Difficoltà degli europei a superare la solita ambigua ottica pregiudiziale nei confronti dei “pellerossa”. Ma per le nazioni indiane la coscienza della propria identità collettiva e del valore della propria cultura è oggi più viva che mai.

Nello stendere un articolo che tratti della condizione degli Indiani del Nord-America, si corre il rischio di ri­petere un errore che per anni è stato la fonte di errate interpretazioni e false verità. Nell’avvicinarsi all’uomo ros­so, il bianco ha sempre lasciato troppo spazio alle proiezioni personali, crean­do un “indiano-tipo” privo di ogni connotato reale, infarcito d’elementi folkloristici e stravolto nel suo in­timo.1
Questa è purtroppo la tradizione della cultura bianca nei confronti del diverso e l’indianistica non fa eccezione. Se però è possibile comprendere, anche se non giustificare, l’impostazione cul­turale americana, risulta più difficile entrare nello spirito di chi, dall’Euro­pa, volge lo sguardo ai nativi del Nord-America. Mi riferisco in particolar modo alla mostra “I cerchi del mondo”, svoltasi a Genova sotto il patrocinio dell’assessorato alle Attivi­tà culturali del Comune. Stupisce in­fatti che per l’ennesima volta l’india­no risulti “oggetto passivo” e non “soggetto / oggetto agente”. Quello che infatti risulta dalla mostra e dalla pubblicazione Proposte di lettura, a essa connessa, è l’immagine di un In­diano ormai definitivamente defunto dal punto di vista della coscienza del­l’identità collettiva. Gli oggetti della mostra ci propongono un passato se­polto, affascinante ma sotto vetro, multicolore ma fossilizzato.
Questa è infatti l’impostazione della cultura americana, di cui si fa fedele sostenitore H.D. Stammel quando af­ferma: “I pellerossa dei nostri giorni, come prigionieri di guerra nella quinta generazione, hanno perso la loro iden­tità, vegetano nel vuoto della loro mancanza di continuità interiore con il mondo dei padri e di uguale distacco dalla ‘american way of life’.”2 Quanto al testo, ci si imbatte in uno strano contrasto, specchio purtroppo di una contraddizione di fondo che ancora stenta ad allontanarsi dalla no­stra ricerca culturale. Ci si trova infat­ti tra una Alessandra Clavarino che ci richiama giustamente a leggere gli In­diani attraverso la loro letteratura, e un Marino Cassini che include nelle proposte di lettura per ragazzi tutti i testi di Salgari e Cooper, a cui tutto si può riconoscere fuorché la fondatezza delle fonti e la veridicità, che in un campo come quello della letteratura formativa sono molto importanti. Consiglierei invece questi testi agli adulti, in una revisione divertente ma critica, dove il testo assume chiara­mente la sua connotazione di testo d’evasione.
Inoltre, a sottolineare la contraddizio­ne sopra accennata, troviamo anche la sezione “video-cinematografica”, che accanto a lungometraggi di tutto ri­spetto mostra opere della più ambigua tradizione hollywoodiana; queste ulti­me si potrebbero anche ammettere per necessità di confronto se non si fosse portati ad associarle idealmente ai vi­deo in proiezione nella saletta attigua alla mostra. Qui il criterio di scelta è quanto meno discutibile: ne ricordo in particolare uno di tipo documentari­stico dove un Indiano impiegato alla Rank Xerox (!), completamente stac­cato dal suo ambito, passa i week-end inscenando falsi pow-wow3 ad uso tu­ristico impugnando una bandiera a stelle e strisce; il tutto elevato a model­lo d’integrazione nella società ameri­cana.
Ora, in un’ottica di questo genere è preferibile parlare degli Indiani attra­verso le loro stesse parole.
Dei diversi interventi che negli ultimi anni gli stessi pellerossa hanno portato a conoscenza dell’opinione pubblica europea (si ricordi a questo proposito la decisa opera di Oren Lion, capo della delegazione irochese in Europa), credo opportuno riportare le parole di due appartenenti alla tribù sioux, Ste­ve Robideau e Nilak Butler, delegati al Tribunale Russell di Rotterdam nel novembre del 1980.4 In quell’occasio­ne essi partirono dall’esperienza di Léonard Peltier, membro dell’American Indian Movement, incarcerato in­giustamente e condannato con false testimonianze a ben due ergastoli, per illustrare un campo ben più vasto. Le loro parole riassumono significativa­mente i punti fondamentali del proble­ma indiano contemporaneo e ci per­mettono di cogliere a pieno come l’identità collettiva e le culture nazio­nali siano oggi più vive che mai:
“Il caso di Léonard Peltier non è un caso isolato; egli era un Indiano qua­lunque, ma aveva la coscienza di insi­stere su una via ben determinata: quel­la della nostra tradizione.
“È molto duro vivere nella nostra ri­serva, perché tutto, a partire dal go­verno, tenta di sopprimere la tradizio­ne e la spiritualità indiana. È stato tol­to quel minimo di terra che permette di sopravvivere, soppressa la lingua nativa.
“Non è cambiato nulla: una volta, in passato, volevano la terra per l’agri­coltura, poi per l’oro, quindi per il carbone e il petrolio, oggi per l’uranio. Questo non riguarda solo il South Da­kota, ma anche la riserva navaho, la più grossa riserva degli Stati Uniti, che stanno cercando di spostare per poter usufruire delle miniere. Le terre che ie­ri erano state consegnate agli Indiani perché più aride e desertiche, oggi ven­gono ambite dai bianchi a causa del sottosuolo.5
“Anche il sistema scolastico america­no, che non tiene conto delle nostre tradizioni e culture, ha portato una grande confusione tra gli Indiani: mol­ti si sono persi lungo la strada dell’ac­culturazione,6 ma altri insistono anco­ra col modello di vita tradizionale. “Noi ci consideriamo ciò che rimane di questo processo disintegratore e re­sta ancora la forza per contrastare questo potere: ad esempio le Survival Schools. Abbiamo infatti costruito delle scuole dove si cerca di conservare la cultura ed il costume di vita tradizio­nale, per poterne garantire la soprav­vivenza.”
In questo senso, dopo aver parlato delle condizioni inumane vigenti all’interno delle carceri speciali ameri­cane, Steve Robideau aggiunge: “Il caso di Léonard Peltier riassume un po’ il trattamento che storicamente gli USA hanno riservato agli Indiani. Parlare di lui è parlare della terra, del­l’aria, dell’acqua; è parlare di una ‘via naturale’ per vivere: la nostra antica forma di sopravvivenza che ora ci vie­ne negata.
“La vera forza risiede nella nostra ma­dre terra e non nelle corporations che mirano al suo sfruttamento. La forza è un altro tipo di realtà, è una forma di sopravvivenza all’interno di un pro­cesso naturale che non è un controllo, ma un’armonia; un tipo di realtà costi­tuito da bisogni naturali, come il cibo, l’aria, l’acqua, mentre il genere di bi­sogni dettato dalle corporations ri­guarda la radio, la televisione, la se­conda macchina, e in questo modo es­si ottengono il controllo.
“Si dice che l’energia nucleare permet­terà la sopravvivenza, ma la nostra vi­sione della vita si oppone completamente a questo: noi abbiamo una lun­ga tradizione di sopravvivenza sulla terra che non è però sfruttamento. La vera forza è per noi quella che deriva dalla solidarietà e spero che sempre di più aumentino i fautori di una linea naturale di vita e di questa forma di energia per la sopravvivenza.” Ascoltando queste parole ci si rende conto di quanto importante sia il mes­saggio dell’uomo rosso, di quanto vi­tale esso sia non solo nelle sue forme originarie, ma anche nelle sue ultime rappresentazioni, ove a un passato ric­co di tradizioni fanno da contrappeso un presente e un futuro irti sì di diffi­coltà, ma carichi anche di valide aspet­tative.

