Diverse sono le odierne strategie di espansione “soft” dell’islam in Europa. Accanto al noto e proficuo “metodo demografico”, attuato attraverso i flussi migratori e l’altissima natalità delle famiglie musulmane già presenti sul nostro territorio, vi è un meno evidente ma altrettanto efficace sistema di “proselitismo umanitario” che ha come protagonista le organizzazioni non governative (ONG), legate a doppio filo alla “Fratellanza Musulmana” e attive nel nostro continente grazie a lauti finanziamenti di governi interessati a estendere il dominio islamico sull’Europa.
Tra questi, oltre ai soliti noti, Arabia Saudita e Qatar, spicca la Turchia di Erdogan che, dopo aver ricevuto la porta in faccia da parte dell’Unione Europea, è oggi in prima linea nel finanziare progetti di ONG turche nei Balcani, in particolare in Bosnia, Montenegro e Kosovo, paesi che occupano una posizione strategica nel cuore dell’Europa.
Tale ambiguo ruolo svolto al centro dell’Europa dalle organizzazioni caritatevoli di stampo islamico è tornato di attualità recentemente in seguito ad una significativa intervista, rilasciata lo scorso 25 gennaio all’agenzia d’informazione turca Anadolu Agency da Zafer Sırakaya, presidente di una delle ONG più attive nei Balcani, la Union of European Turkish Democrats (UETD).
Sırakaya ha annunciato con orgoglio all’agenzia con sede ad Ankara l’avvio di una serie di nuovi progetti di sviluppo islamico in Bosnia, i cui dettagli sono stati poi esposti, due giorni più tardi, a Sarajevo il 27 gennaio nell’ambito di un panel avente come titolo Il futuro dell’islam e dei musulmani in Europa sull’asse dell’Andalusia e della Bosnia-Erzegovina.
Il presidente dell’UETD ha quindi elogiato il proprio operato, sottolineando come la sua organizzazione, nello spazio di quattordici anni, dal 2004 a oggi, sia stata capace di diffondersi in maniera capillare in 16 paesi attraverso l’apertura di 148 filiali, divenendo così una delle organizzazioni non governative turche più influenti in Europa.
Secondo Sırakaya i Balcani dovrebbero rappresentare un laboratorio e un modello di integrazione culturale tra le diverse confessioni religiose presenti, andando a ricostruire quel clima di “coesione sociale” che, nel passato, ha permesso a differenti società di vivere assieme e costruire moschee, sinagoghe e chiese fianco a fianco:
A Sarajevo e in Bosnia-Erzegovina, ci impegneremo per trovare un modo di far rivivere la cultura della convivenza, che deriva dalla nostra concezione della civiltà e dalla nostra amorevole tolleranza nell’“ascoltare le canzoni dell’altro”.
Anticipando il tema della conferenza sul futuro dell’islam e dei musulmani in Europa, svoltasi il 27 gennaio nella capitale bosniaca, il presidente dell’UETD ha poi spiegato ai media turchi che l’obiettivo dell’incontro sarebbe stato quello di mettere in luce come l’islam sia stato una delle dinamiche fondamentali dell’Europa:
Possiamo vedere come i partiti di estrema destra in Europa stiano progressivamente guadagnando spazio, con la crescita dei partiti estremisti di destra e razzisti, in un contesto in cui i nemici dell’islam stanno aumentando di numero, siamo qui per sottolineare ancora una volta che l’islam è una delle dinamiche fondamentali dell’Europa.
In questo prospettiva, si tratterebbe, secondo Sırakaya, di esportare il “modello Bosnia” in altri contesti europei per replicare quei valori di convivenza e civiltà già espressi in Spagna in passato dalla civiltà andalusa:
Tuttavia, abbiamo organizzato questa conferenza per ricordare ad alcuni gruppi che mancano di tale consapevolezza storica dei grandi valori che la civiltà andalusa ha contribuito ad apportare alla società europea. L’islam continuerà ad essere una delle dinamiche fondamentali e dei valori fondamentali dell’Europa in futuro.
Sarebbe necessario dunque, sempre secondo il presidente della ONG turca, applicare il metodo attuato in Bosnia anche negli altri paesi europei, così da promuovere la tolleranza religiosa e sradicare l’emergente sentimento anti islam:
La coesione sociale ottenuta nei Balcani attraverso le opere di assistenza islamica può essere replicata in tutto il vecchio continente (…) questo è l’unico modo per arginare i movimenti islamofobi e razzisti in Europa.
