L’ascesa di Sinn Féin in vista delle elezioni irlandesi di oggi è l’ultimo prodotto della rivolta anti establishment in Europa. Il partito d’ispirazione socialista e fautore della riunificazione irlandese è avanti nei sondaggi e per la prima volta in cento anni ha la possibilità di andare al governo a Dublino. Sinn Féin è stato storicamente il braccio politico dell’IRA, il gruppo terrorista che fino agli anni Novanta si è battuto per ottenere l’unione tra le due Irlande, e i detrattori sostengono che la vecchia guardia militante continui a condizionare le scelte dell’attuale classe dirigente. La leader, Mary Lou McDonald, 50 anni, ha messo in secondo piano il tema della riunificazione e ha trasformato Sinn Féin nel primo partito della sinistra irlandese parlando della crisi abitativa, di sanità e istruzione.
Gli irlandesi hanno trovato in Sinn Féin un’alternativa radicale ai due grandi partiti tradizionali, Fine Gael (centrodestra) e Fianna Fáil (centro), che hanno governato insieme per gli ultimi quattro anni. Il premier Leo Varadkar ha convocato le elezioni anticipate sull’onda della Brexit, ma l’azzardo ha rafforzato i suoi rivali, che hanno intercettato la voglia di cambiamento degli irlandesi. “Molti cittadini si sono stancati di Varadkar, che ha governato bene negli ultimi quattro anni ma ormai rappresenta l’establishment”, spiega al Foglio il politologo irlandese Bill Kissane della London School of Economics: “Ha ottenuto dei successi notevoli tra cui una grande crescita economica, la legalizzazione dei matrimoni gay e l’accordo sulla Brexit. Il problema è che molti cittadini non hanno percepito questi benefici nella vita quotidiana”.
La crisi abitativa è uno dei problemi più sentiti: a Dublino il prezzo delle case è salito anche a causa delle grandi aziende americane (Apple, Google) che si sono trasferite in Irlanda per pagare meno tasse. L’aliquota del 12,5 per cento sui profitti delle compagnie straniere ha contribuito a fare crescere il paese negli ultimi trent’anni e nessuno vuole tornare indietro. Ma molti elettori chiedono che i frutti della crescita economica siano distribuiti più equamente. Entro il 2050 metà della popolazione irlandese dovrebbe trasferirsi a Dublino, creando una crisi demografica nel resto del paese. Il partito di Varadkar, che ha puntato tutto sulla disciplina fiscale e la stabilità economica, non è considerato credibile per portare avanti un’agenda sociale. Il primo ministro è popolare tra la classe media ma ha perso terreno tra i giovani, che sono passati a Sinn Féin. I tre partiti sono vicini nei sondaggi ma nessun leader intende formare una coalizione. Fine Gael e Fianna Fáil hanno escluso a ogni costo un’alleanza con Sinn Féin, che considerano un rischio per la democrazia. I vecchi legami con l’IRA e le posizioni discutibili in politica estera – come l’appoggio al dittatore venezuelano Nicolás Maduro – hanno convinto i due partiti a formare un cordone sanitario. “Credo sia una strategia sciocca”, ci spiega Brendan O’Leary, politologo della University of Pennsylvania e tra i massimi esperti di politica irlandese: “Le principali forze politiche nascono dalla lotta armata e sostengono l’unione tra le due Irlande. La differenza è che Sinn Féin è più insistente ed è l’unico partito che promette di avviare il processo di unificazione immediatamente”.
Per indire un referendum è necessario dimostrare che in Irlanda del nord ci sia una maggioranza a favore dell’indipendenza: a quel punto il governo di Londra non può opporsi al voto popolare. Fine Gael e Fianna Fáil sono contrari a questa soluzione nel breve termine perché temono di riaccendere vecchie tensioni. “Questo è un rischio”, conclude O’ Leary. “Se i due maggiori partiti continuano a ignorare la possibilità della riunificazione rischiano di fare il gioco di Sinn Féin. Devono prepararsi a questa evenienza, che è diventata più probabile a causa della Brexit”. Londra ha già il problema dell’indipendentismo scozzese, l’affermazione di Sinn Féin aprirebbe la questione irlandese.
Gregorio Sorgi, “Il Foglio”.