Agli inizi del 1900 Smirne costituisce un eccezionale crocicchio di civiltà: greci, turchi, persiani, arabi, ebrei, italiani, romeni, francesi, gitani e altre nazionalità formano la più vasta comunità multietnica dell’epoca, un esempio luminoso di collaborazione, tolleranza e concordia tra razze e mentalità diverse, unico negli annali di tutti i tempi.
Grande e operoso centro economico-commerciale, Smirne non meno è fecondo crogiolo di religioni, tradizioni, storie, musiche e folklore, nella prassi di determinanti influenze varie provenienti da Oriente e da Occidente. E nei suoi quartieri, alcuni dei quali andati famosi per bellezza e vitalità (Burnòvas, Kordeliò, Vuntzà, Karandina, Karatassi, Kuklutzà, Ghios Tepé, Kokan-Jalì), ogni nazione aveva i propri centri di attività e di divertimento che funzionavano in armonica concorrenza e in “quotidiana osmosi culturale”. 1)
Ai greci appartiene (fino al 1922) di gran lunga la maggioranza della popolazione (tanto che i turchi usano chiamare la città Ghiaùr Izmir, cioè infedele Smirne!). Basta un semplice dato demografico per rivelare l’importanza di Smirne in tutto il bacino orientale del Mediterraneo: quando nel 1870 e nel 1920 Atene aveva rispettivamente 44.500 e 280.000 abitanti, Smirne ne aveva 187.000 e 350.000.
Un’occhiata, poi, alla composizione di questa popolazione smirniota rivela le seguenti proporzioni: mentre nel 1836 vi si trovavano 40.000 abitanti greci e 71.000 abitanti turchi (o comunque musulmani), nel 1850 i greci diventano 60.000 su una popolazione totale di 120.000 compresi i cittadini turchi, ebrei, armeni ed europei di varie nazionalità.
D’altra parte, come riferisce Fanis N. Kleanthis, nella rivista italiana “Lettere di Famiglia” di Trieste si informa che nel 1859 in una popolazione totale di 160.000 a Smirne c’erano 70.000 greci, 50.000 turchi, 15.000 ebrei, 10.000 occidentali vari e 6000 armeni.
Favorevoli congiunture internazionali e convenzioni bilaterali condussero nel 1855 a un ampliamento e miglioramento dei rapporti (soprattutto economici e commerciali) tra Grecia e Turchia, sì che una migrazione di notevoli dimensioni si verifica in quegli anni sia proveniente dalla Grecia libera (Attica, Peloponneso, Beozia) sia dai territori ancora sotto dominio ottomano (isole dell’Egeo, Tessaglia) con direzione le coste occidentali ma anche l’entroterra dell’Asia Minore e destinazione le città di Mudanià, Aivalì, Prussa, Nicomedia, Efeso, Pergamo e in particolare Smirne.
Così, nel 1885 vi sono in quest’ultima città 100.000 abitanti greci e circa 50.000 turchi su un totale di 210.000 abitanti.
Ai primi anni del XX secolo, nel 1912, uno studio statistico del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, sempre nell’indagine del citato Kleanthis, rileva le seguenti cifre dei residenti nel governatorato (sanzuk) di Smirne: in un complesso di 764.046 abitanti, i turchi erano 219.494, i greci 449.044, gli ebrei 18.130, gli armeni 11.395 e gli altri cittadini stranieri 55.983, mentre poco prima dell’occupazione di Smirne dagli Alleati (che successivamente delegarono l’impegno alla Grecia), nel 1919 nella città vivevano, secondo una statistica locale, 63.409 turchi, 213.410 greci, 24.737 ebrei, 13.736 armeni.
Alla prevalenza numerica dei greci corrisponde altresì un analogo coinvolgimento greco nel mercato, nei traffici, nella vita sociale e nel mondo culturale, in ciò favorito dalla attuazione di due opere tecniche di capitale importanza: la costruzione della rete ferroviaria da parte degli inglesi nel 1866 per il collegamento di Smirne con il vasto entroterra, e del porto a opera dei francesi nel 1875 (in questo stesso anno viene ugualmente creata la prima società marittima smirniota da Panajotis Pantaleon).
A Smirne il commercio rappresentava la fondamentale leva che muoveva tutti e tutto, un commercio che si estrinsecava in una triplice funzione operativa: attività di importazione, di esportazione e di transito. Vi giungevano le merci provenienti dalla regione interna dell’Asia Minore, Anatolia e Paesi arabi per essere poi incanalata nelle diverse direzioni verso l’Europa occidentale; da quest’ultima, nel contempo, provenivano tutti i prodotti finiti dell’industria che in seguito venivano trasferiti in tutti i Paesi dell’Oriente. La ferrovia costituiva il principale tramite nei rapporti con il profondo est geografico, il porto era la via di comunicazione primaria e unica con le grandi piazze dell’ovest europeo.
Per quanto riguarda l’attività musicale, che maggiormente interessa nella presente esposizione, non vi è alcun dubbio che spetti a Smirne l’indiscutibile primato, non solo nella regione dell’Egeo, orientale e occidentale, ma soprattutto nell’intero catino mediterraneo, fino allo Stretto di Gibilterra. I particolari che di seguito verranno forniti certamente avalleranno tale affermazione.
Non deve sfuggire altresì il fatto che è proprio a Smirne che, nella testimonianza del maestro e traduttore smirniota Lelios Karakassis, viene stampato per la prima volta, nel 1850, un libro greco con note musicali: è il libro Στιγμαί (Momenti) di Ioannis Issidoridis Skilitsis (1819-1890), famoso poeta, letterato, traduttore, giornalista e editore smirniota.
Già dai primi decenni del 1800 i complessi musicali smirnioti effettuavano le loro tournée nei paesi bagnati dal Mediterraneo orientale, 2) oltre che naturalmente e in special modo in Grecia. A Smirne, poi, da metà circa del 1800 alle orchestrine si aggiungono vari altri mezzi di ascolto della musica: sono i mezzi meccanici di riproduzione del suono come le “scatole musicali”, le pianole, gli organetti di Barberia e più tardi, ai primi anni del 1900, i fonografi a cilindro e i più evoluti grammofoni.
In questi anni nella capitale micrasiatica vi è la possibilità di sentire qualsiasi tipo di musica, in una varietà che sicuramente non s’incontra in nessun altro Paese o città al mondo. E per la prima volta appare, su dischi registrati a Smirne (e a Costantinopoli) la definizione di una canzone come rebètika. 3) E poiché altre ne seguirono, è corretto affermare che queste canzoni popolari urbane di Smirne (e di Costantinopoli) 4) debbano considerarsi le prime canzoni rebetike vere e proprie . 5)
Nella descrizione di una festa popolare a Smirne negli anni 1910-1915 si accenna ancora alla esistenza di canzoni rebetike:

e non mancano le rebetike canzoni, che sono tante
e rione profumano di Smirne… 6)

Smirne è la città della musica per eccellenza. E come riferisce Samuel Baud-Bovy in Saggio per la canzone demotica greca, “è una città molto musicale: in nessun posto esistono tanti organetti di Barberia”, ribadendo l’affermazione del compositore-studioso L.A. Bourgault-Ducaudray in Souvenirs d’une mission musicale en Grèce et en Orient, Paris, 1878. A parte i teatri e le sale dei concerti dove vengono eseguite opere, operette e musiche classiche, un grande numero di altri locali di divertimento palpita di vita musicale: caffè, taverne, birrerie, ristoranti, circoli, locande, padiglioni all’aperto, piazzette hanno i loro complessi e i loro estimatori tutte le sere della settimana.

