Ancora oggi, il continente africano tende in genere a criminalizzare l’omosessualità. Nell’affrontare questo problema è bene rammentare che esistono diverse problematiche in Africa che sono assolutamente prioritarie e andrebbero affrontate: malgoverno, corruzione, nepotismo, cleptocrazia, terrorismo di matrice esogena, pauperismo, disoccupazione/inoccupazione, etnocentrismo e tanto altro. Eppure la priorità per taluni attori resta la lotta per preservare la cosiddetta “famiglia tradizionale” e la guerra all’omosessualità. L’omofobia è un problema sociale che va a schiacciare soprattutto i diritti dell’umanità.
Esistono a mio avviso due forme di omofobia, quella “verticale” e quella “orizzontale”.
Definisco verticale l’omofobia quando è istituzionalizzata e propugnata da élite politiche (spesso considerate corrotte dalla popolazione). Ai miei occhi, l’emblema vivente dell’omofobia verticale in Africa è il presidente dell’Uganda, il signor Yoweri Museveni: egli probabilmente ignora la figura di Mwanga II di Buganda, un monarca omosessuale di epoca precoloniale in quello che è l’attuale l’Uganda. Queste élite politiche sono in rapporto incestuoso sul piano geopolitico con nazioni che storicamente portarono l’omofobia in Africa.
Qui l’omosessualità esisteva prima dell’avvento del colonialismo e delle religioni rivelate. Ricordiamoci che Knumhotep e Niankhkhnum furono la prima coppia omosessuale della storia e vissero nell’antico Egitto. In Angola esisteva una forma di omosessualità che consentiva a un uomo di avere una relazione con un altro uomo. In Camerun era legata a riti iniziatici e alla cultura tradizionale. Nel sud-ovest del Sudan e nel nord della Repubblica Democratica del Congo esisteva il lesbismo presso alcune famiglie poligame. L’omosessualità è esistita in molti altri Paesi africani come li conosciamo oggi: Costa d’Avorio, Ghana, Burkina Faso, Nigeria, e via dicendo
Tra alcune figure della diaspora africana, possiamo citare leader afro-discendenti che hanno lottato in prima fila per i diritti dei neri, come James Baldwin e molti altri.
L’Africa precoloniale era essenzialmente matriarcale, ma in alcune società vigeva la patrilinearità; e dal momento in cui il matrimonio era considerato come un obiettivo sacro e necessario, se uno sposo fosse venuto a mancare, una figura femminile avrebbe potuto sostituire la figura maschile in maniera pragmatica e simbolica.
Ma l’omosessualità era considerata una depravazione dai colonialisti occidentali, che seguivano una morale dogmatico-religiosa, e ciò li spinse a legiferare per bandire quelle che consideravano assurdamente “pratiche contro natura”. E le nazioni africane che ottennero l’indipendenza finirono per ereditare queste vestigia coloniali.
Certe èlite politiche africane parecchio confuse sembrano ridurre tutta gli aspetti della omosessualità alla pure sodomia… eppure sono le stesse congreghe che attraverso la massoneria e altre reti oscure non disdegnano una sorta di sodomia esoterico-ideologico-politica, che li spinge a stringere un patto con il diavolo.
Quanto all’omofobia orizzontale, la definisco così poiché è una forma propugnata da alcuni attori della società civile, che rinchiusi nella loro menzogna storica tracciano il parallelo “omosessualità = uomo bianco”: sfruttano cioè un legittimo sentimento antiimperialista in modo demagogico per ottenere consenso dalle popolazioni africane. Si tratta spesso di persone impegnate nella causa africanista, contro l’oppressione politico-economica e razziale subita dagli Africani, ma che cadono in una profonda contraddizione quando si tratta di sessualità (in particolare alcuni adepti della corrente kamite, conosciuta come afrocentrismo). L’omofobia orizzontale è la forma peggiore.
Uniti senza barriere
Uno dei rari leader che si è pronunciato contro quelle che ho definito omofobia verticale e orizzontale, è l’attivista panafricano Julius Malema, fondatore dell’Economic Freedom Fighters, partito sudafricano.
Ricordiamo che il Sudafrica è l’unico Stato del continente a consentire omo-matrimoni e omo-adozioni, e non in cui non esistono pene e criminalizzazioni sul piano giuridico.
Penso che gli africani risorgeranno come popolo costruendo ponti e non muri, muri che avvantaggiano le forze esterne predatrici e i loro vassalli. Gli africani devono organizzarsi attorno a un principio che chiamo Kujichagulismo.
È un mio neologismo che deriva da kujichagulia e significa “autodeterminazione” in lingua swahili: si basa sulla necessità dell’unione della Famiglia Nera Globale (d’Africa, Asia, Oceania, Americhe, Europa), qualunque siano le differenze, qualunque sia la nazionalità, qualunque sia il tasso melanodermico, qualunque sia l’orientamento sessuale o religioso, per una “globalità nera”. Il Kujichagulismo è la via da seguire contro ogni forma di divisione orizzontale.
Farafin Sâa François Sandouno