Il canto corale alpino rappresenta l’ideale punto di contatto tra la trasmissione orale dei cantori popolari e le regole codificate della tradizione letterata. Come, attraverso le bande musicali, il repertorio operistico ha influenzato i canti popolari.

Tra il 1977 e il 1979 un intenso pro­gramma di ricerca etnomusicale fu condotto nella provincia di Trento con il supporto della Università di Trento e del suo Centro per l’educazione musi­cale e per la sociologia della musica. Un supplemento di ricerca riguardante in particolare la Val di Fassa si svolse poi nel 1980. Era questo il primo ten­tativo di documentare accuratamente la tradizione popolare di quest’area che dal punto di vista musicale non era mai stata studiata sistematicamente e analiticamente. Io ebbi il privilegio di partecipare a questo programma che trasse beneficio dal contributo di nu­merosi studiosi: il prof. Luigi Del Grosso Destreri, il prof. Pietro Sassu, il dott. Bruno Sanguanini e il dott. Re­nato Morelli.
Uno dei risultati di questa ricerca con­siste nell’avere ora, e per la prima vol­ta, un ritratto dei caratteri specifici della musica di tradizione orale nel Trentino. Considerando globalmente i dati precedentemente disponibili, spesso non più rispondenti allo stato attuale delle cose, e per giunta difficili da valutare nel loro valore scientifico (non furono quasi mai raccolti con in­tenti musicologici), con quelli ora in nostro possesso, si può comporre un quadro abbastanza preciso della tradi­zione musicale trentina. Inoltre è forse possibile intravedere alcune sue ten­denze di sviluppo.
È comunque necessario chiarire in pri­mo luogo che la musica popolare del Trentino, mentre consta di tratti pecu­liari suoi propri, in altri senza dubbio partecipa ai caratteri generali della più ampia area etnofonica nord-italiana e di quella alpina in particolare. Le componenti del repertorio trentino, comunque, e le loro rispettive propor­zioni non sono quelle che potevano prevedersi sulla base di quanto si sape­va delle aree limitrofe (il Veneto, per esempio, dove il cantare corale è meno frequente, e il Friuli, dove meglio che in Trentino i canti lirici monostrofici sono riusciti a sopravvivere). Inoltre, considerando come si manifesta il pro­cesso di evoluzione di questa tradizio­ne, si riconosce in Trentino l’influenza di fattori esterni che altrove non esi­stono oppure operano con minore pe­so. La combinazione di tutti questi elementi e fattori rende lo studio di ta­le repertorio popolare insolitamente interessante e quindi degno di ulterio­re indagine.
Si dà generalmente per scontato, e con buone ragioni, che quasi ovunque in Europa la musica della tradizione let­terata e quella popolare hanno sempre interagito. Il Trentino, da questo pun­to di vista, non costituisce un’eccezio­ne. Quello che lo rende un caso in cer­ta misura speciale, però, è che un pun­to di contatto fra tradizione letterata e tradizione orale è più facile da indivi­duare qui che non in altre parti del ter­ritorio italiano. Nella provincia di Trento esiste infatti un fenomeno mu­sicale assai vistoso: quello del canto corale dei cori alpini o di montagna. Il loro repertorio si basa in larga misura su canzoni che un tempo venivano tra­mandate solo oralmente. Oggigiorno, quando fanno parte del repertorio co­rale, esse vivono una doppia vita cir­colando oralmente e, al tempo stesso, nei canzonieri, nei dischi e nelle esecu­zioni dal vivo dei cori alpini. Le due forme di trasmissione non sono però totalmente indipendenti l’una dall’al­tra. Ne risultano, come ora vedremo, interessanti fenomeni di interferenza.