Vi sono pittoreschi racconti sul modo in cui si divertiva il cittadino smirniota e sarebbe interessante trascrivere alcune scene. Esulando la tematica dagli interessi della presente trattazione, basterà accennare, per una minima conoscenza, al racconto che ne fa Baud-Bovy: “Lì le taverne sono aperte tutte le ore del giorno e della notte. Si suona, si mangia delle buone vivande, si balla alla occidentale, alla greca, alla turca”, riportando la testimonianza di Pitton de Tournefort, Relation d’un voyage du Levant, vol. II, Amsterdam, 1718, e quella, quasi un secolo più tardi, di J.L.S. Bartholdy (Voyage en Grèce fait dans les années 1803 et 1804, vol. II, 1807): “Per i greci qualsiasi ora è buona per ballare. Le taverne a Smirne […] sono continuamente piene di gente che beve, balla e canta”.
Nel periodo 1900-1922 molti piccoli complessi di musica chiamati estudiantine si esibiscono a Smirne dando vita a una molteplicità di spettacoli che difficilmente avrebbe potuto incontrarsi in città europee.
Le estudiantine, letteralmente “studi di musica”, erano composte da un minimo di cinque a un massimo di otto strumentisti e cantanti, un organico quindi estremamente variabile, a seconda delle esigenze commerciali del proprietario del locale.
A puro titolo statistico in una città come Smirne che all’epoca – verso il 1910 – aveva circa 300.000 abitanti, erano in attività, oltre a decine di vari complessini senza particolari pergamene, sei estudiantine molto note e richieste, presenti anche in discografia:

  • l’Estudiantina greca
  • l’Estudiantina Panellenico
  • l’Estudiantina Vassilis Siderìs o Estudiantina Vassilakis
  • l’Estudiantina di Kostas Vlachos
  • l’Estudiantina J.Vidalis
  • l’Estudiantina Tsanaka.

La più famosa è l’Estudiantina Vassilis Siderìs, inizialmente conosciuta come “I piccoli di Costantinopoli” o Estudiantina di Aristidis, dal nome di Aristidis Peristeris (†1918), notissimo compositore, fondatore e membro del complesso, che alcuni anni dopo prese il nome di Estudiantina Smirniota raggiungendo altissime vette di celebrità.
Peraltro, cospicua e artisticamente molto importante è anche la partecipazione di cantanti ai concerti delle estudiantine. Alcuni nomi bastano per farne la gloria: Jorgos Vidalis (1884-1948), Leftheris Menemenlìs, Jannis Tsanàkas (†1912), Jorgos Savarìs (1880-1949), Jannis Kokkinis, Ovannes effendi (di nazionalità armena) del quale non è mai stato possibile conoscere il nome, Lucien Miliaris, Stamatis Bojas (†1921 o 1922), Jorgos Paschalis detto Tsangàris. Quest’ultimo e Menemenlìs non hanno lasciato nessuna traccia sulla fine della loro vita.
Tra gli strumentisti della musica smirniota dei primi vent’anni del 1900, celeberrimi sono i violinisti Jovanikas e Jannis Dragatsis detto Ogdondakis (1885-1958), anche ispirato compositore di canzoni rebetike negli anni ’30.
Smirne si pone ugualmente all’avanguardia nel settore delle registrazioni discografiche, che iniziano nel 1909 con un notevole numero di canzoni greche presso la società Gramophone. 7)
È l’occasione migliore per la straordinaria diffusione di quel particolarissimo genere di canzone, la “canzone smirniota”, perfetto esempio di amalgama tra parole e musica che produce ammirabili e perfetti esemplari di manès, la tipica, singolare composizione smirniota, dolce e amaro frutto dell’anima appassionata di questi greci delle coste micrasiatiche carichi di doviziose secolari memorie ioniche e orientali assimilate ed elaborate in un linguaggio unico e affascinante.
Il “minore smirniota” è l’essenza dell’ispirazione musicale dei compositori di Smirne e la fonte di quella che, dopo il 1922, si rivelerà la grande e originale canzone rebetika.

Smirne, 1922: cittadini greci e armeni vengono arrrestati ed estradati. Collezione AGMI.

In questa fertile ed esuberante attività discografica cominciata nel primo decennio del 1900 spicca una canzone, Aponià (Crudeltà), tratta dalla rivista musicale Panatenèe andata in scena nel 1912, che porta (risulterebbe per la prima volta) sul disco la dizione “rebetiko” (nel video sottostante). 8) Certamente però non è la sola: fino al 1922 un grande numero di canzoni popolari composte a Smirne e Costantinopoli sono classificate come “rebetike”. 9)
Un’altra “novità” si riscontra in un’altra canzone dal titolo Jaf-jaf, nella quale per la prima volta si fa riferimento al consumo di hascisc. 10)
Il carattere esemplarmente multinazionale della popolazione di Smirne dà ovviamente luogo a una vita multietnica della musica, a una impressionante varietà di musiche e canzoni che a loro volta riflettono pienamente il multilinguismo che regna nella città e nelle sue due maggiori manifestazioni: il commercio e la cultura.
Vi si coltivano moltissimi generi musicali e tutti con immutato e continuo successo: canzoni popolari dell’epoca, manès, salmodie, opere, musica classica, canzoni demotiche, canzoni italiane, melodie francesi, operette, canzoni liriche, serenate ateniesi, ritmi da ballo zeibèkikos, marcette, canzoni di musica leggera, musica da balletto. È come un immenso repertorio che ogni sera viene eseguito nei teatri, sulle scene musicali, nelle taverne, nei locali popolari, nei concerti, nei ritrovi da ballo, nei ristoranti, nelle case private, nelle piazze all’aperto.
Una pregevole testimonianza troviamo nell’autobiografia della celebre cantante di canzoni rebetike Anghèla Maroniti-Papàsoglu (1899-1983): 11) “Suonavamo una grande varietà di musica, da canzoni rebetike a tutti i generi di canzoni europee, tutte le operette, canzoni demotiche, klèftike, cretesi, di Kalamata, della Tracia, di Ghiànnina, concerti con marce, valzer, danze di Brahms, serenate… E suonavamo cose ebree e armene e arabe. Volevamo bene a tutti e tutti ci volevano bene… Cantavi, ballavi, eri libero, facevi ciò che il tuo cuore voleva e il tuo rango”.