Ma cosa si intende per “modello Bosnia” e quali sono queste decantate opere di “assistenza islamica”? Tale sistema, nella realtà dei fatti, come spiega Sadira Efseryan su rightsreporter.org, si traduce in proselitismo islamico attraverso astute attività di assistenzialismo e generose elargizioni finanziarie, volte ad erigere moschee e centri culturali di propaganda coranica:
Ma cosa stanno facendo le ONG turche in Bosnia e più in generale nei Balcani? In sostanza stanno facendo quello che gli riesce meglio: fanno proselitismo attraverso l’assistenzialismo. Finanziamento di decine e decine di moschee, microcredito attraverso le banche islamiche, apertura di decine di scuole coraniche salafite gratuite ecc. ecc.
Lungi dall’essere un esempio di integrazione culturale, la Bosnia è dunque, di fatto, al contrario, una base strategica di espansione dell’islam radicale nel cuore dell’Europa:
La Bosnia e una buona parte dei Balcani sono un grande laboratorio per la Fratellanza Musulmana e soprattutto sono un immenso bacino dove fare proselitismo spinto mascherato da operazioni umanitarie. La Humanitarian Relief Foundation (IHH) e la UETD hanno decine di progetti nei Balcani, direttamente o indirettamente volti a fare proselitismo.
Il palese connubio tra ONG e islam radicale è stato sottolineato anche dallo svizzero Stefano Piazza nel suo libro Allarme Europa. Il fondamentalismo islamico nella nostra società dove l’autore dedica al tema un capitolo, intitolato Balcanislam, in cui scrive come i Balcani siano diventati per lo Stato islamico “una delle base più sicure nel reclutamento di foreign fighters”. Due sono, secondo Piazza, gli aspetti che sono stati decisivi nella diffusione del wahhabismo nei Balcani,
quello dottrinale-propagandistico da una parte, e quello finanziario dall’altra. Predicatori radicali come Jusuf Barcic, Nusret Imamovic, Bilal Bosnic, Bakir Halimi e Muhamed Fadil Porca sono diventati fonti d’ispirazione per molti musulmani Balcani, sia in casa che all’estero.
Altrettanto fondamentale, continua Piazza, è stato però il ruolo che giocano le
varie organizzazioni non governative (ONG) come Al Harmain islamic Foundation, la Interntional islamic Relief Organization, la World Assembly of Muslim Youth, la Third World Relief Agency e diverse altre. Queste hanno inviato nei Balcani fiumi di denaro proveniente dai Paesi del Golfo.
Il ruolo strategico nella diffusione del terrorismo islamico svolto dai Balcani è ben noto, in primis, ovviamente, all’intelligence europea ed internazionale, ed è stato al centro di un dibattito, dal titolo La minaccia della radicalizzazione jihadista nei Balcani: una sfida per la sicurezza europea, organizzato a Montecitorio lo scorso 16 marzo 2017dal presidente delle delegazione italiana all’assemblea parlamentare della Nato Andrea Manciulli.
A evidenziare il complesso e strutturato piano di espansione dell’islam radicale in corso nei Balcani è stato lo stesso comandante della Kosovo Force (KFOR), la forza militare internazionale a guida NATO, il generale Giovanni Fungo:
La pista balcanica è consolidata in direzioni molteplici, il Kossovo recluta sotto-traccia, la Bosnia in modo più scoperto, la diaspora balcanica mantiene forti legami con gli imam più radicali. Il lavoro fatto dal Golfo è strategico, prelevano giovani e li fanno studiare con piani quinquennali in Arabia Saudita per poi rimandarli a predicare nel loro paese dove la disoccupazione raggiunge punte del 70%.
In ultima analisi, la promozione del “sistema Bosnia” come esemplare ed altruistico modello di integrazione islamica per l’Europa da parte di Zafer Sırakaya costituisce, ancora una volta, un sublime esercizio di taqiyah, il precetto islamico presente nel Corano che autorizza, anzi esorta, i fedeli musulmani alla pratica della dissimulazione e dell’inganno al fine di raggiungere gli obiettivi della Jihad, ovvero la sottomissione del mondo intero all’islam.
Lupo Glori, “Corrispondenza Romana”.