I canti popolari entrano nel repertorio corale tramite l’arrangiamento di mu­sicisti professionisti: armonizzazioni a quattro parti, generalmente concepite secondo le tradizionali regole dell’ar­monia che si insegna in conservatorio (si guardino ad esempio i canzonieri del più famoso di questi cori, il “Coro della SAT”). Le persone che cantano nei cori di montagna, a differenza dei musicisti che preparano il loro reper­torio, sono in genere dei dilettanti e sovente apprendono le canzoni per imitazione, non potendo leggere la no­tazione musicale. Caso interessante è che i cantori sono spesso pure genuini portatori della tradizione popolare. Essi nell’ambito dei cori vengono esposti a canzoni che già conoscono in altra forma. È pertanto presumibile che riportino il risultato delle esperien­ze avute nell’ambito del cantare corale nell’ambiente di provenienza, facendo ascoltare le melodie che tutti più o me­no conoscono in una diversa forma. La loro varianti, si ha motivo di rite­nere, sono talora accettate dalla co­munità e generano a loro volta un nuovo filone nella particolare tradizio­ne in cui si reinseriscono. Tramite que­sto canale, e tramite gli altri a disposi­zione dei cori (esecuzioni in loco, di­schi, radio e televisione), appare che la loro musica esercita un “effetto di ri­torno” sul canto popolare da cui essa originariamente deriva, una retroazio­ne che nel linguaggio dell’informatica si direbbe “feed-back”.
Quello che sembra avvenire pertanto è che, con il progressivo diffondersi del repertorio corale, i cantori popolari hanno sempre di più l’opportunità di riapprendere le proprie canzoni secon­do la versione data dai cori. Nel pro­cesso avvengono considerevoli cam­biamenti tanto nel testo che nella mu­sica delle canzoni. Alcuni cambiamen­ti riguardano la struttura ritmica, che diviene in genere più rigida (Bartók di­rebbe che si passa dal “parlando ruba­to” al “tempo giusto”); altri l’accen­tuazione di quelle note che, come la tonica, la dominante e la sensibile, esplicitano il senso della tonalità. In tali canzoni “restituite” alla tradizio­ne orale, infatti, ogni vestigio modale scompare in genere interamente (quan­do ve ne fosse ancora qualcuno, be­ninteso). È quindi nell’ambito della pratica corale che la musica popolare trentina viene a contatto con l’armo­nia della musica colta per essere ri­mandata o reintrodotta alla fine del
ci­clo nell’ambiente dove era nata e si era sviluppata. Inoltre, dal punto di vista della polivocalità, che pure in certa misura esprime il carattere modale o più spesso tonale dei canti, intervalli di quarta e di quinta vuota – vale a dire priva della terza che dà la distinzione tra modo maggiore e modo minore (intervalli non del tutto rari nella tra­dizione del Trentino e nell’area alpina più generalmente) – sono regolar­mente sostituiti da terze e seste quan­do vengono reintrodotte.2
Due forme di cambiamento in relazio­ne a tale ciclo sono particolarmente in­teressanti ed evidenti al tempo stesso. La prima riguarda specificamente le melodie delle canzoni; la seconda ri­guarda invece il loro testo letterario;
1.  Cristallizzazione melodica: i canti popolari, una volta entrati nel reperto­rio corale, cessano di essere soggetti al processo di variazione tipico della mu­sica che viene trasmessa soltanto oral­mente. Per dirla altrimenti: una deter­minata variante di un canto, una volta riproposta dai cori, diviene “l’unica” versione di quel particolare canto a circolare tra i cantori popolari. Sem­bra pertanto che i portatori della tradi­zione orale, una volta messi a confron­to col modello onnipresente di una canzone a loro precedentemente nota, non possano evitare di imitarlo con crescente accuratezza. È attraverso ta­le processo che la tradizione orale si cristallizza progressivamente.
2. Contrazione del testo e, conseguen­temente, della componente narrativa.3
Il fenomeno appare più vistosamente nei canti popolari raccolti più di recen­te quando si confrontano con le loro versioni arcaiche. Anche la contrazio­ne del testo si può spiegare tramite l’influenza della pratica corale e sem­bra attuarsi in tre fasi progressive. Quando i canti sono eseguiti solistica­mente, il loro elemento narrativo è di solito alquanto sviluppato. Quando sono eseguiti da un gruppo corale spontaneo, si manifesta un primo li­vello di contrazione. Infine, quando sono eseguiti da un gruppo corale or­ganizzato, da un coro alpino o di montagna, cioè, il testo è ridotto ai minimi termini, e in genere si contiene nel limite dei due-tre minuti (il forma­to richiesto dall’industria discografica per il disco a 45 giri). Si nota nel con­tempo, nel procedere attraverso questi tre livelli esecutivi, che l’enfasi si spo­sta progressivamente dall’elemento narrativo a quello musicale.4 Ciò è già abbastanza evidente nel passaggio dall’esecuzione solistica a quella cora­le spontanea. Infine, quando la versio­ne abbreviata viene resa pubblica e disseminata dai mass media, l’elemen­to narrativo contratto viene recepito anche al livello di tradizione popolare. La dinamica della tradizione musicale trentina, comunque, non si limita al processo di reintroduzione qui breve­mente descritto. Altri suoi aspetti so­no egualmente interessanti e, talora, assai meno facili da spiegare.