Ecco, questa era l’unicità del clima che regnava a Smirne nel primo quarto di secolo prima della sua distruzione, un clima mai dimenticato e rimasto indelebile (e come avrebbe potuto essere diversamente) nel ricordo e nella nostalgia dei sopravvissuti e nelle pagine di coloro che hanno voluto conservarne il fascino nella parola scritta e nelle immagini di vecchie forografie.
All’epoca, è molto probabile che Smirne fosse l’unica città al mondo a poter vantare una così vasta molteplicità di lingue e di generi musicali: sarà rasa al suolo nel 1922 con l’incendio di gran parte della città a opera dell’esercito turco, con la morte di migliaia di greci, la partenza avventurosa di altre centinaia di migliaia e la devastazione di tutte le loro attività.
Dopo il 1922 cessano le registrazioni di complessi smirnioti a Smirne e a Costantinopoli, né tali complessi, ricostituìtisi in Grecia, torneranno mai più in quelle città per esibirsi o registrare. D’altronde, dopo il 1924 Atene diventa il centro di registrazioni discografiche e più tardi anche corrispondente centro industriale di produzione. Nel medesimo tempo Smirne e Costantinopoli vengono abbandonate dalle società discografiche.
Smirne e la regione litoranea della sua provincia hanno dato i natali a un nutrito numero di cantanti, oltre agli strumentisti che avevano formato gli organici di tante estudiantine di successo. 12)
Non sarà inopportuno ricordare, sempre sulla traccia dell’indagine di A.Kaliviotis, 13) alcuni di essi, i più importanti, che fecero la storia della canzone smirniota prima e dopo il 1922. Sono due gruppi distinti: quelli, i più anziani, che prima del 1922 non risulta abbiano partecipato a registrazioni discografiche a Smirne e le loro prime registrazioni le hanno eseguite ad Atene dal 1924-1925 in poi; e quelli, più giovani, che sono entrati nella discografia rebetika in Grecia dopo il 1930.
Fra i primi, menzioniamo Kostas Nuros o Marselos (1892-1972), Zacharias Kassimatis (1896-1965), Anghela Papasoglu, Spiros Peristeris (1900-1966), Stellakis Perpiniadis (1899-1977), Dimitris Semsis detto Salonikiòs (1881 o 1883-1950), Vanghelis Sofronìu (1889-1963), Kostas Skarvelis detto Pasturmàs (1880-1942), Manolis Chrissafàkis detto Fistichtsìs (1895-1972), Theodoros Mavroghenis, Panajotis Tundas (1884-1942), Vanghelis Papàsoglu detto Angùris (1896-1943). E poi ancora Andonis Diamandidis o Chatzidiamandidis o Dalgàs (1892-1944), Kostas Karìpis (1895?-1952?), Joannis Eitziridis o Etziridis detto Jovan Tsaùs (1893-1942), Jorgos Savarìs (1880-1949), Panajotis Vaindirlìs (1877 o 1878-1969).
Tra i secondi, tutti originari di Smirne o, comunque, dell’Asia Minore, che enormemente hanno contribuito alla diffusione della canzone rebetika, da notare Rita Abatzì (1903-1969), cantante di grande fama, Jorgos Dragàtsis detto Ogdondakis (vedi sopra), Apòstolos Chatzichristos (1901 o 1903-1959), Jannis Papaioannu (1913-1972), Anestos Deliàs (1912-1944), Dimitris Ladòpulos o Manissalìs, Stratos Pajumtzìs (1904-1977), Jorgos Rovertakis (1911-1978), Dimitris Atraìdis (1900-1970).

Settembre 1922: Smirne brucia. Collezione AGMI.

In ultima analisi Smirne e la canzone smirniota sono state una realtà che ha influenzato in maniera multiforme e decisiva la musica in tutto l’arco micrasiatico e in buona parte della regione egea sulla costa greca attraverso una fitta rete di comunicazioni, tradizioni orali e registrazioni fonografiche, oltre a racconti e descrizioni letterarie e folkloristiche.
In tal modo, la musica smirniota rimane per sempre patrimonio della cultura greca e patrimonio della civiltà mediterranea nella sua globalità. Di tale cultura e di tale civiltà costituisce indubbiamente un momento di alto, incomparabile valore artistico ed estetico.

La canzone smirniota in Grecia

Con la sconfitta dell’esercito greco in Asia Minore nel 1922 e il suo precipitoso rientro in Grecia lasciando tutta la popolazione dei connazionali esposta, inerme, alla violenza della “vendetta” turca, la gran parte dei predetti musicisti si ritrovano nella Madrepatria, specie nei dintorni di Atene e Pireo.
Sobborghi come Drapetsona, Nea Ionìa, Nìkea, Kessarianì si popolano di questi profughi particolari, che ne fanno i centri della loro attività musicale.
In questa nuova atmosfera che si instaura, la canzone smirniota s’impone con facilità (durerà fino al 1937 con un sensibile rallentamento dal 1934) e diventa determinante nella formazione del radicale spirito rebetiko. Tuttavia le situazioni di vita che affrontano per la prima volta i compositori micrasiatici (greci) li costringono a considerevoli adattamenti nel genere musicale e poetico della canzone popolare smirniota che introducono ormai stabilmente in Grecia.
Così, la meditata rielaborazione di questa canzone in chiave di tradizione locale attraverso reciproci influssi tematici ed emozionali produce la fecondissima, ineguagliata stagione della canzone rebetika che va fino alla vigilia dello scoppio della seconda guerra mondiale.
In questi anni la canzone smirniota compie la propria missione, inserisce la propria linfa nella canzone pireota della “marginalità” popolare e, perseguitata e da più parti colpita dall’oscurantismo del regime dittatoriale fascista, cesserà di esistere non senza aver lasciato incancellabili forme musicali.
È a Smirne che compaiono per la prima volta le canzoni popolari urbane greche, le quali in sostanza sostituiscono le canzoni demotiche, canzoni del mondo rurale. Queste vengono portate dai greci che emigrano nelle due grandi città, Costantinopoli e Smirne, e in tante altre più piccole nell’Impero Ottomano: è come una specie di patrimonio genetico che essi recano con sè dovunque vadano tramandandolo da padre a figlio.
La caduta dell’impero bizantino e di Bisanzio nel 1453 produce, com’è naturale, una generale inerzia presso l’elemento greco in tutte le sedi di suo stanziamento. Ma già meno di un secolo dopo le terre che la genialità greco-bizantina aveva elevato a eminente civiltà imperiale cominciano di nuovo ad attirare masse sempre più ingenti di popolazioni greche. L’incremento demografico dell’elemento ellenico è assai rapido, tanto che alcuni secoli più tardi, verso il 1850, esso costituisce la più cospicua minoranza nella società multietnica della capitale ottomana. 14)
È a Smirne però che proporzionalmente avviene la maggiore concentrazione di genti greche ed è Smirne, peraltro, che presenta comunque i più incisivi caratteri di urbanesimo organizzato, con una variamente articolata rete sociale cittadina e ben definite e soprattutto rispettate modalità di convivenza quotidiana.
Sembrerebbe strano che in una città nominalmente (almeno) ottomana un elemento estraneo possa ergersi a struttura portante e dominante. È nondimeno quanto realmente avvenuto a Smirne, con una fondamentale precisazione però, senza la quale il fenomeno sarebbe inspiegabile: in quella regione e per la durata di almeno due secoli, fino al 1922, era sentita, e accettata, come naturale e “normale” la separazione pacifica dei due poteri, economico-culturale e politico-militare, e l’attribuzione di essi, sempre in modo implicitamente pacifico, a due entità nazionali diverse: il primo ai greci (e, con minor incidenza, ad armeni ed ebrei), il secondo agli ottomani e poi turchi, dopo il 1908.
Le due comunità mantenevano il controllo di quanto appartenente alla propria competenza, senza attriti o contestazioni.
Quanto all’elemento popolazionale greco a Smirne, è ben certo che esso conservava, almeno dalla fine dell’800, la maggioranza assoluta non solo in città, ma in pratica in tutta la regione costiera egea dell’Asia Minore, in una miriade di piccole città e paesi, mentre maggioritario si presentava l’elemento turco nell’entroterra micrasiatico via via fino all’interno della regione anatolica.
Conseguenza ne è che dalla metà più o meno del 1800 in poi è creata e propagata a raggiera una luminosa civiltà greca avente come centro d’irradiazione Smirne e in secondo piano Costantinopoli (questa città appare maggiormente legata alle sorti della Tracia orientale che a quelle dell’Asia Minore); una civiltà che non dimentica le proprie origini nell’antichità classica e nella tradizione bizantino-orientale, e si manifesta in modo accattivante e straordinario addirittura anche nella Grecia metropolitana, che riceve così tra l’altro l’eccezionale ricchezza musicale delle canzoni urbane prodotte a Smirne e Costantinopoli.
Forse in questa maniera si spiega anche l’enorme successo della musica smirniota in una Grecia “strattonata” fra la cultura secolare della canzone demòtica, ormai faticosamente seguita, e l’immanenza, pure se non troppo evidente, di usanze musicali turche certamente poco gradite.
Non bisogna dimenticare, trattandosi di un fatto più unico che raro a livello mondiale, che le prime registrazioni di canzoni popolari urbane greche hanno avuto luogo a Smirne e Costantinopoli negli anni 1905-1907 e poi a Salonicco nel 1912, prima della sua liberazione. E sono canzoni che cantano le gioie, le pene, le passioni, gli amori, i desideri,i luoghi, i fatti e le situazioni sociali degli uomini e delle donne di queste comunità greche sparse in Asia Minore, nella immediatezza della loro vita di tutti i giorni.
E sono queste stesse canzoni che primamente possono definirsi “rebetike”, nel senso di canzoni che per eccellenza rivelano la “composizione psichica” del popolo minuto (non certo i borghesi e i ricchi), nella quotidiana lotta per la sopravvivenza, ma anche nella irrinunciabile volontà alla dignità umana, comunque espressa e comunque presente, e nell’indomabile, atavica tensione verso la piena significazione della vita e dei suoi primigeni diritti pur nelle più contrastanti e negative condizioni esistenziali.
La più corretta critica storico-musicale così si esprime sulla musica smirniota evoluta nel più ampio territorio della Ionia: “Le sue radici passano da Bizanzio e risalgono fino alla Grecia antica, quando aveva il nome di Ιώνιοs Αρμονία o Ιάς (femminile di Iων) o, nella definizione di Platone, Ιαστί Αρμονία, in una intonazione che esprimeva una ‘pudica passione’ e ‘indolenza’” , ma anche un ritmo che suggeriva un “dondolio”. Sono questi gli elementi che anche oggi troviamo nella maggior parte delle autentiche canzoni smirniote micrasiatiche… la segreta e magica forza della Ιαστί Αρμονία, che non era semplicemente “metro” musicale, ma altresì un “metro” del modo di vivere e della civiltà micrasiatica. 15)

