testo e foto di Giuseppe Russo

Come uno scrigno prezioso nel cuore delle Terre Sicane, Sambuca di Sicilia (89 km da Agrigento e 78 km da Palermo) nel comprensorio della Valle del Belice è adagiata ai piedi di Monte Adranone, su una collina degradante verso il lago Arancio.
Qui, tra alture coltivate a grano, ulivi e vigne, l’uva eccelle per qualità secondo una antica tradizione portata dalle popolazioni che hanno segnato questo lembo di Sicilia: greci, arabi e fenici, che dalle terre di origine hanno trasferito molte delle loro usanze. Tra vitigni disposti in filari regolari a testimonianza della cura posta dagli agricoltori quasi a disegnare il territorio collinare come una scacchiera, una strada a serpentina, che durante la vendemmia profuma di inzolia, alastro, cometa, burdese, grillo e catarratto, conduce al cuore del paese.
L’origine di Sambuca è incerta. Secondo studiosi la radice del suo nome potrebbe essere la latinizzazione di uno strumento musicale greco simile all’arpa, Σαμβύκη (sambýkē), che ricorda l’impianto del centro storico del paese e che è raffigurato sullo stemma del Comune. Sambuca può derivare anche dalle piante di sambuco, diffuse in antichità nella valle del lago Arancio, oppure dall’antico casale La Chabuca, che probabilmente prendeva il nome dal leggendario emiro Al Zabut che costruì il castello e fondò l’abitato. Proprio questo appellativo saraceno, proveniente dall’emiro Zabut (lo Splendido), fu aggiunto al nome del paese nel 1863, fino ad assumere nel 1923 la denominazione attuale.


