Il governo italiano ha espresso ieri la propria posizione sul Global Compact for Migration, la dichiarazione dell’Onu che verrà firmata in Marocco nel mese di dicembre. Dopo le riserve espresse dal sottosegretario agli Esteri, il leghista Guglielmo Picchi, e del capogruppo della Lega in Commissione Esteri, Paolo Formentini, c’è stata la ferma presa di posizione di Matteo Salvini, al quale si deve il merito di aver spostato l’intero governo sulle posizioni della Lega. Perché è importante questa decisione?
Rispetto alle obiezioni fondate su una giusta e condivisibile preoccupazione per l’ennesimo tentativo di ingerenza nelle politiche interne agli Stati, di limitazione della sovranità nella gestione dei flussi migratori, è bene anche ricordare come questo presunto “diritto all’emigrazione”, che oggi sembra andare per la maggiore, non sia così ben chiaro se esista e se debba essere riconosciuto.
La Chiesa cattolica, ad esempio, ha sempre sostenuto e difeso il diritto della persona a emigrare (la costituzione pastorale Gaudium et spes, promulgata da Paolo VI nel 1965, parla di un “diritto personale di migrazione”), ma lo intende come il rovescio del più fondamentale “diritto di non emigrare”. Lo ha poi bene chiarito Giovanni Paolo II, nel 1998, affermando che “diritto primario dell’uomo è di vivere nella propria patria; diritto che però diventa effettivo solo se si tengono costantemente sotto controllo i fattori che spingono all’emigrazione”. Lo ha ribadito, anni dopo, Benedetto XVI, in perfetta continuità con il papato precedente.
Nella prospettiva, poi, della nostra cultura giuridica laica, di un “diritto a emigrare”, di uno jus migrandi, si parla con significati e accezioni diverse fin dalla tradizione romana. È, tuttavia, a partire dalla Seconda Scolastica, e dall’opera di Francisco De Vitoria in particolare, che il diritto di migrare viene definito nei termini di un diritto naturale universale. E non si può che affermare come una conquista fondamentale il riconoscimento del diritto di ciascun individuo a lasciare il proprio Paese, o a farvi rientro.
“Unità del mondo”
Il punto, però, è che sino a oggi al diritto di emigrare che lo Stato riconosce ai propri cittadini non corrisponde un obbligo, da parte degli Stati, di lasciare entrare, accogliere tutti coloro che ne fanno richiesta. Questo principio è sempre stato tenuto fermo, e corrisponde a evidenti esigenze di mantenimento della sovranità di ciascuno Stato e del controllo, da parte sua, del proprio territorio. Eliminarlo significherebbe fare un passo decisivo in avanti verso quella “unità del mondo”, quel mondo privo di Stati nazionali, globale, identico ovunque a se stesso, che da sempre è il sogno proibito di ogni cosmopolitismo.
Stati Uniti, Ungheria, Austria, Svizzera e altri Paesi hanno già dichiarato di non voler firmare il documento. E l’Italia farà altrettanto. Il patto, pur non essendo giuridicamente vincolante (“non-legally binding cooperative framework”), impegna comunque gli Stati in ordine alle politiche dell’immigrazione, impedendo di poter distinguere tra rifugiati politici e immigrati “economici”. Inoltre – ed è questo il punto essenziale – trasforma completamente il senso del diritto a emigrare, per come lo si è sempre pensato.
Diritto stravolto
Nel Global Compact, infatti, il diritto a emigrare viene del tutto sganciato da quel diritto a non emigrare che ne costituisce la base, l’orizzonte ultimo di senso. Si afferma anzi un diritto a emigrare, a lasciare il proprio Paese, proprio perché e allorché non viene rispettato il più fondamentale diritto a non emigrare, a poter vivere in pace e in condizioni decenti a casa propria. Lo jus migrandi smette cosi di essere uno strumento di difesa e di tutela delle persone, degli individui, i quali si vedono in realtà costretti a emigrare, costretti perché non viene rispettato il loro diritto a non farlo.
Con il Global Compact lo jus migrandi diventa un meccanismo per alimentare, dirigere e canalizzare i grandi flussi migratori: un vero e proprio grimaldello per le politiche “globaliste”. Questo non è un accordo “umanitario”, né un patto che rafforza i diritti delle persone. È soltanto un imbroglio.
Paolo Becchi, “Libero”.