Le estudiantine e i musicisti

La canzone popolare smirniota, compresi i notevoli saggi di canzoni rebetike, si diffonde anche in territorio greco grazie all’attività della Estudiantina Smirniota, un complesso musicale famosissimo a Smirne, non solo per i suoi concerti, per l’eccellenza tecnica dei musicisti che la componevano e per la qualità del suo repertorio, ma anche per essere e continuare sempre a essere un inesauribile vivaio di compositori, strumentisti e cantanti di altissimo livello, che proseguirono la loro opera anche oltre il fatidico 1922, in Grecia, nel campo discografico.
L’Estudiantina Smirniota fa la sua apparizione nel 1898. È un piccolo complesso chiamato Ta Politàkia, cioè “i piccoli di Costantinopoli”, che è la loro città di avvio. 16)
Ne sono fondatori due musicisti di grande talento: il costantinopolita Vassilis Siderìs e l’ateniese ma abitante a Costantinopoli Aristìdis Peristèris. L’organico del complesso – sette o otto esecutori – è costituito forse dai migliori musicisti di una tradizione (come abbiamo avuto più sopra l’occasione di ricordare) che, iniziata ai primi dell’Ottocento, si sarebbe poi consolidata nel corso dei decenni e avrebbe prodotto, un secolo più tardi (primi del 1900) l’eccezionale messe musicale andata famosa come “canzone o musica smirniota”, ovvero una perfetta e ineguagliata osmosi di secolari risonanze di musica demotica greca, timbri orientali della Ionia antica e reminiscenze di tonalità arabo-persiane.
Nel 1906 il complesso prende il nome di Estudiantina Smirniota e come tale acquisisce larghissima fama non solo in Asia Minore, fino al Bosforo, e in Grecia, ma anche in Europa occidentale, dove effettua non poche fortunate tournée.
Si sa che negli anni 1903-1905, ancora sotto la denominazione “Ta Politakia”, prende parte alle prime registrazioni discografiche (dischi a 78 giri) a Costantinopoli e poi a Smirne, con un repertorio di grande varietà comprendente sia vecchie canzoni popolari smirniote sia composizioni dei suoi componenti Siderìs, Peristèris, Savarìs e Vaindirlìs.
Così, sulla scia del successo della Estudiantina Smirniota, vengono create molte altre estudiantine a Smirne e Costantinopoli, e perfino ad Atene. Un calcolo approssimativo ne eleva il numero a circa 15, solo considerando quelle più conosciute.
Ciò significa che centinaia di musicisti e cantanti arricchiscono i quartieri greci di Smirne di una rete culturale e di una vitalità artistica senza precedenti e pongono quindi in essere una vera e propria “scuola smirniota”, che elabora e definisce i termini essenziali di una tradizione musicale le cui componenti non sono mai venute meno sino a oggi, sia pure in forma di ricordi e reviviscenze.
E si moltiplicano i locali dove vengono ospitate queste estudiantine. E la corporazione (in greco: σινάφι, sinàfi, dall’arabo en-naf) che ne raccoglie i professionisti acquisisce col tempo un’importanza e un potere di notevoli dimensioni nell’economia della società smirniota dell’epoca.
Nel corso di mezzo secolo (1870-1922) e soprattutto negli anni 1900-1920 la canzone smirniota conquista tutto il territorio greco non più sottoposto al dominio turco, praticamente la Grecia intera, e diventano celeberrimi molti autori, compositori e interpreti smirnioti e costantinopoliti. Elencarne i nomi, mentre può essere utile a dimostrare l’enorme fioritura di una musica divenuta esemplare per perfezione stilistica e ispirazione estetica, avrebbe interesse solo per gli eventuali cultori dell’oggetto e sarebbe oziosa per il complesso dei lettori.
Comunque sia è testimonialmente provato che con l’Estudiantina Smirniota hanno collaborato importanti musicisti la cui opera rimane incancellabile nel tempo: Panajotis Tundas, Vanghelis Papàsoglu, Jannis Dragàtsis, Jorgos Vidàlis, il famoso violinista Jovanìkas, greco di Romania, eccetera.
Dopo il 1922 l’Estudiantina Smirniota si ricompone ad Atene dove, dal 1924 in poi, partecipa ad autonome registrazioni discografiche. Riprende il nome Ta Politakia per iniziativa di Spiros Peristèris, figlio di Aristìdis, e come tale rimane fino ai primi anni ’30. 17) Successivamente, per molti anni, il nome e la funzione della classica estudiantina cadranno in oblio, fino all’ultimo decennio del 1900, quando in Tessaglia, a Volos, farà la sua apparizione, e sino a oggi non conseguirà che successi, il complesso Estudiantina di Nuova Ionìa, rinnovando (sia pure con un organico assai più ampio per numero di esecutori, comprendente altresì non pochi altri, nuovi strumenti) i fasti delle estudiantine smirniote e le memorie di una musica irripetibile.