Della fortezza ormai non c’è più traccia; su quelle pietre sono nati un terrazzo per celebrare la Crocifissione del Venerdì Santo, chiamato Calvario e denominato poi Belvedere, che domina la campagna circostante, e la maestosa Chiesa Matrice. Danneggiata dal terremoto del Belice del 1968, è caratterizzata da basamenta ciclopiche di pietra tufacea dura che conferiscono al tempio un rigore e un’armonia claustrale. La Matrice fu edificata attorno al 1420 su una parte dell’antico Castello di Zabut, nella zona più antica del paese. Ha un bellissimo prospetto e un portale di ingresso in stile arabo-normanno, proveniente da una delle chiese della distrutta Adragnus, che si staglia in cima a una lunga scalinata di accesso. L’interno è a tre navate con pianta a croce romana. Il campanile, ricavato da una delle torri a difesa del castello saraceno, culmina con una guglia piramidale coperta da quadrelli di ceramica policroma. L’originale materiale arenario tufaceo, tipico della zona, è ancora in uso nelle attuali forme di conci di tufo.
Intatto invece è rimasto il quartiere saraceno, con le sue vie strette, cieche, tortuose, arricchite da piccoli cortili e da purrere (cave di pietra sotterranee) riportate recentemente alla luce, un gioiello di pianta urbana che ricalca perfettamente la visione dei centri storici delle città arabe, oggi diventate spazi espositivi d’arte contemporanea. Interessante passeggiare tra i suoi stretti vicoli pavimentati con sdrucciolevoli basolati di marmo, su cui si affacciano vecchi e bassi caseggiati coi tetti coperti di coppi, alternati a prospetti con balconi fioriti di gerani e qualche insegna in ceramica, che dal nome Casa del Ciuciulio (Casa del Pettegolezzo) indica la presenza di un recente B&B, secondo la formula dell’Albergo Diffuso.
Ogni tanto si notano improvvisi scorci, su cui svettano i campanili della Chiesa del Rosario e della Chiesa Matrice, oppure si aprono dei piccoli cortili con scale in pietra che portano all’ingresso principale, seminascosto dai panni appesi su file di canne.
Lo sviluppo urbano del paese ha due direttrici: quella araba “dentro le mura”, che si proietta fino a tutto il Cinquecento con l’infittirsi delle residenze attorno alla fortezza di Zabut; e quella sei-settecentesca “fuori le mura”, con il Palazzo Dell’Arpa, sede comunale che fa da cerniera, caratterizzato da una facciata con un doppio arco trionfale sormontato da tre eleganti balconi. Il palazzo venne costruito nel Seicento dalla famiglia Oddo sull’impianto dell’antica porta attraverso la quale si accedeva alla città-fortezza di Zabut. Successivamente venne ceduto ai Giurati del Tempo perché divenisse sede della municipalità. Oggi vi si conservano opere d’arte moderna d’illustri concittadini.
sambuca di sicilia - stemma
Dal 1968, anno del terremoto nel Belice, che distrusse gran parte dell’abitato, l’amministrazione locale ha lentamente restaurato le sue architetture civili e religiose, rendendolo visitabile all’interno di un circuito culturale e turistico fino a conseguire risonanza nazionale, in seguito alla partecipazione alla trasmissione televisiva “Alle falde del Kilimangiaro”, che attraverso un referendum gli ha conferito il titolo di “Borgo dei borghi 2016”.
Il nuovo Borgo d’Italia è famoso anche per le sue chiese, alcune delle quali sono state adibite a museo, come la Chiesa di San Calogero, convertita in pinacoteca, dove si possono ammirare le opere del pittore Gianbecchina da lui donate alla sua città natale.
Al centro di Corso Umberto su una scalinata la Chiesa di Maria SS dell’Udienza (Chiesa del Carmine), edificata nel 1530, è il principale luogo di culto di Sambuca. L’interno è a tre navate ritmate da cinque campate. Nella nicchia della navata centrale è adagiata la statua marmorea della Madonna dell’Udienza, di scuola gaginiana, di grande valore artistico e religioso, e che viene festeggiata la terza domenica di maggio.
Quasi frontale a essa, la Chiesa di Santa Caterina è in stile barocco, a una sola navata divisa in quattro da altarini in marmo, con l’altare maggiore situato nella grande cappella. Nel Seicento fu adornata di stucchi dall’artista palermitano Vincenzo Messina. Di grande pregio sono le statue a tutto tondo, che rappresentano le quattro virtù incarnate poste ai lati dei primi due altari della navata, e il pavimento in quadrelle smaltate provenienti dalle fabbriche di maioliche della vicina Burgio.
Sui resti dell’adiacente ex Monastero benedettino è stata realizzata la Piazzetta della Vittoria, dove è spesso facile ritrovare gli anziani pensionati seduti secondo l’usanza del luogo. Accanto, il Museo delle sculture tessili di Sylvie Clavel, un’artista parigina che ha vissuto a Sambuca per molti anni e che è riuscita a creare magnifiche sculture in tessuto imperniate sul nodo e l’intreccio di fibre vegetali, con il volto creato con maschere di legno provenienti dall’Africa, che sintetizzano un importante valore artistico.
Numerosi i palazzi storici, tra cui il Palazzo dei Marchesi Beccadelli, riconoscibile per lo stemma di famiglia e un prezioso balcone sulla sua facciata, ubicato davanti all’ex Ospedale Caruso, e il Palazzo Panitteri (ubicato su Largo San Michele di fronte all’omonima chiesa) che raccoglie pregiati reperti provenienti dal sito archeologico di Monte Adranone. È caratterizzato da un connubio di linee tardo rinascimentali frammiste e dell’imminente barocco siciliano: ne è viva testimonianza il portale d’ingresso principale alla cui sommità campeggia lo stemma della famiglia Panitteri. Il palazzo conserva l’originaria planimetria quadrangolare con un ampio cortile interno su cui si aprono vasti magazzini, un giardino ricco di diversi esemplari di piante mediterranee e la Taberna con esposizione di vini delle Terre Sicane. Una scala in stile catalano conduce al piano nobile, oggi sede del Museo Archeologico Palazzo Panitteri.
Anche in quest’area passeggiare riserva interessanti viste su facciate di palazzi nobiliari con eleganti balconi in ferro battuto, impreziositi dalle lettere delle iniziali di famiglia, mentre un improvviso invito in dialetto con torno orgoglioso, “Trasissi… è a me casa… po’ fotografari videmmu” (si accomodi, è casa mia, fotografi pure), da parte di un anziano con il volto rugoso e la coppola può introdurre, superando un originale arco, a un cortile che si apre davanti una casa dal prospetto in tufo arenario dove sembra il tempo si sia fermato.
Una vera bomboniera è il Teatro l’Idea costruito fra il 1848 e il 1851 da un gruppo di borghesi sambucesi amanti dell’arte, con forma classica a ferro di cavallo. Contemporaneo di grandi teatri come il Bellini di Catania, il Politeama di Palermo e il Pirandello di Agrigento, quando i nobili non furono in grado di sostenerne i costi, il teatro venne acquisito dal Comune e alla fine dell’Ottocento, restaurato e decorato in un delizioso stile liberty, fu di nuovo restituito al pubblico.
All’esterno delle vecchie mura urbane di Sambuca, scendendo nella valle, si trova il Vecchio Acquedotto, una fuga di archi costruiti in pietra tufacea sullo stile degli antichi acquedotti romani. Furono edificati nel 1633 dal Gurleri allo scopo di innalzare e facilitare l’approvvigionamento idrico dell’abitato. Purtroppo dopo il terremoto del 1968, per paura che crollassero, furono in gran parte distrutti. Da visitare assolutamente nei dintorni l’area archeologica di monte Adranone, e per chi ama la natura fare una passeggiata nella riserva naturale di monte Genuardo o lungo le sponde del lago Arancio intorno al quale sorgono rigogliosi vigneti e uliveti, in vista panoramica dell’abitato.
Da assaggiare le minni di virgini, letteralmente “seni di vergini”, dolce tipico di Sambuca: la ricetta risalente al 1725 fu ideata da suor Virginia Casale di Rocca Menna del Collegio di Maria, in occasione del matrimonio di un giovane marchese del luogo. Naturalmente nel dar loro questa forma particolare la suora non si ispirò alle fattezze del corpo femminile, ma alle dolci collinette che vedeva dalla finestra della sua cella. Ottenne così questo dolce particolare, a forma di collina, composto di pasta frolla che riempì con crema di ricotta, cioccolato e pezzetti di zuccata (zucca candita), ricoprendolo poi di diavulina (palline di zucchero colorato) e disponendo al centro di ogni dolcetto una ciliegia candita. La nuova creazione fu molto apprezzata dai commensali del matrimonio.
Sambuca, il borgo dei borghi dal cuore di tufo, ha fatto tesoro del suo titolo, risorgendo come l’Araba Fenice dalle macerie del terremoto e raccontando al visitatore le sue origini e le sue qualità, quella che puntano sul turismo, sulla cultura, sulla natura circostante affinchè con il suo esempio continui a essere tramandato l’amore verso i propri gioielli artistici.

sambuca di sicilia - mappa

Giuseppe Russo è un viaggiatore, fotografo, blogger e reporter con oltre 20 anni di esperienze e collaborazioni di viaggio per il mondo come tour leader. I suoi reportage sono pubblicati, oltre che su “Etnie”, anche sul suo blog Zoom, Andata & Ritorno.