In uno dei più significativi gesti simbolici della Ostpolitik vaticana a favore del comunismo cubano, papa Francesco ha ricevuto il tiranno Raul Castro, tra sorrisi e gentilezze reciproche, stringendone a lungo le mani insanguinate e arrivando a chiedere al leader comunista di pregare per lui. Una scena agghiacciante, che segnerà indelebilmente questo pontificato di fronte a Dio e alla storia.
“Come ho già detto ai dirigenti cubani, ho letto tutti i discorsi del Papa e soprattutto i suoi commenti. E se il Papa continua a parlare così, comincerò a pregare e a riavvicinarmi alla Chiesa. E non lo dico per scherzo”. Ma per non lasciare dubbi sul perdurare delle sue vere idee, il tiranno ha riaffermato a Radio Habana il suo status di “comunista appartenente al Partito Comunista di Cuba”. Cinicamente, ha ricordato che i cattolici cubani possono appartenere al Partito Comunista, come se non si trattasse affatto di posizioni dottrinali opposte e inconciliabili. E si è lasciato sfuggire di aver conversato di recente con il famigerato teologo brasiliano Frei Betto, uno dei leader della teologia della liberazione, amico personale di Fidel Castro e autore del libro Fidel e la religione.
L’allusione – forse involontaria – di Castro a Frei Betto è importante per conoscere i retroscena delle sue dichiarazioni a Roma. Frei Betto racconta nel suo libro-intervista di aver spiegato a Fidel Castro che la tattica migliore con i cattolici non sta nel perseguitarli e renderli martiri, bensì nell’integrarli nella rivoluzione comunista agitando obiettivi presumibilmente comuni tra i due schieramenti. Fidel Castro, d’altra parte, lo aveva già intuito. In un discorso all’Università dell’Avana, aveva già tracciato questo percorso machiavellico: “Non cadremo nell’errore storico di seminare il nostro cammino di martiri cristiani, perché sappiamo che è stato proprio il martirio a dare forza alla Chiesa. Noi creeremo apostati, migliaia di apostati”
Per mettere in atto questa evoluzione strategica e al fine di creare i suddetti apostati, la Costituzione venne modificata per consentire l’accesso dei cattolici al Partito Comunista, attraverso il subdolo articolo 54 che garantisce il “diritto” di “professare” e “praticare” “qualsivoglia credo religioso”, a patto di farlo “in conformità con la legge” comunista. In tal modo la Costituzione ha aperto le porte ai cattolici rivoluzionari, che arrivarono a Cuba e svilupparono una “teologia della collaborazione”. Il sacerdote René David, professore di teologia presso il seminario dell’Avana, nel documento Per una teologia e la riconciliazione pastorale a Cuba auspicò “una riconciliazione tra cattolicesimo e comunismo”, osservando che quest’ultimo “va considerato un’ideologia in cui l’ateismo non è per nulla sostanziale, ma un semplice incidente”…
Solo tenendo conto di questo lungo processo di convergenza catto-comunista si può comprendere come un leader alla Raul Castro, pur rimanendo comunista e persecutore dei cristiani autentici, possa contemporaneamente “professare” un “credo religioso” coerente con gli obiettivi del comunismo.
Inquietante è poi la condizione che trapela dalle citate parole di Raul Castro affinché si realizzi la presunta “conversione”: “se il Papa continua a parlare così …”. In pratica sta dicendo che le affermazioni di Francesco, che Castro si incarica di leggere e commentare con i suoi seguaci, sono in linea con gli obiettivi comunisti o, quantomeno, non entrano in conflitto con essi. Castro sarebbe in definitiva disposto a tornare a una Chiesa diametralmente opposta alla dottrina cattolica, secondo la quale il comunismo è “satanico” e “intrinsecamente perverso” ( Pio XI, enciclica Divini Redemptoris).
Quanto alla reale situazione di tirannia e miseria a Cuba, voglio ricordare qui le coraggiose quanto “politicamente scorrette” dichiarazioni dell’ex nunzio all’Avana, monsignor Bruno Musarò, rilasciate l’anno scorso a Lecce… dopo le quali, caso vuole, venne richiamato da Cuba e spedito come nunzio in Egitto: “Lo Stato controlla tutto” e “l’unica speranza di vita per le persone è abbandonare l’isola”. Così Musarò descrive la condizione di degrado, miseria e oppressione del popolo cubano, concludendo che, inspiegabilmente, ancor oggi a distanza di più di mezzo secolo si parla della Rivoluzione, si inneggia ad essa, mentre la gente non ha lavoro e non sa come fare a sfamare i propri figli.
Questi fatti inquietanti sollevano gravi interrogativi, non tanto sul dittatore Castro e i suoi scagnozzi, quanto sulle reali motivazioni della diplomazia vaticana nei rapporti con il comunismo cubano. Quali sono gli obiettivi? Fino a che punto si spingerà? E quali saranno le conseguenze per la fede e l’integrità della dottrina cattolica?
Non è un caso che – durante il vergognoso Encuentro Nacional Eclesial Cubano del 1986, in cui l’episcopato di Cuba passò dal dialogo a una vera e propria coincidenza socio-economica con il comunismo – l’allora arcivescovo di Santiago de Cuba, Pedro Meurice, finì per ammettere “Ci consideravano una Chiesa di martiri, e adesso qualcuno sostiene che siamo una Chiesa di traditori”.
Le conseguenze dell’incontro tra Francesco e il tiranno sono drammatiche per quei i cubani che, dentro e fuori dell’isola, si oppongono alla dittatura di Castro e anelano alla libertà per la loro terra.