Il manès o amanès

Prima di svolgere alcune considerazioni orientative sul genere musicale chiamato manès – caratteristico della musica popolare greco-micrasiatica (non turca) nel periodo dal 1800 al 1937 circa, come s’è svolta soprattutto dapprima nella regione di Smirne e poi trasportata in Grecia – non sarà inopportuno accennare all’origine della stessa parola manès, nel significato in particolare inteso a Smirne, “fatale”, nella città che al manès ha dato addirittura il proprio nome aggettivato (manès smirniota) in una inconfondibile tipologia musicale storicamente senza eguali.
In tale direzione la traccia che si seguirà è la disamina e interpretazione contenute in uno studio mai sinora confutato e superato, così da risultare il più probante e convincente sull’argomento, 18) in mancanza di persuasive argomentazioni contrarie.
È luogo comune considerare il termine amanès – o più correttamente manès – e il genere che individua di provenienza turca, originario delle terre dell’Anatolia e diffuso poi tra le genti greche dell’Asia Minore.
Niente di più errato, a quanto appare allo stato degli studi. Peraltro non sembra proprio che esistano plausibili e accettabili dimostrazioni della derivazione turca di questa espressione, che sostanzialmente non è una semplice parola come tutte le altre, bensì una pregnante situazione soggettiva, carica di intensi coinvolgimenti sentimentali e psicologici.
Il termine manès è un derivato dalla parola greca antica maneros (μανέρωs) con perdita della sillaba ro. Non era un canto, ma più semplicemente un suono, una interiezione o un’invocazione triste che riproduceva un lamento amoroso e funebre.
Maneros è uno stato dell’anima espresso in gemiti struggenti appartenente sin dai tempi più antichi al patrimonio di usanze delle popolazioni della grande regione della Ionia, territorio storico lungo le coste dell’Asia Minore, provenienti dagli achei cacciati dai dori quando questi invasero la Grecia centrale e il Peloponneso nell’XI sec. a.C. 19)
L’analisi del termine maneros condurrebbe a due sostantivi, mania (μανία) e eros (έρως), che compongono il termine stesso e indicano la dolorosa agitazione d’amore per la perdita dell’amante, la “smania amorosa” trasformata in profondo tormento per la morte dell’amato.
Il suono maneros rimane proprio delle genti ioniche e viene tramandato fino all’adozione musicale da parte della musa popolare smirniota del secolo XVII e seguenti. È un suono trascinato, penoso, che può esprimere l’intensa passione d’amore o la pesante tristezza per la scomparsa di una persona amata o il dolore per la morte di qualcuno, che diventa ancor più lancinante dalla ferita straziante che tale morte arreca al sentimento d’amore.
Ne parlano Erodoto 20) e Pausania 21) anche per ricordare come questo suono lamentoso trovò fertile terreno perfino in Egitto, dove venne adottato dalle masse popolari.
In ogni modo, nella monografia in parola 22) il racconto dei fatti che danno luogo alla usanza di questo lamento si richiama al tragico epilogo di una appassionata storia d’amore: “E piangendo l’amante di Linos 23) salmodiò un brevissimo canto o suono […] in tono minore, come risulta, e tale lamento è il maneros, ovvero amore smanioso – smania/eros – amore folle. E nel suo lutto […] ella ripeteva la dolorosa espressione!”.
Non v’è quindi dubbio che i suoni emessi nel manès smirniota – ah! mana-aman – sono genuinamente greci e nulla hanno a che vedere con i turchi, i quali, ove li utilizzino, certamente non sono loro ad averli “inventati”, ma ben li hanno “trascritti” dai greci micrasiatici eredi naturali degli antichi ioni. D’altronde presso i musulmani non esiste né la parola amanè(s), né quella di manè(s).

Il manès di Smirne

Quindi, per tradizione direttamente collegata alla civiltà dell’antica Ionia giunge e si consolida negli usi delle popolazioni greche delle coste dell’Asia Minore (a Smirne, in prevalenza) e fino a Costantinopoli e nell’entroterra micrasiatico abitato da greci, il manès.
Vi assume sempre più colorazioni consolatorie nella contestuale dichiarazione o confessione di un dolore o di un tormento esistenziale. Ovviamente questo modo di esprimersi si riscontra negli strati popolari più poveri e repressi, nonchè nelle numerose minoranza greche stanziate in varie zone dell’ex Ionia.
È un processo di stabilizzazione che accompagna le tracce della grande fioritura greca nell’Asia Minore durante i secoli XVIII e XIX e nel primo ventennio del sec. XX.
Il contenuto o l’oggetto del manès invariabilmente verte, seguendo uno sviluppo connesso con l’antica costumanza, intorno a un diffuso, inguaribile sentimento di angoscia e ansietà di fronte a situazioni di passione, strazio e disperazione. È la manifestazione di un insostenibile disagio, di una pena esacerbata: insomma, è una vera e propria appassionata invocazione a un dio sconosciuto per un conforto che lenisca e porti consolazione.
Dal punto di vista tecnico, il brano musicale manès si suddivide in tre parti distinte: una frase introduttiva puramente strumentale, il nucleo poetico-espressivo centrale affidato al canto e infine il conclusivo fraseggio ancora solo strumentale, ritmicamente più rapido e vivace, che per molti aspetti somiglia agli “allegri” della hora rumena.
La linea melodica è semplice nella sua formulazione, ma diventa complessa nelle articolazioni del suo sviluppo, secondo le variazioni vocali che il cantante esegue lungo la “via” o maqam prescelta dal compositore, e che trova la sua elaborazione orientativa nel motivo espresso dallo strumento principale, il violino, e talora la lira costantinopolita. 24)
Per quanto riguarda il testo che viene cantato, si tratta spesso di un unico dìstico, due soli versi che “occupano” l’intera parte centrale del manès in un susseguirsi di linee melodiche poggiate su una medesima sillaba o addirittura su una stessa lettera. Peraltro, il manès è interpretato da un unico cantante, senza “terza voce” e senza corale di accompagnamento.
La canzone popolare – quella canzone che “traduce” l’essere popolare, l’anima popolare, nella cui coscienza affonda radici di inesauribile fecondità e verità – si avvera pienamente nel manès, fino al 1922 a Smirne e poi, sino al 1937 (con “memorie” fino al 1945) in Grecia, in particolare ad Atene e Pireo. 25)
Appunto verso gli anni 1935-1937 sono singolari le circostanze che conducono il manès alla sua “sepoltura”; e singolare, ma non troppo a ben pensarci, la coincidenza di tale eliminazione sia in Grecia sia in Turchia quasi contemporaneamente…
Si dà il caso, infatti, che nei predetti due anni in Turchia Kemal Ataturk e in Grecia Joannis Metaxàs – dittatore quest’ultimo, ma non meno implacabile fautore della “purezza turca” il primo – impongono in vario modo l’annientamento del manès per un motivo interpretato in due maniere diametralmente opposte: Kemal perché il manès è estraneo alla concezione turca, è straniero, cioè greco, e Metaxàs perchè è straniero, orientale, cioè turco e quindi “antiellenico”. Uno dei più luminosi esempi di come due estremi possano convergere allo stesso punto.