 

NOTE

1A questo proposito vale la pena di ricordare Custer è morto per i vostri peccati di Vine Deloria (Jaca Book, Milano, 1972), ove l’autore indivi­dua pregiudizi e discriminazioni dei bianchi verso gli Indiani, attaccando anche gli antropologi.
2 H.D. Stamnìel, Indiani, leggenda e realtà, SEI, Torino, 1978.
3 Raduni cerimoniali tradizionali.
4 Questi interventi furono registrati a Milano du­rante le conferenze tenutesi presso il centro onni­comprensivo di Lampugnano a cura della sezione milanese dell’Incomindios, comitato internazio­nale di solidarietà con le lotte dei popoli nativi delle Americhe. Per ulteriori informazioni rivol­gersi a Soconas Incomindios Milano, c/o Spag­giari Victor, via Passo Buole n. 6.
5 Va rilevato che in onore alla tradizione della Sa­cra Madre Terra gli Indiani sono contrari all’estrazione mineraria.
6 Qui si intende porre l’attenzione sul problema dell’inserimento dell’indiano nella struttura so­ciale americana. Ad oggi esso resta fermo al ten­tativo, da parte dei funzionari governativi, di of­frire un’occupazione; la maggior parte di queste è però notevolmente dequalificante, divenendo di fatto l’anticamera dell’alcoolismo.

Pubblicato nel 1984 su:

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