Il movimento linguistico in Sardegna è animato da personaggi di varia estrazione: si tratta in prevalenza di scrittori, poeti, linguisti, hobby-linguisti, insegnanti, politici, funzionari, addetti agli sportelli linguistici, e intellettuali in generale. In realtà tutte queste persone hanno lo stesso scopo, il raggiungimento di un bilinguismo equilibrato, o quantomeno un rafforzamento del sardo affinché non muoia. Una situazione nella quale questa lingua − oltre all’uso nella vita quotidiana − venga insegnata nelle scuole, utilizzata dai media e nella pubblica amministrazione.
Per raggiungere l’obiettivo è necessario stabilire precise norme di riferimento (le altre lingue dell’isola e i dialetti non sardi si dovranno comunque tutelare in un modo adatto, dato che anch’essi fanno parte del nostro patrimonio culturale). I primi tentativi risalgono al 1999, quando lo Stato Italiano ha riconosciuto il sardo con la legge 482, e in questi anni le diverse proposte di standard hanno spaccato il movimento linguistico in varie frazioni. La “Questione della lingua sarda” ha creato malumori, polemiche e litigi che, in definitiva, hanno impedito il raggiungimento degli obiettivi menzionati.
Esistono due principali gruppi contrapposti. Del primo fanno parte i seguaci della Limba Sarda Comuna (LSC), una proposta di standard varata dalla giunta di Renato Soru nel 2006 come esperimento per i documenti emessi dalla Regione Sardegna. Gli esponenti di questo gruppo vogliono una grafia unica per tutti sardi e ne fanno uso anche negli scritti quotidiani e nella letteratura. Il curatore della grafia è stato l’Ufitziu de sa Limba Sarda.
Il problema di questa norma, creata da una commissione nominata dal governatore Soru, è che non viene accettata da una gran parte dei sardi, intellettuali e non. Per una parte è troppo logudorese, per l’altra è una “lingua artificiale”, e qualcuno non gradisce i pochi tratti campidanesi.
La lingua sarda è composta da tutti dialetti dell’isola. Nella coscienza dei parlanti esistono due macro varietà: il logudorese e il campidanese. Da un paio di anni si parla anche della Limba di Mesania, la zona di contatto tra i due gruppi. Chi segue la LSC, sostiene invece che queste due macro varietà non esistono né si possono attribuire caratteristiche particolari a ciascuna di esse. Tutto ciò che non è LSC, finisce per essere uno dei tanti dialetti della Sardegna. Tutti, insomma, dovrebbero rinunciare a qualcosa della propria variante o parlata per avere una grafia universale.
Il secondo gruppo non aderisce alla LSC, ma propone uno standard del sardo meridionale da affiancare a essa (ed eventualmente a una terza varietà ancora più settentrionale della LSC), ottenendo almeno due norme. Le Arrègulas sono state scritte da un gruppo d’intellettuali sardi meridionali nel 2009: il concetto portante è che i sardofoni hanno ormai abbracciato queste due macro varietà, quindi dovrebbero esistere due standard linguistici che permettono una maggiore apertura a livello di grafemi, lessico e sfumature della grammatica.
In pratica dovrebbe essere possibile usare: andare/andai, cane/cani, paghe/paxi, coro/coru, sorres/sorris, eletzione/eligidura, rosa/arrosa, sambene/sanguini, e così via. La LSC permette solo le prime forme qui elencate, o almeno le “consiglia” ritenendole più “rappresentative”. Le seconde sono invece considerate “dialettali”. Il grafema X, come in nuraxi, pixi e Maxia è dialettale. I soli casi in cui la LSC permette l’uso di forme diverse sono: lu-la/ddu-dda e sos-sas/is.
L’argomento di alcuni LSC’isti è che anche nel nord si doveva rinunciare a nessi consonantici come -th- di puthu o -ch- in alcuni casi dove si dice pache. E alcuni si lamentano della “meridionalizzazione” dell’uso di parole come: figiu, gente, agiu, eccetera, che comunque nella maggior parte del sud non sono “meridionali”, ma di Mesania, visto che nel meridione sarebbe: fillu, genti, allu. Certamente il problema è ancora più complesso, ma più o meno sono questi i punti che hanno spaccato il movimento linguistico.
L’idea della proposta delle Arrègulas è che, avvicinando i parlanti al sardo de su connotu (tradizionale), la grafia prima o poi si unificherà da sola. Lo faranno i parlanti e rimarrà ciò che loro scelgono in maniera naturale. Invece gli LSC’isti temono che due norme o una norma molto aperta possa creare due lingue, due identità sarde, e certamente si pone anche il problema del materiale didattico. Hanno paura che l’apertura porti a un “anarchismo” linguistico laddove alla fine ognuno scriverà come gli pare.
Poi c’è una minoranza che vorrebbe “emendare” la LSC. Inserire qualche elemento che possa rendere questo standard più meridionale. Anche qui si creano problemi tecnici. Magari sarebbe possibile scrivere “cane” e pronunciarlo /cani/ o magari si può scrivere “coro” e pronunciarlo /coru/. Per singole cose si potrebbe trovare una soluzione, ma per altre diventa più difficile. Improbabile inserire la X per un sardo settentrionale. Scrivere “paxe” e pronunciarlo /pake/, /page/ e così via.
Essendo la X però un grafema molto importante per i sardi meridionali, non paragonabile al -th-, già vedendo il numero dei parlanti che lo usa si crea un conflitto molto grande. Anche per gli altri esempi. Qui torniamo alla proposta delle norme più aperte per soddisfare un pochino tutti. La tesi che “tutti dovranno rinunciare a qualcosa” potrebbe funzionare soltanto se “il rinunciare” fosse bilanciato. E non lo è.
Questo è il circolo vizioso che si è creato negli ultimi quindici anni. Ormai gli esponenti dei vari movimenti linguistici sono entrati in conflitti e polemiche personali, decisi a difendere più che altro il proprio “dialetto” o la propria macro varietà. Esistono però anche aspetti positivi. La “Questione della lingua sarda” ha suscitato l’interesse degli isolani. In tanti hanno ripreso a scrivere in sardo e a interessarsi alla propria lingua. Movimenti linguistici e cittadini si stanno attivando, scrivono in sardo nei blog e nelle riviste; si produce letteratura e si traduce in sardo, gli insegnanti si impegnano ad approfondire la didattica e le grammatiche, numerosi musicisti cantano in sardo, si fanno film e reportage in sardo, piccoli annunci e persino pubblicità…
Questo sta creando la vera koinè del sardo che dovrebbe essere, insieme alle altre lingue della nostra isola, sostenuta e tutelata molto di più dalla Regione Autonoma, e non soltanto durante la campagna elettorale.