Il Minore Smirniota

Un discreto numero di manèdes (plurale di manès) costituisce a Smirne, fino al 1922, e in Grecia metropolitana negli anni 1924-1937, un riferimento così coinvolgente e assorbente nelle masse popolari (e non solo), da radicarsi profondamente nella coscienza della canzone popolare in genere e della canzone rebetika in particolare.
I primi manedes compaiono a Smirne verso il 1850 e si evolvono, conquistando anche i più restii e coriacei, fino a rappresentare una specie di “marchio depositato” delle collettività greche micrasiatiche. Alcune melodie di manès rivelano una eccezionale consistenza artistica e purezza musicale: il Minore manès, il Minore smirniota, il Tzivaeri manès, il Tabachaniòtikos manès, il Manès dell’alba, il Burnovaliò manès, il Galatà manès, il Menemeniò manès (gli ultimi tre a riprodurre i nomi rispettivamente dei sobborghi e quartieri Burnòvas, Galatàs e Menemèni di Smirne), sono altrettanti piccoli capolavori destinati all’eternità.
Un altro famoso complesso di manedes riferendosi alle varie “vie” (maqam) di base, ne prendono i nomi aggettivati: il Rast manès, il Sabah manès, l’Ussak manès, il Maggiore manès, eccetera.
A questo punto e dato quanto precede, sarebbe giusto e logico dedicare una speciale attenzione al più celebre tra i manedes, quello che in sostanza ha “creato” tutte le altre versioni di manès: il Minore smirniota, una canzone cantata con enorme diffusione presso tutte le popolazioni greche dell’Asia Minore, e una canzone che, con l’arrivo dei profughi smirnioti in Grecia nel 1922, ha avuto negli anni successivi una risonanza senza eguali e un’influenza decisiva nel cammino della canzone rebetika.
Si tratta di una composizione che, con titoli diversi e varianti melodiche leggermente differenti, compare nel corso del tempo, a cominciare dal suo esordio avvenuto alla fine del 1800.
Nella sua prima esecuzione discografica, nel 1907, appare con il nome Minore dell’alba. Poi diventa Manès smirniota, Minore manès o Minore smirniota e infine Manès della buona notte dopo il 1922. È registrato anche come Manès di Stratos, dal nome di Stratos Pajumtzìs, famoso autore e cantante di canzoni rebètike.
Quanto alle variazioni di questo “Minore”, più di dieci hanno avuto gli onori della celebrità, tra i quali da menzionare il Minore del tekès (dove tekès è la bettola dove si fa uso di hascisc), il Minore di Tsitsanis (una variazione sul tema elaborato dal famoso Vassilis Tsitsanis) , il Minore della taverna di Panajotis Tundas e il Minore dell’alba di Minos Matsas e Spiros Peristeris.

Le canzoni popolari di Smirne sono rebetike?

Le canzoni popolari di Smirne sono quelle che esprimono le pene e gli amori, le disgrazie e le felicità degli strati inferiori della popolazione, quelli che abitano nei poveri quartieri della città e nei loro villaggi satelliti e quelli sopra i quali più grave e doloroso pesa il destino della catastrofe del 1922.
E sono poi le canzoni che questa gente porta con sé e versa nel crogiolo di una profuganza le cui vittime sono comunque escluse a priori da qualsiasi riconoscimento economico e proiezione sociale, perfino nella Madrepatria, quella patria che, con tenerezza e storica coscienza, chiamano la “Vecchia Grecia”, παλιά Ελλάδα, la Grecia della vecchia, antica stirpe.
Queste canzoni popolari sono, infine, le canzoni che l’abbandonata a se stessa “classe inferiore” inventa nella memoria dei passati beni perduti e nelle trafitture attuali e quotidiane della miseria, della povertà, dell’infelicità, delle facili droghe con la colpevole e interessata tolleranza e connivenza statale, della calpestata dignità, delle baraccopoli, della prostituzione, della vendita della vita e delle umiliazioni senza scampo.
Così avviene la trasformazione di queste canzoni popolari, poiché si trasformano innanzi tutto quelli che le compongono e le cantano, e quindi anche quelli a cui esse sono destinate e rivolte, co-sofferenti e co-vittime pure loro.
A Smirne già prima del 1922 le canzoni chiamate rebetike, perchè vissute dai primi rebetes quasi ante literam, sono una realtà da e a tutti riconosciuta, legata com’è a circostanze particolari e angoscianti. È quindi praticamente passata senza soluzione di continuità la definizione di rebetiko alle canzoni che dai profughi smirnioti si propagano sul terreno musicale e sociale della Grecia continentale, specie nella più vasta regione di accoglienza di Atene e Pireo, automaticamente “incorporandosi” alle analoghe creazioni popolari locali, specchio di condizioni di vita sventurate e insopportabili.
Il quesito, tuttavia, se queste canzoni, nate e nutrite di Smirne e di Costantinopoli, possano inquadrarsi nella generale categoria delle canzoni rebetike come qualche anno più tardi è venuta compiutamente a conformarsi, è posto e risulta legittimo porlo: insomma, per intenderci, quel tipo di canzoni registrate dopo il 1924-25, che dà origine al classico mondo rebetiko fino al 1937.
A parte il fatto che già nelle canzoni smirniote “importate” si riscontra in nuce l’origine e la natura delle posteriori canzoni denominate rebetike, occorre ben tener presente che, sia in Asia Minore sia in Grecia, la canzone rebetika, cioè quel particolare tipo di canzone popolare cittadina, è sbocciata (ispirata, non bisogna dimenticarlo, a situazioni ed emergenze di vita del tutto nuove e di nuova incidenza negli agglomerati urbani e nell’allucinante squallore dei suburbi, che in nessun modo la vecchia canzone demotica avrebbe potuto affrontare ed esprimere) per soddisfare significazioni mai prima sperimentate, che coinvolgevano amplissimi strati di “nuovi poveri”, fragili ed esposti ai più indesiderati mutamenti economico-sociali proprio in un’epoca di irreversibili sconvolgimenti politici e gravissimi squilibri demografici.
È pertanto chiaro che le canzoni di cui trattasi, al di qua e al di là dell’Egeo, viste in questa angolazione ottica (né crediamo possa esservene un’altra), appartengono al genere rebetiko, come d’altronde nella stessa Smirne di allora viene più volte riconosciuto, 26) dove per “rebetiko” s’intende la manifestazione di una “anima” comunque popolare e comunque del più basso livello sociale.
Allora, mutatis mutandis, è questa anima popolare che a Smirne dà luogo alla più precoce produzione di canzoni chiamate “rebetike” ben prima del 1922 ed è parimenti quella che, dal 1924 al 1937, produrrà la più genuina espressione rebetika, pur se parzialmente diversificata per contenuti ispirativi e tipologia strutturale dal progenitore smirniota: tutt’altra è la causa creatrice e l’ambiente che la alimenta, anche se la ispira il medesimo fine psicologico.

