Lo scorso week-end, sabato 17 e domenica 18 ottobre, è andato in scena al Mattatoio di Testaccio a Roma, nell’àmbito del Romaeuropa Festival, lo spettacolo teatrale Tierras del Sud, lavoro incentrato sulle tragiche vicende del continente sudamericano che hanno visto per sfortunati protagonisti i popoli nativi come i mapuche, ai quali sono state ingiustamente sottratte le terre ancestrali in un generale processo di sopraffazione costellato di violenze e soprusi. Si tratta di uno spettacolo-performance definito dagli stessi autori, il regista cileno Txalo Tolosa-Fernandez e la ballerina e coreografa basca Laida Azkona Goni, come “un documentario incorniciato dalle arti performative e plastiche”.
L’opera non viene definita a caso con la parola documentario in quanto non si configura come un semplice spettacolo teatrale, ma rappresenta un vero e proprio momento d’inchiesta che persegue obiettivi chiari e mirati. Tierras del Sud è la seconda parte della trilogia di performance intitolata Pacifico che ha il preciso intento di indagare i legami tra le barbarie compiute nei confronti dei popoli indigeni del Sudamerica e la rapina delle loro terre, lo sviluppo di nuove forme di colonialismo a opera delle multinazionali straniere e le diverse forme di espressione della cultura contemporanea dominante.
L’intera trilogia va a scavare in profondità portando alla luce le evidenti interconnessioni tra il successo delle multinazionali nel continente latino americano e il continuo sfruttamento delle risorse naturali del territorio e delle persone che da secoli lo abitano. Nello specifico, Tierras del Sud si focalizza sulla regione della Patagonia argentina e sulle conseguenze che la zona ha dovuto subire per essere stata “terreno di conquista” di imprenditori stranieri: il conflitto, risalente a più di un secolo fa, è da inquadrare nella cosiddetta “conquista del deserto”, una campagna militare finanziata privatamente dall’esercito nazionale che ha permesso allo Stato argentino di scacciare i mapuche dai loro luoghi originari, al di fuori dei confini statali, impadronendosi di un’area tanto vasta quanto strategica.
Il neonato governo argentino ha poi sfruttato questi territori dal punto di vista economico favorendo gli investimenti di capitali stranieri: prima venne creata la Argentine Southern Land Company, azienda inglese di allevamento bovino, che è arrivata ad assemblare circa 900mila ettari di terra. Nel 1991 questi stessi terreni sono poi stati venduti al gruppo italiano Benetton. L’indagine teatrale vuole quindi interrogarsi sulla reale motivazione che ha spinto e spinge ancora imprenditori stranieri a investire in questi territori, tentando di capire quale sia il vero valore geopolitico dell’area.
Partendo da questo interrogativo di fondo si può comunque tranquillamente affermare che ci troviamo di fronte a una realtà di neocolonialismo che, seppur sulla carta possa considerarsi legale grazie alla dubbia condotta dello Stato argentino, di sicuro è ingiusto e rappresenta l’ennesima vessazione nei confronti dei popoli autoctoni, in questo caso l’etnia mapuche. Proprio il governo argentino ha da sempre adottato una linea dura nei confronti dei mapuche, i quali non solo si sono visti depredare dei loro territori, risorse e tradizioni, ma vengono ancora costantemente perseguitati e brutalizzati dalla polizia durante le loro manifestazioni di protesta.
La violenza delle autorità non si è però limitata a sgomberare con la forza le terre che i mapuche avevano rioccupato in maniera pacifica, ma si è tradotta purtroppo in fatti ancora più gravi e tragici come l’omicidio, raccontato nello spettacolo, del giovane mapuche Rafael Nahuel, ragazzo di 22 anni della comunità Lafken Winkul Mapu nella Provincia di Rio Negro, vigliaccamente ucciso con tre colpi di arma da fuoco sparati alle spalle dalla polizia il 25 novembre 2017; per non parlare di Santiago Maldonado, anch’egli giovane attivista locale “desaparecido” sempre nel 2017 e poi trovato cadavere dopo 78 giorni di ricerche nel letto del fiume Chubut, morto per affogamento. Considerando il contesto argentino di perenne lotta tra governo centrale e comunità mapuche è purtroppo difficile pensare che i responsabili di questi brutali delitti pagheranno per le loro colpe.
La situazione per il popolo mapuche non è migliore in Cile, dove gli ultimi mesi sono stati drammatici: con il Paese in piena recessione che ha fatto scaturire le ingenti proteste partite nell’ottobre 2019, si è aggiunta la pandemia che ha messo gravemente in crisi la società cilena e di cui hanno fatto le spese, come sempre, le fasce più deboli. Tra loro in particolare i mapuche, da sempre invisi al governo centrale, continuano a subire discriminazioni e soprusi all’interno di quel processo persecutorio voluto e portato avanti dal presidente Sebastian Pinera, realizzato grazie all’applicazione della ley antiterrorista che ha reso possibile la militarizzazione dell’Araucania, la regione dove si concentra la maggioranza della popolazione mapuche.
In tal modo gli indigeni vengono trattati come terroristi, e l’esercito ha ampio margine di manovra e sostanziale impunità: carcerazioni preventive e uccisioni ingiustificate sono quasi all’ordine del giorno. A combattere questa vergognosa situazione non è servito lo sciopero della fame e della sete messo in atto da diversi prigionieri politici mapuche nelle carceri, atto ad aprire un possibile dialogo con lo Stato per porre fine alle atrocità: Pinera li ha volontariamente ignorati, e i detenuti, ormai allo stremo, sono stati convinti da avvocati e familiari a terminare lo sciopero.
Ritornando al nostro Tierras del Sud – la cui prima data italiana è stata il 4 luglio al Pergine Festival, organizzato nel comune di Pergine Valsugana in provincia di Trento – esso rappresenta sicuramente un importante contributo alla “causa mapuche” andando a mettere in luce le innumerevoli brutalità che hanno colpito questo gruppo, utilizzando strumenti innovativi e diversi da quelli “tradizionali”, ma non per questo meno potenti: sul palco i due performer si muovono in un ambiente ricostruito con grande cura nei dettagli che richiama la composizione naturale della Patagonia argentina ricca di laghi, montagne e foreste, alla cui bellezza si contrappone la durezza del messaggio trasmesso, il tutto con un costante richiamo alla cultura mapuche attraverso musiche, danze ancestrali, quadri sintetici e oggetti tipici.
Questo lavoro risulta dunque una significativa e potente testimonianza di solidarietà nei confronti degli indigeni, e soprattutto di severa critica e denuncia alle ingerenze da loro subite: abbracciando più stili e forme espressive in quello che è stato definito come “un approccio che tocca il rigore documentaristico, il teatro di figura e il linguaggio video”, si presenta come un insieme riuscito di tutti questi elementi. La speranza è che il successo di Tierras del Sud possa farsi sentire in tutta Europa e arrivare – grazie all’immensa e vigorosa potenzialità come veicolo di trasmissione culturale che il teatro fortunatamente ancora possiede – anche oltreoceano: ogni manifestazione in favore della lotta del “popolo della terra”, da qualunque àmbito essa provenga, è per noi da ritenersi sempre utile e da sostenere con decisione ed entusiasmo.