C’è da considerare in primo luogo che il Trentino, come del resto la maggior parte del territorio italiano, è stato esposto all’influenza della tradizione musicale colta, e dell’opera lirica, per secoli. Non c’è pertanto da sorpren­dersi se assai spesso il testo di molti canti popolari manifesta la pomposa verbosità dei libretti operistici. Non è forse casuale che il termine “aria” (espressione sinonima di “canzone” nella musica del XVII e del XVIII se­colo) è tuttora adoperato dai cantori popolari trentini. Loro comunque con “aria” si riferiscono alla melodia, alla parte melodica che in un gruppo cora­le spontaneo è in genere (ma non sem­pre) cantata dal “primo”.5 Non c’è poi neanche da sorprendersi se la me­lodia, l’“aria”, come si è detto, qual­che volta è di origine colta. È un caso, come direbbero i folkioristi tedeschi, di gesunkenes Kulturgut.6 Questo fe­nomeno di ricezione di beni culturali colti a livello popolare meriterebbe, specie in Trentino, uno studio appro­fondito. Nel contesto di questa regio­ne esso si manifesta infatti con moda­lità talora assai particolari. L’allestimento di opere liriche non è stato mai un fatto molto frequente in Trentino. La stessa città di Trento si trovò sempre alla perifera del giro tea­trale italiano, per non parlare natural­mente dei centri minori della provincia, dove l’opera non è mai arrivata. Gli allestimenti operistici a Trento ve­nivano frequentati da una minoranza della popolazione e per giunta da una minoranza di provenienza quasi esclu­sivamente cittadina. Se vogliamo spie­gare la penetrazione di melodie operi­stiche nella tradizione popolare dob­biamo pertanto cercare altri canali di disseminazione, oltre a quello poco ef­ficace dei rari allestimenti teatrali. Si sa bene che le bande sono state attive quasi ovunque nella provincia, e in ge­nerale nell’Italia del Nord, per almeno un secolo, e forse assai più a lungo. Ne esistono ancora moltissime e pochi so­no i villaggi senza una banda comuna­le. In Italia, tradizionalmente, le ban­de hanno eseguito un repertorio operi­stico. La cornetta sostituisce in genere la voce femminile, il trombone o il fli­corno le voci maschili. È interessante notare a tale riguardo che nella terra del bel canto, vale a dire in un paese in cui si preferisce cantare piuttosto che suonare uno strumento, le bande sono state ciò nonostante estremamente po­polari quasi dovunque (persino in Sicilia, dove la pratica di far musica “in­sieme” – più tipica dei paesi di cultu­ra tedesca che non di quelli di cultura latino-romanza è ancora meno co­mune che nel resto d’Italia). Le bande sono state un potente mezzo di diffusione del repertorio operistico in un tempo in cui non esistevano i mezzi di riproduzione fonografica e in cui il li­vello di alfabetismo musicale era con­siderevolmente basso. Vale la pena di ricordare, per esempio, che la musica di Wagner fu introdotta in Italia non attraverso gli allestimenti teatrali delle sue opere ma, curiosamente, tramite le trascrizioni per banda di Alessandro Vessella (1860-1929).7 Vale anche la pena di notare che in molti villaggi del Trentino la banda comunale coesiste con qualche gruppo corale e, talora, anche con il coro della chiesa del paese. Quest’ultimo è il solo complesso musicale a comprendere delle donne. Occorre dire però che, a differenza dei cori alpini o di monta­gna, nei gruppi corali spontanei, quelli che si formano nelle osterie o nei masi di montagna, la presenza di voci fem­minili è tutt’altro che rara. Frequente­mente le persone che suonano uno strumento bandistico cantano anche nel locale coro alpino. Mentre la ban­da esegue però quasi solo il repertorio operistico, il coro alpino esegue inve­ce, come si è già avuto modo di riferi­re, per lo più canti popolari armoniz­zati. I cantori e coloro che suonano nella banda sono sovente anche porta­tori della tradizione popolare, una tra­dizione che è tuttora assai vitale e dif­fusa al di fuori dei principali centri ur­bani quali Trento e Rovereto. C’è per­tanto da presumere che tali portatori di folklore riportino nel loro ambiente di provenienza parte delle esperienze musicali avute nell’ambito della prati­ca corale e bandistica. Da qui l’origine tanto del fenomeno di reintroduzione che di quello di introduzione di pro­dotti originatisi nella tradizione lette­rata.