Generi modali smirnioti: il maqam

La canzone popolare smirniota, che contiene i caratteri di quel genere musicale che a Smirne, già prima del 1922, viene definito come “rebetiko”, e più tardi quella rebetika in Grecia fino all’incirca il 1937, si esprimono sulla base di peculiari “modi”, di origine orientale, codificati dagli arabi sulla falsariga dei suoni bizantini, a loro volta tributari del sistema dei “modi” propri della musica greca antica, e adottati dai greci dell’Asia Minore, oltre che dai turchi dal XVIII secolo in poi. 27)
Il termine arabo d’identificazione è maqam, che i turchi successivamente trasformano in makam, mentre il corrispondente greco è via (δρόμοs).
Abbastanza approssimativamente, il makam o maqam o δρόμος potrebbe corrispondere alla occidentale scala o gamma musicale, maggiore o minore, con un’ampiezza di significati, tuttavia, di gran lunga più articolata e più complessa.
La parola maqam (preferiamo utilizzare il termine originario, piuttosto che quello turco, derivato) vuol dire letteralmente “piedistallo”, “supporto”, “palco”, dove esecutori (cantanti e strumentisti) agiscono secondo una precisa normativa musicale nell’esporre le loro composizioni. A questa prima iniziale significazione subentra ben presto e rimane una seconda che col termine maqam intende definire non più un luogo, ideale o concreto, ma la precisione e severità stessa delle regole musicali che devono reggere l’impalcatura dell’opera.
La stessa severità tecnica e ispirativa si riscontra d’altronde nella determinazione e nello sviluppo del “suono” nelle salmodie della musica ecclesiastica bizantina, di diversa natura tonale a seconda della ricorrenza religiosa a cui si riferisce.
Gli autori popolari turchi al numero di maqam che ereditano dagli arabi aggiungono altri di loro invenzione, esito di ispirati compositori e profondi conoscitori della prassi musicale a quelli connessa.
I nomi dei maqam indicano sia attributi costitutivi sia, per la maggior parte, località, popoli (razze), persone. Non diversamente i “modi” dell’antichità musicale greca avevano dei nomi di stirpi: dorico, lidio, frigio, ionico, eccetera.
Numerose sono le vie che utilizzano i compositori greci di origine smirniota nella creazione delle canzoni popolari e rebetike. Eccone alcune, a puro titolo documentale:

  • Sabah (che in arabo e turco significa mattino, mattutino)
  • Rast (giusto, retto, in turco)
  • Higiaz (nome di una regione dell’Arabia)
  • Irak (nome della regione tra i due fiumi: ir-ak)
  • Ispahan (città e regione iraniche)
  • Ussak (plurale di “amante” e nome di città)
  • Kurdi (il paese dei curdi)
  • Niyaz (preghiera, supplica, creata dal turco Nassir Abdul Baki, 1765-1820)
  • Hisar (significa fortezza, dall’arabo kasr)
  • Nihavent (nome di una costa)
  • Bayati (della stirpe dei Bayati)
  • Seghiah (termine persiano per dire terza “posizione”)
  • Nisabyrek (nome di una costa)
  • Huseyni (il piccolo, il bravo Hussein)

Tra queste le più frequentate sono certamente: rast, sabah, ussak, higiaz e nihavent.
L’adozione del sistema musicale dei maqam o vie dal mondo arabo-orientale e turco non si limita certo nel contesto sinora considerato: analoghe espressioni si incontrano in diversi altri Paesi, in prevalenza di religione musulmana ma non solo, nel più vasto arco della tradizione musicale orientale in senso lato.
Così, in Indonesia si ha il termine patet, in Iran il termine dastgah, in Azerbaigian il termine mugam, in India il termine raga, e così via.
In Grecia le vie continuano a essere utilizzate, pur in una parabola discendente (già dal 1934 erano quasi estinte) fino al 1937, anno in cui il divieto posto dal regime dittatoriale di Metaxàs le emargina definitivamente facendole scomparire nel processo di europeizzazione coatta della musica greca e in particolare della canzone rebetika, la quale da allora prosegue il proprio cammino nelle modalità diatoniche e cromatiche delle scale occidentali.

Il taxim

Anche questo termine di origine araba (nel significato di “divisione”) è adottato in Asia Minore sia dai musicisti turchi sia da quelli greci micrasiatici, i quali nelle loro frequenti tournée lo fanno conoscere anche ai greci della madrepatria.
Il taxim si potrebbe approssimativamente paragonare a una “cadenza” della musica occidentale.
Trova ampia pratica nella canzone rebetika, dapprima nella produzione della cosiddetta “scuola smirniota” che l’inaugura in precedenza nella struttura del manès, e poi con molta frequenza nelle composizioni degli autori della “scuola pireota o greca”. Nell’àmbito della canzone rebetika il taxim si svolge in prevalenza in forma strumentale. Non mancano tuttavia forme vocali di taxim in Turchia e in India.
La posizione del taxim nel corpo della canzone non è fissa e sempre la stessa: può trovarsi all’inizio, a mo’ di introduzione, oppure alla fine, a chiusura del brano, oppure infine come pausa intermedia a dividere in due la canzone (e in questa utilizzazione giustifica il significato del termine) o addirittura come trait-d’union fra due canzoni.
Un taxim può essere eseguito soltanto dallo strumento solista, con possibilità di fioriture virtuosistiche nella improvvisazione, o insieme con uno o più altri strumenti che gli tengono bordone. Può essere breve, ma anche molto lungo, sempre però entro le rigide coordinate del maqam prescelto.
Praticamente non vi è compositore di canzoni rebetike che non abbia creato e interpretato i propri taxim. Non mancano altresì le registrazioni. Rarissime sono invece le trascrizioni su carta da musica, giacché è in sostanza impossibile riprodurre con i segni materiali delle note la sottile variabilità delle fluttuazioni degli intervalli, delle durate, delle sincopi, dei ritmi, dei prolungamenti, insomma di tutte le sfaccettature di una tecnica musicale compositiva di grande complessità sonora, che molto difficilmente l’orecchio occidentale potrebbe percepire, comprendere e assimilare.

