Un breve ripasso. Nel febbraio di quest’anno, M. Aliyev veniva rieletto presidente dell’Azerbaijan (al quinto mandato) con il 92% dei voti. Elezioni boicottate da gran parte dell’opposizione come protesta per la detenzione di molti dissidenti, e in cui gli osservatori internazionali avevano riscontrato numerosi brogli. Inoltre durante il 2023, in vista delle elezioni, erano aumentati gli arresti di oppositori, tanto che il numero dei prigionieri politici era velocemente passato da 80 a 253. O almeno questo era quanto denunciava nel dicembre 2023 l’Azərbaycan Siyasi Məhbusların Azadlığı Uğrunda İttifaq (unione per la liberazione dei prigionieri politici dell’Azerbaijan).
E la situazione non doveva aver subito miglioramenti con le elezioni, se nel marzo 2024 i prigionieri politici risultavano essere 288. Tra i casi più celebri, quello dell’economista M. Ibadoghlu, presidente di Azərbaycan Demokratiya və Rifah Partiyası (partito per la democrazia e il benessere dell’Azerbaijan). Accusato di “stampa, acquisto o vendita di denaro falso” e di “sostegno all’estremismo religioso”. È detenuto in attesa di giudizio ormai da oltre un anno nonostante versi in gravi condizioni di salute (soffre di diabete e problemi cardiovascolari) senza poter accedere a cure adeguate.
Oltre all’opposizione politica, sono stati colpiti soprattutto i giornalisti investigativi. Nel novembre 2023, con l’accusa di “complotto per introdurre illegalmente denaro nel Paese”, venivano arrestati Sevinc Vaqifqizi e Ulvi Hasanli. Secondo Natalia Nozadze di Amnesty International, Ulvi Hasanli, direttore del giornale indipendente online Abzas Media, aveva “coraggiosamente denunciato la corruzione presente nelle alte sfere del potere in Azerbaijan”.
In carcere il giornalista sarebbe stato picchiato e sottoposto a maltrattamenti, con ritorsioni ingiustificate anche sui familiari: alla madre veniva impedito di prelevare la pensione, unica sua fonte di sostentamento, mentre i conti bancari di altri parenti e amici erano stati bloccati.
Per la Federazione Europea dei Giornalisti (fej), i giornalisti sono stati arrestati (oltre una ventina attualmente) mentre svolgevano il loro lavoro di reporter. Aggiungendo che il regime attuale “non tollera alcuna opposizione e reprime il giornalismo indipendente”. Soprattutto ora, in vista della cop29 (conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) che verrà ospitata dal Paese in novembre. A tale proposito la fej si è rivolta al segretariato della ccnucc (convenzione-quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) affinché vigili sul rispetto dei diritti umani da parte di tutti i Paesi partecipanti, e soprattutto di quello ospitante, ovviamente, affinché ai giornalisti sia garantito di poter svolgere il loro lavoro in libertà. Intervenendo poi sia per la scarcerazione di sei giornalisti che lavoravano per Abzas Media, sia per altri 17 giornalisti detenuti.
Ma purtroppo la cooperazione internazionale agisce anche in senso opposto, collaborando di fatto nell’opera di repressione della libertà di stampa. Il 3 agosto 2024 il giornalista azerbaigiano Afgan Sadikhov, redattore capo del sito di informazione Azeltv – autore di inchieste sul dirottamento di fondi pubblici in Azerbaijan – veniva arrestato a Tbilisi, sulla porta di casa, dalla polizia georgiana sulla base di una richiesta di estradizione del tribunale generale dell’Azerbaijan che lo accusa di “minacce ed estorsione”. Il giornalista si era rifugiato in Georgia con la famiglia nel 2023 per sfuggire alle continue persecuzioni.
Le accuse nei suoi confronti, stando alle dichiarazioni dell’avvocato di Sadikhov, sarebbero del tutto infondate e costruite ad arte per zittire un giornalista scomodo. A causa delle sue inchieste ha già subìto numerosi arresti a scopo intimidatorio. Nel 2020 era stato condannato a sette anni di carcere (poi ridotti a quattro), torrnando in libertà nel maggio 2022 per un’amnistia. Recentemente, in luglio, la polizia georgiana aveva già impedito a lui e alla sua famiglia di imbarcarsi per la Turchia all’aeroporto internazionale di Tbilisi. Sia la fej sia la iagj (associazione indipendente dei giornalisti georgiani) sia Amnesty International, hanno rivolto un appello alle autorità georgiane affinché il dissidente non venga estradato.
Comunque quello dell’Azerbaijan rimane un quadro generale di ordinaria, abituale repressione. Non solo della stampa e dell’opposizione politica in senso stretto, ma anche dei movimenti. Con particolare veemenza contro quelli delle donne. Qualche mese fa era circolata su X una foto della femminista azerbaigiana Alex Shah risalente all’8 marzo che riproduceva una ventina di attiviste “sotto alta sorveglianza”, circondate da poliziotti mascherati, riprese e fotografate mentre protestavano contro i femminicidi.
Una rarità di questi tempi. Una delle poche contestazioni tollerate nei tempi recenti. Almeno da quando Ilham Aliyev ha “ereditato” dal padre Heydar Aliyev il controllo di questo Paese con 10 milioni di abitanti e ricco di idrocarburi.
Nel frattempo, in neanche 20 anni, l’Azerbaijan non ha mai smesso di venir retrocesso nelle liste che verificano il livello del rispetto dei diritti umani e della libertà di stampa, arrivando a far concorrenza a Paesi notoriamente dediti alla repressione e con vocazioni totalitarie: Iran, Birmania, Corea del Nord…
Mantiene comunque buoni rapporti con gli Stati Uniti e ottimi – ça va sans dire – con la Turchia. In significativo aumento poi le consegne di gas naturale (vedi accordi del 2022) all’Europa in generale e all’Italia in particolare. Un solido partenariato che vede nel nostro Paese il punto di approdo del corridoio meridionale del gas. Dalla South Caucasus Pipeline (scp) prosegue nella Trans Anatolian Pipeline (tanap, in territorio turco), transita per Grecia e Albania per approdare in Puglia. Previsto entro il 2027 un ulteriore incremento (il raddoppio) per arrivare ai 20 miliardi di metri cubi all’anno.
E per i giornalisti incarcerati? Pazienza, ce ne faremo una ragione.