I lettori di Italia Oggi sono stati i primi, in Italia, a essere informati circa le vere origini delle tensioni politiche e militari tra la Russia di Vladimir Putin e la NATO sulla questione Ucraina. Con editoriali e articoli scritti in base ai fatti e non con la propaganda, il direttore Pierluigi Magnaschi e firme autorevoli come Roberto Giardina e Pino Nicotri hanno ricordato, unici in Italia, che dopo la caduta del Muro di Berlino (1989) i leader dei maggiori paesi della NATO avevano promesso a Mosca che l’Alleanza atlantica non sarebbe avanzata verso est “neppure di un centimetro”. Una promessa smentita dai fatti, visto che da allora ben 14 paesi sono passati dall’ex impero sovietico all’alleanza militare atlantica. Da qui le contromosse di Putin: la guerra in Georgia, l’occupazione della Crimea, l’appoggio ai separatisti del Donbass, lo schieramento di oltre centomila soldati al confine con l’Ucraina, infine la dura linea diplomatica con cui ha ribattuto alle minacce di sanzioni da parte di USA ed UE: “Mosca è stata imbrogliata e palesemente ingannata”.
Per tutta risposta, il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha ripetuto quella che per anni è stata la linea difensiva di Washington sull’allargamento a Est della NATO: “Nessuno, mai, in nessuna data e in nessun luogo, ha fatto tali promesse all’Unione Sovietica”. Una dichiarazione smentita dal settimanale tedesco Der Spiegel con uno scoop clamoroso, destinato a lasciare il segno. L’inchiesta, intitolata Vladimir Putin ha ragione? e ripresa integralmente negli USA da Zerohedge, si basa su un’ampia ricostruzione storica dei negoziati tra NATO e Mosca che hanno accompagnato la fine della guerra fredda.
Tra i documenti citati, spicca per importanza quello scovato nei British National Archives di Londra dal politologo americano Joshua Shifrinson, che ha collaborato all’inchiesta del settimanale tedesco e se ne dichiara “onorato” in un tweet.
Si tratta di un verbale desecretato nel 2017, in cui si dà conto in modo dettagliato dei colloqui avvenuti tra il 1990 e il 1991 tra i direttori politici dei ministeri degli Esteri di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania sull’unificazione delle due Germanie, dopo il crollo di quella dell’Est. Il colloquio decisivo, riporta Der Spiegel, si è svolto il 6 marzo 1991 ed era centrato sui temi della sicurezza nell’Europa centrale e orientale, oltre che sui rapporti con la Russia, guidata allora da Michail Gorbaciov. Di fronte alla richiesta di alcuni paesi dell’Est Europa di entrare nella NATO, Polonia in testa, i rappresentanti dei quattro paesi occidentali (Usa, Gran Bretagna, Francia e Germania Ovest), impegnati con Russia e Germania Est nei colloqui del gruppo “4+2”, concordarono nel definire “inaccettabili” tali richieste. Il diplomatico tedesco occidentale Juergen Hrobog, stando alla minuta della riunione, disse: “Abbiamo chiarito durante il negoziato 2+4 che non intendiamo fare avanzare l’Alleanza atlantica oltre l’Oder. Pertanto, non possiamo concedere alla Polonia o ad altre nazioni dell’Europa centrale e orientale di aderirvi”. Tale posizione, precisò, era stata concordata con il cancelliere tedesco Helmuth Khol e con il ministro degli Esteri, Hans-Dietrich Genscher.
Nella stessa riunione, rivela Der Spiegel, il rappresentante degli Stati Uniti, Raymond Seitz, dichiarò: “Abbiamo promesso ufficialmente all’Unione sovietica nei colloqui 2+4, così come in altri contatti bilaterali tra Washington e Mosca, che non intendiamo sfruttare sul piano strategico il ritiro delle truppe sovietiche dall’Europa centro-orientale e che la NATO non dovrà espandersi al di là dei confini della nuova Germania né formalmente né informalmente”.
È innegabile che questo documento scritto conferma alcuni ricordi di Gorbaciov circa le promesse da lui ricevute, ma soltanto orali, sulla non espansione a est della NATO. In un’intervista al Daily Telegraph (7 maggio 2008), Gorbaciov, ultimo leader dell’Unione sovietica, disse che Helmuth Khol gli aveva assicurato che la NATO “non si muoverà di un centimetro più a est”. Identica promessa, aggiunse in un’altra occasione, gli era stata fatta dall’ex segretario di Stato Usa, James Baker, il quale però smentì, negando di averlo mai fatto. Eppure, ricorda Der Spiegel, anche Baker fu smentito a sua volta da diversi diplomatici, compreso l’ex ambasciatore USA a Mosca, Jack Matlock, il quale precisò che erano state date “garanzie categoriche” all’Unione Sovietica sulla non espansione a est della NATO. L’inchiesta del settimanale aggiunge che promesse dello stesso tenore erano state fatte a Mosca anche dai rappresentanti britannico e francese.
La storia degli ultimi 30 anni racconta però altro: Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, ricorda Der Spiegel, sono entrate nella NATO nel 1999, poco prima della guerra contro la Jugoslavia. Lituania, Lettonia ed Estonia, confinanti con la Russia, lo hanno fatto nel 2004. Ora anche l’Ucraina vorrebbe fare altrettanto. Il che ha scatenato la reazione di Putin: “La NATO rinunci pubblicamente all’espansione nelle ex repubbliche sovietiche di Georgia e Ucraina, richiamando le forze statunitensi ai confini del blocco del 1997”.
La prima apertura è giunta dal cancelliere tedesco, Olaf Scholz: “L’ingresso dell’Ucraina nella NATO non è in agenda”. Parole che confermano la prudenza della Germania verso Putin e l’importanza strategica del Nord Stream 2 per la sua economia. Se alla fine sarà pace o guerra, dipenderà dal vertice Biden-Putin, agevolato da Macron. Un vertice dove Biden, nonostante la martellante propaganda anti-Putin delle ultime settimane, entra indebolito da uno scoop che riscrive la storia. Un’inchiesta così ricca di documenti finora inediti da far pensare all’aiuto di una manina politica, in sintonia con la SPD di Scholz, partito da sempre filorusso.
Tino Oldani, “Italia Oggi”.