi della cultura animista africana, che celebra l’eterno e indissolubile legame degli ibeji, i cosidetti figli del tuono; fratelli gemelli nella vita e oltre la morte.
Per gli yoruba la nascita gemellare è un dono delle divinità, portatore di buona ventura e di prosperità e protezione, per la famiglia e il villaggio. I gemelli sono pertanto onorati e venerati, tanto da vivi quanto da morti. Il loro culto si fonda sulla convinzione che essi abbiano un’unica anima, cementata dall’esperienza nel grembo della madre, e che avvolti dalla magia e dal mistero, vivano i sentimenti comuni in due metà separate. Se uno dei due muore – e la probabilità è molto alta visto il tasso di mortalità infantile in queste aree – la vita dell’altro gemello è in grave pericolo, così come la famiglia.
Si rende pertanto urgente e necessario commissionare a uno scultore la creazione di una statuetta lignea che rappresenti il gemello defunto, che ne custodisca l’anima e possa in questo modo ricongiungere le due metà ripristinando l’equilibrio spirituale e universale altrimenti perduto.

Queste piccole sculture, che portano il nome di ere ibeji, ovvero “immagini di gemelli”, vengono accudite e nutrite dalla madre come se fossero figli ancora in vita. Vengono lavati, accarezzati, coccolati, cosparsi di arachidi, farina di mais, noci di kola, canna da zucchero e olio di palma, affinché possano alimentarsi e appagare il loro spirito. Molte sono le immagini che raffigurano donne portatrici sul dorso o in grembo di ibeji avvolti nei caratteristici pagnes come fossero bambini viventi.
Nel Golfo di Guinea, che comprende Nigeria, Benin, Togo e Ghana, l’olimpo degli dèi è rappresentato da più di 600 divinità, ognuna delle quali si identifica in una forza della natura, e ad ognuna delle quali è affidato un settore energetico del mondo; sono i cosidetti “Orisha” per gli yoruba, e “Voudon” per i fon e gli ewe. Tra tutti, emerge il potente e virile castigatore dei maligni “Shango-Heviosso”, dio del tuono, del fulmine e del fuoco, il supremo protettore degli ibeji, rappresentato per evidenti ragioni con la doppia ascia stilizzata.
Il culto degli ibeji ha visto svilupparsi negli anni un’arte scultorea molto apprezzata e ricercata da artisti e collezionisti. Gli scultori sono tradizionalmente agricoltori, ma nel tempo si sono create famiglie, divenute anche note, specializzate ed esperte in quest’arte che potremmo definire sacra. 1)
E fedeli alla sua sacralità sono i passaggi che caratterizzano le fasi dell’opera. Prima di iniziare viene sacrificato un gallo con l’approvazione del babalawo, lo stregone della comunità. Poi si procede a scolpire corpo, gambe, braccia e testa dell’ibeji, rifinendolo con sorprendenti dettagli e ornamenti che possono variare a seconda della regione di provenienza. Molto apprezzato l’uso dei cauri, piccole conchiglie usate come denaro di scambio e come mezzo di divinazione nei rituali; bracciali e cavigliere di perline per ricordare il lignaggio; colori pregni di significato: il rosso e il bianco, dedicati a Shango, per equilibrare la violenza con la calma, e il blu per riportare la serenità. Sul petto e sul dorso si scolpiscono i tirah, amuleti islamici di forma triangolare che proteggono dalle avversità e dalle malattie. Sulla testa vengono incise capigliatura e scarificazioni. Nulla è lasciato al caso, tutto ha un senso.
Al termine, si compie il lavaggio cerimoniale che si conclude con una festa danzante e le dovute preghiere, al cospetto del babalawo.
Ora lo ibeji è attivato, l’ordine delle cose è stato ripristinato. Il gemello vivo non è più solo, e il dio del tuono sorride.

La storia sul campo ci ricorda che sia l’islam sia il cristianesimo hanno cercato di allontanare questo tipo di rappresentazioni, ma mi piace apprendere dai viaggiatori del nostro tempo che, nonostante tutto, anche di recente, è ancora possibile incontrare donne con i loro ibeji sul dorso e sul petto, magari non di legno, magari sostituiti da bamboline, ma la cui anima è più viva che mai.
In Benin, alcuni fon al posto delle statuette usano la fotografia del gemello vivo, ed è frequente la convinzione che sia più sicuro affidare ai posteri una foto che una statuetta di legno facilmente deperibile. Cito l’antropologo Alberto Salza, che in un articolo di qualche anno fa sul medesimo culto in Benin ricordò quanto dichiarato da Daagbo Hounon, maestro spirituale e capo supremo del Vodun in Benin: “Le regole applicabili agli esseri umani possono essere trasferite agli oggetti?”.  Da sentimentale osservatrice io dico che la risposta è nell’Anima dell’Africa.

N O T E

1) Si ringrazia il mas, Museo d’Arte e Scienza di Milano, e il suo direttore Peter Matthaes per la visione della mostra Ibeji figli del tuono, una raccolta di oltre 100 sculture curata dagli esperti Anna Alberghina e Bruno Albertino, autori anche del catalogo omonimo. Le foto che accompagnano l’articolo sono state scattate dall’autrice in occasione della mostra.