N O T E

1) Aristomenis Kaliviotis, Smirne, La vita musicale 1900-1920, ed. Music Corner & Τήνελλα, Atene, 2002. Peraltro, ideale per una completa conoscenza della storia e della vita di Smirne è il volume di Fanis N. Kleanthis La greca Smirne, Libreria di Estia, I.D. Kollaros, Atene, s.d.
Se poi favorevoli obbiettive condizioni editoriali dovessero in futuro verificarsi, rientra nei progetti dell’autore del presente saggio la pubblicazione in Italia(che sarebbe una prima assoluta) di una ampia panorammica smirniota nelle sue più importanti componenti, compresa la particolare materia della “canzone smirniota” che tanta influenza ha esercitato sulla sostanza e sviluppo della canzone ποπολαρε in Grecia.
2) È data addirittura la notizia secondo cui nel 1906 la “Estudiantina Smirniota” effettuò una tournée in Francia e Inghilterra (L.Karakassis, Canti e balli popolari a Smirne, Cronaca Micrasiatica, vol. IV, Atene, 1948).
3) Hugo Strotbaum, L’apparizione del termine “rebetiko” su etichette di dischi di grammofono, Comunicazione nel Primo Congresso per la canzone rebetika, Rèthymno, aprile 1996.
4)
Sul carattere di “canzone popolare” delle canzoni rebetike v. Dimitris Liatsos, I profughi dell’Asia Minore e la canzone rebetika, Pireo 1982, 1985.
5) Secondo S. Gauntlett (Canzone rebetika, Atene 2001), il quale non si sa quanto informato sia al riguardo, la prima menzione del termine rebetiko su disco risulta in alcuni dischi registrati negli USA negli anni dal 1920 al 1939, senza altra più precisa datazione e spiegazione.
6) Sokratis Prokopìu, A passeggio nella vecchia Smirne, Atene 1949.
7) Tuttavia, le prime registrazioni di canzoni greche avevano già avuto luogo a Costantinopoli nel 1905.
8) Aristomenis Kaliviotis, op. cit.
9) Vedi anche nota 6.
10) A. Kaliviotis, op. cit.
11) A. Papàsoglu, I nostri successi, qui, Atene 1986.
12) L’ultima apparizione di una estudiantina in Grecia avviene nel 1935. Nuove “versioni” di complessi smirnioti compaiono in questi ultimi anni in varie città greche. Lodevole progetto che riporta all’attualità vecchie canzoni micrasiatiche.
13) A. Kaliviotis, op. cit.
14) P. Kunadis, Per le canzoni di Smirne, in “I Kathimerinì – Eptà Imères”. Preziosi sono i dati che questo saggio offre per la conoscenza dell’argomento.
15) P. Savvòpulos, La discografia delle canzoni smirniote, nel CD Le incumbustibili canzoni di Smirne, Smirne, Costantinopoli, Atene, America, 1909-1945. Peraltro, giova ricordare che Aristotele (Politica, VIII 5,9 e 7,8) definisce il carattere della ιώνιος αρμονία, la platonica χαλαρά ιαστί αρμονία, sentimentale, patetico, ma anche orgiastico.
16) P.Kunadis, L’estudiantina smirniota, in riv. “Dìfono”, n. 36, sett 1998.
17) Sempre P. Kunadis, op. cit. offre validi spunti sull’argomento.
18) J.K. Fedròs, Intorno al manès smirniota, Smirne 1881, ristampa ed. Kultura, Atene 1990. Certamente non tutti gli studiosi e critici danno credito all’interpretazione per così dire “grecocentrica” di Fedròs. Ad esempio il musicologo Markos F. Dragùmis (M. Dragùmis, Commento per l’amanès, in riv. Tram, n. 2, set. 1976) mentre ritiene essere l’amanès (o manès) un genere di canzone arabo-persiana adottato dai turchi non si sa quando con esattezza, comunque nel periodo tra il 1453 (anno della presa di Costantinopoli) e gli ultimi anni del XIX secolo, crede di poterne definire e seguire l’itinerario dalla Turchia alla Grecia attraverso le tappe dell’Asia Minore (Smirne), della Tracia, delle isole egee fino ai porti della Grecia continentale. Secondo Dragùmis, deve il proprio nome (amanès) al fatto che la parola “aman” veniva cantata e cantilenata molte volte nel corpo della canzone. Una parola, questa, alla quale Dragùmis attribuisce origine turca e significato di “pietà”. Il medesimo studioso però confessa che di altre parole ed esclamazioni, come “garet” e mendet”, riportate spesso nelle canzoni oltre al termine “aman”, nessun turcologo o cantante di amanès ha mai poturo spiegare l’etimologia e derivazione turca! Il che inficia per buona parte, a nostro parere, l’asserzione circa la provenienza turca anche del termine “aman”. Quanto alla derivazione dell’amanès, i maqam della musica arabo-persiana sembrano trovarsi alla sua origine, sempre nella “versione” di Dragùmis.
19) Brillante fu la civiltà ionica, giunta al suo culmine nei sec. VII e VI a.C. Famose città furono fondate nel corso dei secoli: Efeso, Mileto, Colofone, Clazomene, Focea, Lèbedos, Erithrèa e i capoluoghi delle isole di Chios e Samos. E non meno famosa fu la “scuola ionica” nell’àmbito della filosofia e della fisica-matematica, rappresentata da nomi illustri come Anassagora, Talete, Anassimandro, Eraclito.
20) Erodoto, Storie, 2,78.
21) Pausania, Periegesi, IX,89,7.
22) J.K. Fedròs, op. cit.
23) Sembra che Linos, un bel giovane ìone fosse andato a divertirsi in riva al lago Tàntalos, vicino al villaggio Akropedìon. Non sapendo nuotare, annegò davanti agli occhi della sua amante. Questa impazzì dal dolore e colta da una penosa frenesia, il cuore gonfio d’amore e di afflizione, cominciò a emettere un suono tragico e funebre, come una parola senza senso che ripeteva l’infranta passione d’amore.
24) Strumento musicale simile al violino, con una cassa in forma quasi ovale e con tre corde.
25) Non mancano gli avversari, accaniti e irriducibili, del manès, soprattutto nel campo della musicologia ufficiale: “Il turco amanès appresta indisturbato e a colpo sicuro la perversione dell’istinto musicale del popolo greco” in Sofia Spanudi, L’amanès e il sentimento musicale del nostro popolo, “Athinaikà Nea”, 1934. D’altronde, è proprio nell’ottobre di questo stesso anno che viene presentato al parlamento turco dal primo ministro Ismet Inonù un disegno di legge teso a provocare la decretazione del divieto dell’amanès da parte del capo dello Stato Mustafà Kemal Atatürk. Si direbbe che l’iniziativa di legge di Inonù crei anche in Grecia l’irrefrenabile impulso di “seppellire” il manès sotto una valanga di accuse di corruzione dei costumi neoellenici. Il 7 novembre del medesimo 1934 e nello stesso quotidiano ateniese “Athinaikà Nea”, in un lungo articolo dal titolo L’amanès sotto persecuzione arriva anche in Grecia, il giornalista Pavlos Paleologu si scaglia, pur con grande tatto e ampia ironia, su questo “ultimo profugo che ci viene dall’Oriente”, come definisce l’amanès, per esorcizzarne la diffusione e affrontare i pericoli che ne derivano. E addirittura il Paleològu è tanto sicuro che il manès non può e non deve attecchire in Grecia che, in una parallela indagine, chiede il parere di quattro noti compositori e direttori d’orchestra: Manolis Kalomìris, Dimitris Mitròpulos, Konstandinos Psachos e Dimitris Sfakianàkis, direttore del Conservatorio Ellenico di Atene, convinto che questi musicisti di educazione classica avrebbero confermato e rinforzato la sua ripugnanza per l’amanès e la sua richiesta di eliminazione. I quattro non solo non condannano questa forma musicale, ma ne elevano l’origine all’antichità greca, al genere musicale cromatico degli antichi, che attraverso gli arabi e i turchi torna al popolo greco che ebbe a inventarlo nella parte orientale delle patrie terre.
26) Già nei primi 10-15 anni del 1900 a Smirne erano molte le canzoni che venivano definite “rebetike”: per esempio Arabàs pernà (passa il carro), Tik-tik-tak, Adriana, Pàli methismènos (ancora ubbriaco), Elenaki. Nel 1912 risulta eseguita a Costantinopoli la registrazione di una canzone con l’esplicita indicazione di “rebetika”.
27) P. Kunadis-S. Papaioannu, In merito alla ricerca musicologica – Melodia e maqam – Taksim, inserto in disco Canzone rebetika n. 2 (CBS, 1978). Peraltro, e in particolare, non si può passare sotto silenzio la fondamentale articolazione dei suoni bizantini: otto centrali (quattro “principali” e quattro “laterali”, oltre a molti altri “misti”, prodotti dalla combinazione dei predetti tra di loro). Anche ai fini di una più generale e opportuna conoscenza, presso il mondo occidentale, della formazione e utilizzazione dei suoni musicali del medio oriente arabo-bizantino – una cultura di impressionante varietà e sensibilità – sarebbe veramente auspicabile un’edizione, possibilmente italiana, di questa vera e propria originale dottrina musicale i cui contenuti potrebbero ancora schiudere nuove, ignote prospettive nell’universo dei suoni a noi sino a oggi familiare.