55 anni, cittadino italiano residente a Miami, sabato 20 aprile 2019 Hugo Marino Salas sbarcò in Venezuela proveniente da Panama. Secondo testimoni, alle 12,20 in tempo a chiamare col telefono la madre a Miami, informando che era appena arrivato. Subito dopo fu portato via da uomini della Dirección General de Contrainteligencia Militar. Informata della cosa, poco dopo la famiglia andò alla sede della stessa Dgcim, chiedendo informazioni, e portando cose che potessero alleviare la condizione del detenuto. Dissero loro che potevano lasciare l’acqua, ma dovevano portare via il resto. La settimana dopo, tornarono per portare altre cose. Ma dissero loro che una persona di nome Hugo Marino Salas da loro non c’era, e non c’era mai stata. Da allora, quel cittadino italiano resta desaparecido. I parenti hanno presentato una denuncia formale di sparizione, hanno fatto tutti i ricorsi ammessi dalla costituzione venezuelana per sapere luogo e cause della detenzione, hanno portato il caso ai massimi livelli internazionali fino all’ONU. Niente. Il regime di Maduro insiste a dire che non se sa niente.
“Noi chiediamo che il governo italiano intervenga con forza per tutelare questo suo cittadino”, ha detto Tamara Sujú nella conferenza stampa con cui ieri alla Sala Stampa della Camera ha presentato il rapporto annuale sulla tortura in Venezuela dell’Istituto Casla: una ong di cui l’avvocatessa Sujú, rifugiata venezuelana in Repubblica Ceca, è direttore generale.
Invitata da Andrea Delmastro, capogruppo di Fratelli d’Italia in Commissione Esteri, ha presentato un documento in cui si attestano, per il 2019, 120 casi di tortura, 45 omicidi avvenuti nel corso di manifestazioni di protesta e 4 esecuzioni extragiudiziarie: ovviamente una punta di iceberg.
La firma dei boia
Almeno 16 testimoni hanno riferito di essere stati torturati da cubani. Secondo il rapporto, ormai il regime castrista non manda solo istruttori a insegnare nuove tecniche di tortura, ma li fa agire sempre più in prima persona, man mano che Maduro prende il controllo della società civile. E anche istruttori iraniani hanno rifatto la propria comparsa.
Tra le categorie più colpite spiccano in particolare militari e indios pemón: i primi perché si teme che possano ribellarsi; i secondi perché vivono in terre che il regime vuole ripulire per aumentare quel traffico di oro, diamanti e coltan con cui ricava le risorse non più ottenibili dal petrolio, per il crollo della produzione e dei prezzi. Ma tra le vittime ci sono anche politici, professionisti della comunicazione sociale, medici, gente che semplicemente manifestava per la penuria di cibo o medicine o elettricità o acqua o gas.
Il 100% dei detenuti sono sottoposti a calci e percosse. Ma poi a seconda del grado di intimidazione che si vuole ottenere i metodi cubani includono asfissia con borse di plastica piene di gas tossici, soffocamento e scosse elettriche. Alcuni prigionieri sono stati appesi per le braccia e tenuti sospesi con i piedi lontani dal suolo o in punta di piedi. Ad altri sono state strappate le unghie con pinze per poi applicare elettricità. Ad altri ancora sono stati spaccati i denti a colpi di armi in bocca. Altri sono stati costretti a mangiare feci, o feci sono state loro spalmate in faccia. Ci sono state pure botte con legni e tubi su gomiti, ginocchi e caviglie, o rasoiate sulla piante dei piedi. E poi torture psicologiche, minacce di morte, minacce a mogli e figli. Il 51% delle vittime sono state oggetto di violenze sessuali, e molti sono stati trascinati in tribunale sporchi di sangue, urina e feci perché per giorni non era stato permesso loro di servirsi del bagno o di lavarsi.
Orrori in carcere
Sempre su presumibile consiglio cubano, sono state costruite celle apposite per isolare e ridurre lo spazio ai detenuti. “Vere e proprie tombe per prigionieri politici, dove si può restare in due metri per due anche cinque mesi in isolamento, senza poter vedere né parenti né avvocati”, denuncia Tama Sujú.
Accusato di cospirazione, il capitano di corvetta Rafael Acosta Arévalo è stato appeso con le braccia legate dietro la schiena, massacrato di botte, cosparso di acqua e acido, sottoposto a scariche elettriche e asfissia. Con 16 costole e una spalla fratturata, coperto di sangue, la testa con tracce di colpi violenti, le unghie distrutte dalle scariche elettriche, gli occhi infiammati e fuori dalle orbite, incapace di parlare, a mezzanotte del 28 giugno 2019 è stato condotto in tribunale in sedia a rotelle, dopo sei giorni di detenzione. Due ore dopo è morto.
Hugo Marino Salas invece non si occupava di politica, ma era titolare di una società specializzata in recuperi. Nel giugno del 2013 aveva coordinato le operazioni che avevano portato al ritrovamento del bimotore di Vittorio Missoni precipitato al largo dell’arcipelago di Los Roques, prima ancora era stato artefice del ritrovamento di un altro aereo scomparso nel 2008 con 14 persone a bordo, e più di recente si era occupato di un altro velivolo caduto con ufficiali venezuelani a bordo. Il dubbio è che possa aver lambito qualcosa di torbido.
“Sin dal gennaio 2019, abbiamo chiesto al governo italiano di sottoscrivere la denuncia presentata da Tamara Suju alla Corte Penale Internazionale e di riconoscere Guaidó quale presidente ad interim del Venezuela”, ha commentato Delmastro. “Tutto ciò, però, non è avvenuto e la valigetta arrivata da Caracas a Roma, così come riportato dal quotidiano spagnolo ‘ABC’, spiegherebbe il perché”.
Maurizio Stefanini, “Libero”.