In Iran non si placano le proteste per l’assassinio di Jîna Mahsa Amini. Mentre in data 22 settembre i telegiornali parlavano ancora di “soltanto” una decina di manifestanti uccisi dalla polizia nel Rojhilat, alcune agenzie ne calcolavano già una trentina. È probabile che ormai le vittime siano più di cinquanta e destinate, purtroppo, ad aumentare. Per non parlare della sorte di centinaia di feriti e di migliaia di persone arrestate.
Nei primi cinque giorni, manifestazioni e scontri erano avvenuti soprattutto a Sine, Dehgulan, Diwandara, Mahabad, Urmia e Piranshahr.
Il 19 settembre veniva indetto lo sciopero generale dal PJAK (il partito per una vita libera nel Kurdistan) e dal KODAR (società democratica e libera dell’Est-Kurdistan). Sciopero a cui avevano aderito i partiti affiliati al centro di cooperazione dei partiti del Kurdistan iraniano, il partito comunista iraniano-Kurdistan, altri partiti del Kurdistan orientale, numerose organizzazioni della società civile e vari esponenti politici.
Il 20 settembre, nel corso di una manifestazione, a Kermanshah veniva uccisa un’altra donna curda, Minoo Majidi, madre di tre bambini. Anche lei colpita dalle pallottole delle unità speciali antisommossa, prontamente mobilitate dal regime.
Nel frattempo le proteste per l’uccisione di Jîna Mahsa Amini – deceduta per emorragia cerebrale a seguito delle torture subite – si sono allargate all’intero Paese.
In almeno una quindicina di città, uomini e donne (la gran parte delle quali aveva gettato il velo) sono scesi in strada. Non solo a Teheran ma anche a Mashhad (nord-est), Tabriz (nord-ovest), Rasht (nord), Ispahan (centro) e Kish (sud). Bloccando la circolazione, incendiando i veicoli della polizia, lanciando pietre sulle forze di sicurezza e distruggendo i ritratti degli ayatollah. Oltre naturalmente a scandire slogan contro il regime: quello più diffuso tra le donne curde del Bakur e del Rojava: “Jin jiyan azadi” (la donna, la vita, la libertà), e anche uno di nuovo conio: “Kurdistan, Kurdistan… occhi e luce dell’Iran”.
Particolarmente brutali gli interventi della polizia e ormai, come dicevo, i morti si contano a decine.
Secondo la giornalista Ammar Goli (Erdelan) le forze di sicurezza del regime iraniano utilizzerebbero anche i veicoli di soccorso per reprimere i manifestanti, in violazione del diritto internazionale: infatti “molte delle persone arrestate vengono portate nei centri di detenzione a bordo delle ambulanze in quanto le forze di sicurezza sanno che non verranno assalite dai manifestanti”. E ovviamente “molti manifestanti feriti si rifiutano di recarsi negli ospedali per paura di essere arrestati”.
Dalla giornalista Behrouz Boochani un appello alla comunità internazionale affinché la voce delle donne iraniane insorte contro la dittatura islamista non rimanga inascoltata: “Le donne dell’Iran sono fonte di ispirazione: stanno costruendo la Storia nelle strade ribellandosi alla dittatura. Non ignoratele; se siete femministe, siate la loro voce, amplificate il loro appello! Questa è una rivoluzione femminista storica”.