Infine occorre dire che in genere si tro­vano più portatori della tradizione musicale orale nell’ambito dei cori di montagna che non nelle bande (anche se, come si è detto, alcuni di essi parte­cipano a entrambi). Il fatto può forse essere spiegato in base al tipo di adde­stramento richiesto da attività musica­li per loro natura così diverse. Le ban­de richiedono almeno un livello mini­mo di alfabetismo musicale. Nei cori di montagna invece le parti polifoni­che possono apprendersi per imitazio­ne ed essere poi memorizzate. Non è egualmente facile apprendere imitati­vamente la musica da eseguire su di uno strumento, specie se si tratta di uno strumento a fiato, dove la nota non è di per sé disponibile (a essere percossa, come avviene per esempio su una tastiera) ma deve “formarsi” con l’aiuto delle labbra e della pressione del fiato immesso nello strumento.
Il fenomeno di ricezione di beni musi­cali colti a livello popolare presenta poi in Trentino anche un elemento di curiosità. Nel suo territorio, infatti, non solo si incontrano sovente melo­die di provenienza operistica, che tra­mite il processo di variazione e selezio­ne tipico delle tradizioni orali vengono infine trasformate in legittimi canti popolari, ma molte di queste melodie derivano dalle opere di Gaetano Donizetti. Se forse non ci sorprende troppo di trovare una melodia dall’Elisir d’amore in circolazione tra i cantori popolari di questa regione, data l’estrema popolarità dell’opera (si è trovato Quanto è bella, quanto è cara), di certo una melodia dal Marin Faliero sorprende alquanto (Questa è dunque l’iniqua mercede è stata rinve­nuta nel corso della ricerca sul campo). Ci si domanda infatti come un lavoro di Donizetti cosi poco noto abbia potuto fare tanta strada. Il Marin Faliero, che ebbe il suo primo alle­stimento a Parigi nel 1835, fu successi­vamente eseguito anche a Trento, nel Teatro Sociale, nel 1847. Dopo di allo­ra l’opera cadde nel dimenticatoio, per essere ripresa solo di recente al Teatro Donizetti di Bergamo, nel 1966. Un singolo allestimento del­l’opera a Trento non può probabil­mente spiegare la penetrazione di una sua aria nella tradizione popolare. Forse le bande sono responsabili di ta­le circolazione, ma certo non è facile provarlo.
Il testo di canti popolari, di provenien­za colta o meno (ma il primo caso è di gran lunga più frequente), è spesso trascritto in quaderni a cui i cantori si riferiscono talora per rinfrescarsi la memoria.8 La musica invece non è mai annotata. In tali casi, comprensibil­mente, il testo è soggetto a variazioni di minore entità e mantiene assai più a lungo il proprio carattere letterario. Nel caso dell’aria dal Marin Faliero, infatti, il testo che si è avuto occasione di documentare è quasi identico a quello del libretto originale. Quando l’aiuto mnemonico del quaderno non è disponibile – e questo era il caso dell’aria dall’Elisir d’amore – il testo che accompagnava la melodia era spesso considerevolmente divergente e, in un caso particolare, del tutto di­verso da quello del libretto scritto da Felice Romani per il compositore bergamasco.
Queste sono alcune delle caratteristi­che più evidenti del repertorio musica­le popolare trentino. Molte altre, pure degne di attenzione e di indagine spe­cifica, sono legate alla varietà lingui­stica del territorio della provincia (dia­letti italiani di tipo lombardo e vene­ziano, la presenza del ladino e la so­pravvivenza di lingue germaniche qua­li il cimbro di Luserna e il mocheno della valle del Fersina) e potranno es­sere discusse solo dopo un meticoloso studio del materiale raccolto.9 Il carattere composito e complesso del panorama musicale del Trentino e al tempo stesso la facile individuazione di canali primari di diffusione di speci­fici repertori (i cori di montagna e le bande in primo luogo) rendono questa regione un territorio ideale per l’anali­si dell’interazione fra tradizione colta e tradizione popolare. Il fatto che entrambe siano ugualmente vitali sembra mostrare che dopotutto l’influenza dei mass media non è poi così distruttiva come si era spesso temuto. Uno studio del loro agire e dei cambiamenti di cui essi si fanno portatori costituisce at­tualmente una delle direzioni di ricerca più stimolanti per chi si occupa di folklore e di folklore musicale in parti­colare.

NOTE

1 Per ulteriori informazioni sugli scopi e gli svi­luppi del progetto di ricerca sulla musica popola­re trentina, cfr. il Bollettino del marzo 1978 e del giugno 1980 del Centro per l’educazione musicale e per la sociologia della musica della Libera Uni­versità di Trento. I primi risultati di questa ricer­ca, quelli relativi alla valle del Tesino, sono ap­parsi in R. Morelli, B. Sanguanini, P. Sassu, Marcello Sorce Keller, Canti e cultura tradizio­nali nel Tesino, Franco Angeli, Milano, 1983.
2 Gli intervalli di quarta e di quinta sono, secondo Roberto Leydi (I canti popolari italiani, Mondadori, Milano, 1973, p. 18), quanto rimane di uno strato arcaico della musica popolare alpina.
3 Nell’area alpina, e nell’Italia del Nord più gene­ralmente, una considerevole parte del repertorio musicale popolare è costituita da “ballate” o “canti epico-lirici”, come sono ancora frequente­mente detti in Italia. Si tratta di canzoni che, a differenza dei “canti lirici monostrofici”, hanno un carattere eminentemente narrativo e che, dif­fuse talora (ma non necessariamente) tramite fo­gli volanti, hanno avuto la funzione di tramanda­re storie e leggende.
4 Tradizionalmente l’intento esecutivo del canto­re popolare è quello di una persona che racconta una storia e non quello di chi vuole comunicare musicalmente. La funzione della melodia è quindi soprattutto quella di un efficace aiuto mnemoni­co. Essa non è perciò un elemento indipendente che potrebbe dissociarsi dal testo a cui si accom­pagna.
5 Talora la voce principale, quella che porta la melodia, viene eseguita nella parte centrale della tessitura vocale. Il “primo”, la voce più acuta, esegue allora una melodia di accompagnamento al di sopra della melodia vera e propria. Il proce­dimento, che è assai più frequente in Austria, vie­ne lì chiamato uberschlagen. Si dice invece sekundieren la prassi più comune di cantare la melodia nel registro acuto, al di sopra di tutte le altre par­ti.
6 II termine, che oggi non si prende più con la connotazione negativa cui una volta era associa­to, si può forse rendere in italiano con l’espressio­ne “beni culturali colti decaduti” (cfr. gli studi sul folklore dei paesi di lingua tedesca di John Meier, Hoffmann-Kreier, Wilhelm Tappert e de­gli altri etnografi che contribuirono a formulare la Rezeptionstheorie).
7 Per ulteriori informazioni sulle attività di Vessella cfr. Alberto De Angelis, La musica a Roma nel secolo XIX, Bardi editore, Roma, 1935, pp. 107-114.
8 I quaderni e altre fonti scritte sono spesso usati da cantori popolari anche in altre aree geografi­che. Albert B. Lord, che notò il loro impiego da parte dei cantori epici jugoslavi (i cosiddetti guslari, dal nome del violino monocorde gusle col quale si accompagnano), riteneva che tale pratica non danneggiasse particolarmente la vitalità della tradizione orale (The Singer ofTales, Atheneum, New York, 1965). George Herzog ha descritto l’uso di tali quaderni negli Stati Uniti: Song: Folk Song and the Music of Folk Song, in Maria Leach (a cura di), Dictionary of Folklore, Mythology and Legend, Funk and Wagnall, New York, 1950, voi. II, pp. 1032-1050.
9 Cfr. Carlo Battisti, Il problema storico-linguistico del ladino dolomitico, Firenze, 1963; Luigi Heilmann, La parlata di Moena nei suoi rapporti con Fiemme e Fassa, Zanichelli, Bologna, 1955; Bernhard Wurzer, Die deutschen Sprachinseln in Oberitalien, Verlangsanstalt Athesia, Bolzano, 1977.

 

Pubblicato nel 1984 su:

etnie-8-copertina